I registi di The Void: "Il cinema horror è invaso da film mediocri"

Simon Kostanski e Jeremy Gillespie, registi di The Void, ma già truccatori e art director ad Hollywood parlano del cinema horror di oggi

Critico e giornalista cinematografico


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The Void è un’operazione di recupero dell’artigianato nell’horror fatto da due esperti del make up e dell’art direction di alcuni dei più importanti film hollywoodiani in materia. Kostanski e Gillespie sono stati al servizio (insieme) di It, Suicide Squad, Crimson Peak, Pacific Rim, Total Recall e molti altri blockbuster. Con il loro primo film passano dietro la macchina da presa per realizzare un film in cui la creazione di un ambiente, i trucchi, il sangue e i mostri sono in primissimo piano.

Li abbiamo potuti sentire via mail per capire da dove vengano le loro ispirazioni e cosa pensino del cinema di genere al momento.

Location, toni, colori e l’uso della luce in The Void sembrano venire più dai videogiochi dell’orrore che dai film del genere. I videogame sono davvero stati un’ispirazione nel pensare il film?

Jeremy Gillespie: “Non sono daccordo con quel che dici, ma di certo sia io che Steve siamo grandi amanti di Silent Hill, ed è stato molto influente su The Void. Per quanto ne so, molti di questi videogiochi si ispirano ai film, ma non sono un grande giocatore né un esperto”.

Steve Kostanski: “Diciamo che da Silent Hill vengono alcuni aspetti del film come il design delle creature, ma non abbiamo mai parlato esplicitamente dei videogiochi survival horror nelle nostre riunioni. Certo credo che The Void di tanto in tanto abbia un tocco da Resident Evil 2 che però viene in realtà dai classici dell’horror cui quello stesso gioco si rifà… O forse sono io che ci ho giocato troppo

Chi è che ha creato il design delle creature?

JG: “Sono nate in molti modi diversi. Alcuni nostri amici che sono dei concept artist hanno dato un contributo, un altro po’ l’abbiamo creato noi, Steve in particolare. E poi sono stati ulteriormente migliorati in fase di costruzione. L’idea era che fossero creature nate da una persona, come fossero uscite da un bozzolo, fatte di organi interni in una scala gigante. Ma c’è anche anatomia umana mescolata a idee di alieni. Infine ci siamo fatti ispirare molto dagli horror giapponesi

SK: “Si è stato decisamente un lavoro di gruppo e il difficile era, con così tante ispirazioni, fare in modo che le creature fossero simili ma che ognuna risultasse unica”.

Nel film è come se presentaste l’inferno, un po’ come faceva Punto di Non Ritorno di Paul W. S. Anderson. In questi casi cosa rende un “inferno” credibile?

JG: “L’inferno che presentiamo non è letterale, più interiore, personale. Credo che molti spettatori presuppongano che proprio le ultime scene siano effettivamente ambientate all’inferno ma non è così”.

SK: “Volevamo essere abbastanza ambigui riguardo il mondo da incubo in cui sono calati i personaggi e lasciare che gli spettatori decidessero per sé cosa sia. È quel tipo di ambiguità che scatena le discussioni dopo il film, e io amo sentire le teorie delle persone su cosa The Void sia davvero”.

Quale credete che sia oggi la missione del cinema di serie B? Una volta erano sottoprodotti fatti con budget inferiori rispetto ai film dei grandi studi, oggi invece i costi di tutte le produzioni sono calati e un budget basso non vuol dire meno possibilità in sala…

JG: “Non è mai stato così facile fare un film, ma questo fa solo sì che il mercato sia inondato di produzioni mediocri. Tutto finisce subito in streaming, cosa che svaluta proprio il mezzo a mio parere. La maggior parte degli horror di oggi mi sembra soffra degli stessi problemi del resto dei film, cioè piacere a tutti i costi ad un pubblico che sia il più vasto possibile”.

SK: “Mi piace pensare che la missione di qualsiasi film dell’orrore, a prescindere dal budget, sia spaventare il pubblico e farli uscire, se possibile, con meno sicurezze di quando sono entrati

Il cinema sembra sempre rifare le proprie storie o continuarle, ma non nel cinema dell’orrore. La Blumhouse ha dimostrato quanto il cinema di paura duro e puro sia ancora attraente per il pubblico. Secondo voi perché?

JG: “I filmmaker riciclano sempre le loro storie, a prescindere dal genere. Alle volte è un omaggio a chi ti ha ispirato, altre volte è furto. Ma credo che nell’horror ci sia più libertà di essere sovversivi e sperimentali, perché ci sono meno aspettative e meno obblighi. E forse anche per questo i migliori film dell’orrore spesso riflettono cosa sta accadendo nel mondo, in una maniera molto viscerale e non sentimentale

Robert Eggers, il regista di The Witch, ha detto di non essere un vero appassionato di horror ma che aveva che capito come oggi fare un film dell’orrore fosse una maniera diretta per farsi produrre un lavoro originale. Pare anche a voi che sia così?

JG: “L’horror è forse più facile da vendere come high concept e avrà sempre un pubblico fedele, ma non c’è niente di facile nel fare un film. Io e Steve abbiamo lavorato duro su The Void, imparando a contare solo su noi stessi. Non credo ci sia nulla del film in cui non abbiano messo le mani, e questo per necessità, perché il budget è molto calato prima dell’inizio delle riprese. Sono quindi molto fiero di quel che siamo riusciti a fare con quello che avevamo e alla fine abbiamo ottenuto una distribuzione in molti territori”.

SK: “Ci sarà sempre pubblico per l’horror, questo lo rende un genere attraente per i finanziatori. Ma fare un horror vero ed efficace non è facile, che è il motivo per il quale il mercato è invaso da immondizia. In un certo senso i film dell’orrore sono i più difficili da fare, perché per spaventare il pubblico devi riuscire a convincerlo sul serio della concretezza di quel che sta guardando, e questo significa che ogni singolo aspetto del film necessita di lavoro. Una performance non è convincente, un effetto non è convincente e hai perso il pubblico”.

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