Renato De Maria su Rapiniamo il Duce: "Doveva essere cotto e mangiato poi è arrivata la pandemia"
Prima produzione Netflix italia poi gonfiata da Netflix International, come Rapiniamo il Duce è cresciuto nelle mani di Renato De Maria
Con Rapiniamo il Duce Renato De Maria grazie a 3 film in 7 anni è diventato uno dei registi di cinema criminale più interessanti tra quelli che lavorano in Italia. Italian Gangster era il primo, un documentario dell’Istituto Luce presentato a Venezia nel 2015 in cui venivano ricostruite con molte invenzioni visive imprese azioni ed etica dei grandi gangster italiani degli anni ‘40 e ‘50. Poi è venuto Lo spietato, film di finzione per Netflix con Riccardo Scamarcio che centrava benissimo la durezza del genere affiancata al rapporto con il paesaggio del nostro cinema per creare una malavita d’emigrazione milanese perfetta. Ora, terzo film e terzo sottogenere diverso, è per l'appunto il fumettone Rapiniamo il Duce. Grande stile, grande budget, grandi attori, grandi aspirazioni.
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“Decisamente. A sorpresa quel film è andato bene in tutto il mondo, siamo stati primi in parecchi paesi anche lontani come Filippine, India, Sud America, Arabia Saudita… È andato bene anche nel Regno Unito. Dunque da Netflix ce ne hanno chiesto un altro”.
“Quasi. Come Lo spietato anche Rapiniamo il Duce è figlio di Italian Gangster. In particolare siamo partiti da Ezio Barbieri (detto “il bandito dell’isola”), la famosa mala milanese degli anni ‘40 che poi ha ispirato anche Scerbanenco. I personaggi del film sono tutti ispirati a banditi davvero esistiti che hanno fatto cose folli anche se non hanno mai rapinato il Duce”.
Lo spunto del tesoro del regime da dove viene invece?
“Da un documentario visto a tarda notte sul tesoro di Dongo, la cittadina sul lago di Como in cui Mussolini è stato arrestato dai partigiani. Quando accadde aveva con sé 2-3 camion pieni d’oro, fedi, monete, banconote, gioielli e anche tutta roba sequestrata alle famiglie ebree. Un patrimonio! Quel tesoro è effettivamente sparito, nessuno sa dove sia, non si sa se l’hanno preso i partigiani, i tedeschi…. Se è in fondo al lago… tante volte hanno cercato sotto al lago di Como. Fatto sta che non c’è”.
E quindi ne avete fatto una rapina fumettosa…
“A dire il vero una delle nostre reference maggiori era Rififi, un film di rapina francese degli anni ‘40 con una scena del colpo che dura 40 minuti senza parole”.
E allora da dove viene questo tono?
“Dalla voglia di fare un film divertente, io poi sono quello che ha girato Paz!, i fumetti li ho trattati già. E anche avere Pietro Castellitto come protagonista è una scelta figlia di quella cosa lì, un attore che scarta dalla regolarità”.
E ci sono dei fumetti nel film stesso…
“Sì esatto sono disegnati da Giuseppe Camuncoli, che è una superstar del fumetto italiano, uno che disegna copertine di Spider-man per la Marvel in America. Per noi però ha dovuto disegnare male, perché sono disegni di uno dei nostri personaggi”.
La produzione è di gran livello. Di che budget parliamo?
“Il più grande che io abbia mai gestito, 12 milioni di euro. E chiaramente con un budget così è arrivata anche la richiesta di essere larghi e rivolgersi ad un pubblico grande. Altro elemento che ci ha fatto propendere per un tono divertente”.
Che comunque fa un po’ ridere come ragionamento: Lo spietato non aveva per niente un tono divertito, era semplicemente un bel film e pure un po’ di nicchia, e ha avuto un pubblico molto largo!
“Sì infatti quel film nasceva proprio indie. Questo invece era nato cotto e mangiato, da fare subito, invece per via della pandemia siamo stati fermi tantissimo tempo, tipo 2 anni. Tempo in cui l’abbiamo scritto e riscritto. Così, visto che intanto Lo spietato andava molto bene su Netflix, da che era partito come un film dal costo simile, intorno ai 3-4 milioni, Rapiniamo il Duce è lievitato fino a diventare uno da 12 circa. C’è stato proprio un passaggio tecnico da produzione Netflix italiana a produzione Netflix international, cosa che sblocca altri soldi”.
Ad ogni buon conto il film finisce con una bella porta aperta per un altro…
“Sì però io non credo eh… All’inizio l’idea del sequel c’era: una banda nel dopoguerra che si ritrova con Nora che salta fuori essere diventata una spia. Era tutta una cosa sulle spie negli anni ‘50 e ‘60, sempre con un colpo. Però poi ce la siamo un po’ persa per strada e adesso quel costo lì non so se è più affrontabile. Però il finale rimane aperto”.
Solo Netflix poteva produrre questo film?
“Guarda il punto di Netflix è che ci puoi parlare di idee che loro effettivamente possono produrre. Io non voglio fare solo film per Netflix ma so come tutti gli altri che se i numeri vanno bene (ed è una condizione che poi vale anche per gli altri produttori che fanno uscire i film in sala) ti continuano a far lavorare con budget buoni. Parliamoci chiaro, un film di rapina al Duce anche solo da 5 milioni di euro è difficile da piazzare sul mercato delle sale italiano”.
Tu hai iniziato facendo commedie o film drammatici molto in linea con la produzione italiana di quegli anni, poi ad un certo punto hai iniziato a lavorare con il cinema criminale e non l’hai più mollato. È stato un caso e poi hai seguito un filone che funzionava o volevi fare cinema criminale fin dall’inizio?
“Già durante la preparazione di La prima linea, la cui genesi è diversa e ha a che fare con la mia generazione e il tentativo di capire cos’era successo in quegli anni, mi ero documentato sulle evasioni perché ne dovevo filmare una e da quello mi è scattata la passione. Sono capitato su un libro chiamato Storia della rapina, che esiste davvero, tutte le storie dei grandi rapinatori, a cui mi sono appassionato e da lì nato con l’Istituto Luce il progetto Italian Gangster, doveva essere un documentario non convenzionale su Mussolini e invece è diventata l’origine di un filone!”.
Ora stai girando Septimo, cos’è?
“Un thrillerone che nasce sempre da Netflix. Non l’ho scritto stavolta, è stato acquistato da Netflix Argentina poi riscritto da Luca Infascelli e Francesca Marciano. Il copione mi è arrivato mentre mixavo Rapiniamo il Duce e ho colto al volo l’opportunità, avevo paura del vuoto che arriva quando un film finisce e non sai che farai, specie se come in questo caso ci hai messo 4 anni!. È un buon copione. Classico. Un film che ti diverti a fare e probabilmente a vedere”.