Shockdom - Intervista a Giuseppe Andreozzi, tra Rio 2031 e Black Screen

Abbiamo intervistato Giuseppe Andreozzi, sceneggiatore di Rio 2031 e Black Screen, opere edite da Shockdom

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Tra gli autori in forza a Shockdom si sta imponendo all'attenzione del pubblico Giuseppe Andreozzi, sceneggiatore campano di Black Screen che, più recentemente, ha legato il suo nome al progetto crossmediale della casa editrice, Timed, con Rio 2031.

La realtà narrata da Andreozzi parte dalle contraddizioni del nostro quotidiano per poi esplorarne le estreme conseguenze, le deformazioni e le brutture strettamente collegate a questa deriva. Nel fare questo, lo scrittore attinge a dottrine politiche, sociologiche ed economiche che rendono le sue opere aderenti al contesto globale in cui viviamo e spingono il lettore a riflettere.

In quest'intervista parliamo con Andreozzi dei fumetti sopracitati e, più in generale, dello stato del Fumetto in Italia. Ringraziamo Shockdom e Teresa M. Brancia per la disponibilità.

Ciao, Giuseppe! Benvenuto su BadComics.it!
Lo scorso ottobre, Shockdom ha inaugurato il progetto crossmediale “Timed”, di cui tu hai firmato il primo capitolo, “Rio 2031”: come sei stato coinvolto in questa iniziativa? E quanto il tuo contributo si estende al di là del volume d’esordio?

Probabilmente lo devo a "Black Screen" e ad aver insistito nel pedinare Lucio [Staiano], arrivando al limite dello stalking nel presentare i miei progetti. Per fortuna, non venni denunciato e il fumetto piacque abbastanza all’editore da convincerlo ad affidarmi altro. Lucio conosceva il legame che ho con il Fumetto americano, e pensava che mi sarei trovato in un mondo a me congeniale. Oltre alla stesura di "Rio 2031", mi sono occupato di curare alcuni degli altri volumi e di creare la filosofia alla base delle due nazioni.

A “Rio 2031” è toccato il compito di introdurre una realtà inedita, divisa in due blocchi guidati dalle multinazionali TheNation e NewState: quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato nel presentare per la prima volta questo universo narrativo?

"Timed" è un progetto complesso. Un'ambientazione estesa ben al di là di quello che i lettori hanno visto finora. Per essere trascinati all’interno, il pubblico deve conoscere gli assunti di base. Tra questi non vi sono solo i protagonisti e le figure di spicco, ma anche le filosofie fondanti delle due nazioni e il funzionamento stesso dei Timed.

Inoltre, ci tenevo che la storia prendesse una piega anche politica. Non volevo fossero solo i super eroi ad agire, ma anche i capi delle due agenzie segrete, che non possiedono poteri e non manifestano doti fisiche straordinarie. In fondo, durante la Guerra Fredda, non erano solo le spie a compiere le missioni. C’erano anche incontri segreti, patti sottobanco e l’utilizzo propagandistico dei mezzi di comunicazione.  Volevo che la storia somigliasse a un mix tra "James Bond", "Tom Clancy" e "Bourne Identity".

Ti sei ispirato a qualche opera in particolare nel corso della creazione dell’Universo Timed? E in particolare per “Rio 2031”?

A parte quelle appena citate, la serie televisiva "Homeland" ha avuto un grande influsso sulla scrittura. Vedendola ero rimasto colpito dall’onestà della narrazione. Nonostante sia una serie mandata in onda da un canale televisivo americano, gli sceneggiatori mostravano il tema del terrorismo in maniera assolutamente super partes, elencando pregi e difetti di entrambi i mondi, sia quello occidentale che mediorientale. Non ci sono buoni e cattivi ma solo moventi, azioni e conseguenze.

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Credo che questo sia uno dei casi in cui il Fumetto si sia fatto latore di un messaggio denso di significati politici e ambientalisti: quali sono, secondo te, le caratteristiche che rendono questo mezzo di comunicazione tra i più sensibili e aperti alle tematiche attuali?

In una discussione con un mio collega (che ha anche lui firmato uno dei volumi della collana) ci siamo trovati d’accordo sul fatto che, nei prossimi anni, il Fumetto troverà sempre più spazio all’interno della narrazione. Questo perché, come il Cinema, per narrare utilizza le immagini, veicolo simbolo della società moderna. A differenza del suo parente più vicino, il Fumetto è però caratterizzato da una partecipazione attiva del lettore alla storia, al contrario del Cinema, dove risulta passiva. È il lettore che gira le pagine, che doppia i dialoghi e detta i ritmi narrativi. Questa attenzione da dedicare alla narrazione aumenta le possibilità che messaggi più profondi vengano colti dal pubblico.

Nell’universo di “Rio 2031” le ideologie tendono a polarizzarsi in due blocchi antitetici: alla base di questo spunto narrativo c’è la globalizzazione? Elementi fantastici a parte, nella creazione dell’Universo Timed avete provato a immaginare cosa potrebbe accadere nel mondo reale?

Proprio ultimamente mi è capitato di scoprire che George Lucas, per i diritti di "Star Wars", ha ricevuto in cambio azioni e non denaro, cosa che lo ha reso uno degli azionisti di maggioranza della Disney. Quello che è avvenuto, in realtà, è un accorpamento non molto dissimile dalle mega-corporazioni cyberpunk di Gibson. Così sarà per il Presidente della Fox, quando i diritti degli "X-Men" torneranno alla casa madre.

Il problema non è domandarsi se nel mondo, così come lo conosciamo, ciò possa accadere, ma chiedersi se non stia già accadendo. Ora provate a pensare se, in un periodo di crisi, con i governi e le loro casse ai minimi storici, un’enorme multinazionale decida di comprare il servizio di polizia di una grande città e garantire l’ordine in cambio di favori politici o altro. Ad oggi, gli americani si rivolgono a compagnie private per combattere le proprie guerre.

Infine, immaginate quanto oggi la politica sia in realtà un continuo e costante afflusso di denaro. Quanto, serie televisive come "House of Cards" ci mostrino che senza soldi non c’è nessun Presidente. Ora chiedetevi cosa muove davvero il mondo.

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Una delle peculiarità di questa iniziativa editoriale è la sua natura crossmediale: secondo te, il futuro del Fumetto sarà lontano dalla carta? E come vivi questa prolifica stagione di passaggio in cui cartaceo e digitale convivono in uno stato di complementarità?

Questa è praticamente una domanda da un milione di dollari. Il digitale è il futuro, non solo del Fumetto, ma dell’Arte in generale? Sì. Questo migliorerà l’Arte? Non lo so. Di sicuro la produzione sarà ancora maggiore, visto l’abbattimento dei costi e la possibilità di dare una distribuzione mondiale ai prodotti con estrema facilità. Un'app la si può scaricare dallo store da qualsiasi parte del mondo.

Oggi, per esportare un prodotto, c'è bisogno, nella maggior parte dei casi, dell’appoggio di una casa editrice operante in quel Paese. I social hanno sì diffuso cultura, ma l’hanno resa più superficiale. Poter produrre di più, investire di più, non significa per forza migliorare la situazione.

Prima di altre realtà, Shockdom ha saputo attingere dal Web e valorizzare quel folto sottobosco di narrativa a fumetti indipendente: credi che nel nostro panorama fumettistico sia in atto una “rivoluzione” dal punto di vista espressivo?

In un certo senso, sì. Ormai la comunicazione è digitale, e il digitale è diventato una vetrina. Un tempo ci volevano portfolio e contatti degli editori, ora ti basta aprire un profilo DeviantArt e, se sei bravo, probabilmente ti troveranno loro. In più, ora l’autore può costruirsi un pubblico ancor prima che il suo fumetto venga pubblicato, e questo lo rende ancor maggiormente appetibile per un editore.

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Passiamo alla tua precedente opera, “Black Screen”: in quel caso, si confrontavano due diverse dottrine filosofiche, determinismo e fatalismo. Com’è nata l’idea alla base del fumetto?

L’idea di "Black Screen" è stata imbastita da Lucio, che poi mi ha dato la possibilità di scriverla. Prima di approcciarmi a qualsiasi storia mi chiedo quale possa essere il perno centrale. Le contraddizioni e le certezze che i personaggi vivono, che quel mondo stesso vive. Conoscere il proprio destino è qualcosa che vorremmo poter fare tutti. Il senso di sicurezza che ne deriva è straordinario, e quanto questo senso di sicurezza sia per noi importante lo riusciamo a capire da quanto alcuni politici si appellano a esso per giustificare le proprie azioni. Dall’altra parte, il destino è una prigione. Un binario. Una direzione da cambiare nel caso non ci piaccia la meta che stiamo raggiungendo.

Gli ultimi tuoi lavori sono legati da un contesto che porta alle estreme conseguenze le brutture della società contemporanea: è questo il territorio che preferisci indagare o presto ti vedremo sviluppare qualcosa di completamente diverso?

Più che le brutture, le contraddizioni. Credo che tutto sia cominciato con l’11 settembre. Da lì, le trasformazioni che ha subito il mondo mi sono apparse come una perdita di solidità di ogni nostro pilastro: la famiglia, il potere politico, quello economico.

Ai miei allievi racconto sempre che la differenza tra scongelare Capitan America negli anni '60 o nel mondo odierno, come nel caso dell’Universo Ultimate, è che mentre prima gli bastava puntare a quelli con la svastica, oggi non saprebbe più chi sono i buoni e i cattivi.

In alcuni casi, tratterò ancora questi temi, come per l’adattamento che sto realizzando con Chiara Raimondi di "L'Agente Segreto", di Joseph Conrad, e che verrà pubblicato da Shockdom. Ho modificato la storia originale perché si tramutasse in un "Breaking Bad" con i terroristi, dove le spinte a seguire ciò che vuole il tuo Paese, la tua cultura e il bisogno di proteggere ciò che si ama, sono fortissime. In altri casi mi dedicherò a qualcosa di diverso che più osservo e più credo abbia qualcosa del mio vissuto personale.

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