Science plus Fiction 2014 - La nostra "non intervista" ad Alejandro Jodorowsky!

L'incontenibile Jodorowsky è partito con un fiume di parole per mezz'ora dopo la prima domanda. Un flusso di coscienza su Dune, il cinema Hollywoodiano ma non solo

Critico e giornalista cinematografico


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Non è facile intervistare Alejandro Jodorowsky, non è facile proprio prendere le redini di una conversazione con lui, un po’ perchè l’85enne quando parla è un fiume in piena, un po’ perchè ascoltarlo è un piacere e forse il percorso che le sue parole prendono assecondando il suo flusso mentale è anche migliore di quello che avrebbe potuto prendere indirizzato da diverse domande. È successo quindi che al Science + Fiction Festival di Trieste dove Jodo è ospite non sia stato possibile fargli che una sola domanda, la prima. La risposta è durata circa mezz’ora. Un monologo fenomenale tra presente e passato che più che enunciare lui ha recitato.

Il regista che da 23 anni non faceva un film è qui con La danza de la realidad, già visto a Cannes e ora distribuito di città in città nel nostro paese con un tour di cui egli stesso è protagonista (le motivazioni sono contenute nel lungo monologo).

Appena arrivato Jodorowsky si siede e subito chiede come funzioni se debba iniziare a parlare lui o se ci saranno delle domande, già da lì bisognava capire cosa sarebbe successo. Chi scrive ha rotto il ghiaccio con una domanda in apparenza semplice e abbastanza banale che ha aperto le acque di un fiume in piena:

Sappiamo bene come mai dopo la delusione del Dune mai girato si è allontanato dal cinema ma in questi anni ha continuato a vedere film o si è disamorato anche come spettatore?

Quel che segue è la risposta integrale, abbiamo pensato di proporvela così, lunghissima e senza tagli o cesure, cercando di spiegare quando possibile anche le mosse e le intenzioni della recitazione, come il grande monologo in spagnolo pieno di ironia, battute e sarcasmo che è stato. Una lunga e piacevole lettura a tratti ingenua (il discorso sulle sale soprattutto) a tratti romantica e a tratti semplicemente quel misto di poesia, suggestione, falsità e sentimento che è Jodorowsky.

Bene, bella domanda. Grazie.

Non ho mai lasciato il cinema in realtà. Non ho fatto film per 23 anni per mancanza di soldi, perchè ho scelto una via anti-industriale. L’industria del cinema sarebbero gli Stati Uniti e quel che fanno non è più un’arte ma un'industria di intrattenimento che non ha alcuna aspirazione umana, l'unica aspirazione che ha è il denaro e questo contamina tutto quanto. Hollywood investe denaro per avere altro denaro, spendono la gran parte dei soldi per fare il film con le star di turno e così il poeta, cioè l'autore, sparisce perchè al servizio dell'industria. Questo prevede anche la colonizzazione della pubblicità, la promozione del film costa infatti tanto quanto il film stesso perchè la mettono ovunque. Infine anche le sale vengono colonizzate perchè hanno trasformato gli esercenti dei codardi che al solo vedere un film d’arte urlano: “AAAAhhhh una pelìcula de arte!!!”.

Tremano davanti ai film d'arte ma aspettano Transformers e L’Hombre de Fierro [probabilmente intendeva Iron Man ndr] per avere i quali devono accettare altri nove film cretini, dunque per un Transformers arrivano sempre più film cretini. In questo sistema chi vuole fare cinema d’arte diventa un maledetto, un matto, perchè lo fa per perdere soldi ma io mi chiedo in tutto ciò dove sia l'essere umano. A cosa serve il cinema? Per rilassarti? Ma anche un sigaro ti rilassa però ti uccide mentre il cinema industriale ti vuole solo idiota perchè ti lascia in superficie. Entri al cinema, ti rilassi, passi un buon momento e ne esci uguale a prima.

È una vera e propria guerra questa. Io non potevo esser distribuito, non avevo un produttore che mi desse dei soldi e il cinema è molto caro visto che per un piccolo film c'è un esercito che ci lavora. Per questo rido se penso ai 400 milioni di dollari di Avatar mentre La danza de la realidad è costato 4 milioni e durerà molto di piu di Avatar, durerà trent’anni come El topo e La montagna sacra. È la corsa di una tartaruga contro una lepre. Lo dico sempre ai miei produttori: “Investite nei miei film, recupererete i vostri soldi in trent'anni!” [ride ndr].

Vedete, quando ero bambino nella piccola città in cui vivevo c'era un solo cinema, era l'unico intrattenimento che avevo, era una favola meravigliosa andarci. Mio padre aveva un piccolo negozio in cui lavorava con mia madre fino alle 9-10 della sera e poi andavano al cinema e mi lasciavano legato nella culla. Per questo ho fatto i film, per incontrare mio padre.
Quando avevo 14 anni l'unica mia vacanza era andare al cinema e vedere i film americani. Poi un giorno improvvisamente apparve La strada di Fellini e mi cambiò la vita, perchè capii cosa poteva essere il cinema. In seguito quando venni a Roma con Santa sangre 25 anni fa, mi chiesero chi mi avesse influenzato, raccontai di La strada e Fellini lo lesse. Mi invitò allora a vedere le riprese di La voce della Luna. Arrivai tremando in una notte oscura mentre giravano in un campo gli esterni tutto con luci al neon. Lo vidi lì e per me lui era immenso, alto e grosso, quando mi vide aprì le braccia e mi disse [imita l’accento italiano con voce molto alta ndr.] “JODOROWSKY!!!” e io risposi: “PAPA’!!” ci abbracciamo e in quel momento cominciò a piovere a dirotto, tutti scappammo in cerca di un riparo, lo persi e non l’ho mai più visto. Questo è stato tutto il nostro incontro, due parole: Jodorowsky - Papà.

Quindi capite che non ho smesso davvero di interessarmi al cinema ci ho continuato a pensare. Ho scritto sceneggiature e tutti i giorni vedevo film, almeno uno, circa alle 11 di sera. Così ho visto tutta la produzione di Hollywood. E vedendo tutti i film hollywoodiani ho capito che in realtà è una grande macchina per vendere tabacco e alcohol, in ogni film c'e qualcuno che al primo problema beve o fuma. È un impresa pubblicitaria Hollywood.

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Invece il cinema senza pubblicità chiede e dà qualcosa di artistico, io cerco di scoprire me stesso e quel che scopro di positivo e bello cerco di produrlo nello spettatore. Così senti che, anche se vi parrà ridicolo, il vero amore esiste ma non come lo presentano in quei film lì, la collaborazione umana esiste e la bellezza umana esiste. Ogni persona ha un valore interiore e se l'arte e il cinema non servono per curarti tutto questo male di cui soffriamo perchè facciamo cinema allora? Un vecchio come me che avrà al massimo altri 10 anni di vita perchè fa questo tutto questo lavoro, che sono pazzo? CERTO! Se vuoi lasciare il mondo meglio di come l'hai trovato devi, è la saggezza del water pubblico: lasciarlo come l'hai trovato. Io addirittura voglio lasciarlo meglio!

Posso fare cinema come sento debba essere e di tanti film che ci sono possibile mai che io non possa fare il mio solo perche è d'arte? Così durante questi 23 anni ho aperto un conto in banca e ho messo da parte piano piano dei soldi accumulando alla fine 400.000$ di denaro sacro e intoccabile che ho deciso di perdere interamente facendo il film! Ho deciso di non guadagnare nulla! Però era solo il 10% del budget previsto, per fortuna ho trovato produttori che hanno messo il resto. Uno è un idealista messicano, che ha investito 500.000$ per vedere una pellicola artistica e poi grazie al documentario su Dune [il meraviglioso Jodorowsky’s Dune ndr.] ho scoperto che Michel Seydoux non ce l’aveva con me. Non l’avevo più sentito da quell’epoca e credevo mi odiasse per quel che era successo con Dune, gli avevo fatto perdere 2 milioni di dollari, invece mi ha detto che quella è stata la più grande esperienza della sua vita e lui era convinto che fossi io ad odiarlo, così ci siamo visti e concordato che la fase della lavorazione di Dune è stata la migliore epoca della nostra gioventù. Anche lui ha investito nel film quando gli ho detto che io ci stavo mettendo soldi miei. Gli ho anche detto che non gli avrei fatto leggere lo script ma gli avrei portato il materiale girato e se gli piaceva avrebbe pagato la postproduzione e così è stato. Quindi il produttore messicano ha finanziato la prima parte e poi Michel Seydoux la seconda.

Il cinema che ho più amato in questi anni è stato quello della Corea del Sud e poi, se non considero il lato politico ma solo la forma, ho adorato i film cinesi. È chiaro che loro girano per un anno intero senza riposarsi la domenica e io invece avevo 7 settimane ma dovevo raggiungere la loro medesima qualità ed è un po’ un’impresa. Ma come dicevo il cinema è una guerra tra chi fa film veri e chi fa film industriali, entrambi possono esistere ma il cinema vero deve cercare un'altra modalità di produzione e distribuzione. Quindi io sono qui in Italia con un tour per presentare il film. E perchè proprio qui in Italia faccio il tour? Cos'ho a che fare con l'Italia? Molto. La prima cosa che vedrete nel film è che da piccolo mi chiamavano Pinocchio per via del naso e perchè ero del nord del Cile, quindi più bianco degli altri. Ah quanto mi è costato liberarmi da quella nomea! Però in questa maniera sono entrato in contatto con quella vera opera d'arte che è il Pinocchio di Collodi che contiene il vero amore di un padre. Mentre l'amore delle madri è molto conosciuto (a partire dalla Madonna) quello dei padri no, Geppetto è un santo e anche io nel mio film ho voluto inserire un santo che fa il falegname. Oltre a questo mi piace molto la poesia italiana anche se non sapevo perchè, mio padre odiava gli intellettuali, diceva che i poeti erano tutti finocchi e quando trovava le poesie da me scritte le stracciava. Mi diceva: “Gli uomini non piangono! Gli uomini sono forti! Tu devi diventare un pompiere!”. Io invece cercavo qualcosa di bello lavorando con la parola, almeno fino a che non ho letto il manifesto del Futurismo, in particolare una frase di Marinetti che mi cambiò la vita: “La poesia più che parola dev'essere atto!” L’atto poetico! E allora anche io da giovane poeta ho cominciato a fare atti poetici, lo potete leggere anche nel libro La danza della realtà, e l'atto che più mi ha segnato all'epoca lo feci con il mio amico poeta Enrique Lihn: camminare in linea retta senza seguire le strade. “Perchè mai dovremmo seguire le strade che fanno tutte quelle curve? Noi andremo dritti!”, quindi ci arrampicavamo sugli alberi per procedere in linea retta, entravamo nelle case e chiedevamo ai proprietari: “Signori buongiorno, siamo due giovani poeti possiamo passare attraverso casa vostra?”. Non c'era ancora Pinochet e si era più ingenui. Dopo quello ho creato l'atto psicomagico, se l’atto poetico va più in là della parola, l’atto psicomagico va più in là della psicoanalisi perchè quest'utlima non ti guarisce, non ti cura visto che usa solo la parola, solo gli atti possono curare. Più di 5 anni di psicoanalisi può fare un abbraccio, perchè è un atto e La danza de la realidad è piena di atti poetici e psicomagici. L’ultimo motivo per il quale faccio il tour di distribuzione in Italia è per il mio amico Salvatore, l’ho conosciuto quando avevo una casa editrice di soli libri di poesia, ero ad un piccolo festival con i poeti della beat generation americana e lui mi chiese di farmi leggere una sua poesia, gli risposi "Certo!", era un poema sul matto dei tarocchi, mi piacque e lo pubblicai nel mio primo libro di poesia, si chiamava “Di ciò di cui si può parlare”. Per venderlo facemmo un'avventura poetica, gli regalai un mese della mia vita e girammo per le città con una macchina piena di libri andando a venderli uno per uno. Questo film ha avuto molto successo quando è passato a Cannes, così Pathè, il grande elefante della distribuzione industriale francese, ha chiesto di poter avere i diritti per la distribuzione. Glieli ho venduti ma per l'Italia volevo un'avventura poetica, non volevo un distributore, così mi sono messo con il mio amico e quando ho avvertito Pathè loro mi hanno chiesto: “Ma questo suo amico sa qualcosa di cinema?” e ho risposto [sorridendo pieno di gioia negli occhi ndr.] “No. Niente!” Mi hanno detto che ero pazzo e ho risposto “Si, si, lo sono ma voglio un poeta, ed essendo produttore ho diritto di intervenire in queste decisioni”.

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Allora la nostra battaglia è fare in modo che il circuito industriale perda la paura verso i film d'arte. Non parliamo più di film d’arte ma di “cinema vero” e con questo tour stiamo dimostrando che c'è un pubblico per questo cinema. Da Bari a Roma a Firenze a Trieste, dappertutto abbiamo riempito le sale, oggi ci saranno 900 persone per questo film, a Bari erano 700 e a Bologna abbiamo fatto tre proiezioni in una sala da 300 persone, addirittura a Firenze lo tengono in programma per 3 settimane. È Davide contro Golia, tutta un'altra maniera di lavorare. Non tutti vogliono fare e vedere solo cinema industriale, se ti piace quella roba la puoi vedere in tv come le serie che vanno anche più lontano dei film. Pensate che quando ho fatto lo script di Dune, la prima stesura durava 14 ore e tutti dicevano che ero matto ma ora la gente fa pellicole di 20 episodi di un'ora ciascuna e chi è che non ha passato ore e ore consecutive a vedere episodi di una serie una puntata alla volta? È un altro mondo.

Quando mai capita che un regista vada in giro a vendere il suo film? È una cosa indegna! [ride ndr.] Ma l'arte ti offre solo due possibilità: essere il migliore o essere diverso, io non so se sono il migliore ma so di essere diverso, le mie pellicole non somigliano a niente e sono 23 anni che ruminavo e mi rodevo dentro per quel che volevo fare. Tutti mi chiedono di cosa parli il film, quale sia la trama ma tutti i film hanno la stessa trama! C'è un eroe che vuole fare qualcosa e non ci riesce, gli accade qualcosa e a quel punto desidera provare, va alla ricerca del filtro magico o quel che è, e nel cammino trova alleati e nemici, gli appare il male o il nemico e poi nel terzo atto solitamente sembra che il nemico vinca e l'eroe sia caduto ma poi si rialza e vince il male. Nella fase di ritorno, nell'ultimo frame poi una mano viene fuori dalla terra e gli prende il piede, l'ultimo pericolo che sconfigge, dopodichè torna a casa e tutti lo amano. È Il viaggio dell'eroe di Joseph Campbell tratto dal suo libro “L'eroe dei mille volti”, Hollywood lo applica ad ogni film e io voglio rompere con tutto questo, perchè mai devo raccontare una storia in questo modo? La danza de la realidad parte con me stesso da bambino, poi cambia e segue la storia di mio padre. Io non racconto una trama o un racconto solo ma tanti tutti insieme, alla stessa maniera nel film non c’è un genere unico ma tanti generi perchè la vita non ha un solo genere ma è un impasto che tiene tutto unito. Come i giornali, c'è una notizia sul Papa, una su un narcotrafficante, una su un calciatore, un politico ladro... Tutti uniti e io anche io tengo tutto unito, perchè mai dovrei seguire quell'indicazione lì? E poi la fotografia! I film di Hollywood hanno tutti la stessa fotografia, luci e ombre. Questo è l'attore e muovo la camera così da arrivare a lui, la camera gira per inquadrarlo come se nella vita uno guardasse le cose così! E se c'è un momento emotivo la camera zoomma lentamente in avanti su un volto che piange. Basta con questa fotografia! Non ho voluto nessun dettaglio estetico nel mio film! Nessun abbellimento! Il mistero in piena luce, non voglio nessuna ombra: “Eliminate tutte le ombre, il mio film non avrà ombre!”. Ad un certo punto addirittura mio figlio, che interpreta mio padre deve ammazzare il dittatore ma gli serve una pistola, allora entro io in scena dal nulla e gliela metto in mano, poi il film continua normalmente senza che nessuno si stupisca e questo perchè e il cinema è il cinema e dev'essere cinema!
La peggior cosa che ci possa essere invece è la terza dimensione, la putrefazione totale. Come organizzi l'immagine se tutte le cose devono uscire dallo schermo? È come un fallo che viola lo spettatore, fra un po' a furia di simulare il 3D il film sarà uno stupro, non lo vedremo con gli occhi ma dovremo girarci e metterci a quattro zampe per vederlo con l'ano.
Ecco ho finito. Questo è il mio prologo [ride ndr.]”

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