Rapalloonia 2017: Intervista ad Alessandro Bilotta, da Dylan Dog a Mercurio Loi
All'ultima Rapalloonia abbiamo intervistato per voi Alessandro Bilotta, vincitore del Premio U Giancu
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Ciao, Alessandro! È un piacere ritrovarti su BadComics.it. Innanzitutto, complimenti per il Premio U Giancu! È la maniera ideale per celebrare l'esordio di "Mercurio Loi". Com'è stata la risposta del pubblico?
Grazie! Sono molto felice per il premio. Per rispondere alla tua domanda, è ancora presto, per una sequela di fattori. Prima di tutto, l'uscita in contemporanea in edicola e in fumetteria, che solitamente ha tempi di risposta più lenti. Inoltre, lo zoccolo duro di lettori si forma dopo almeno cinque numeri. Per avere dati certi dopo l'uscita di un albo ci vogliono un paio di mesi. Per cui diciamo che dopo Lucca si avrà un quadro più chiaro e il polso della situazione.
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Nella terza uscita, "Il piccolo palcoscenico", fai fare a un comprimario, il burattino, un'attenta descrizione del protagonista. Partendo dal nome "Mercurio", vengono fatti riferimenti al pianeta, al metallo e al dio della mitologia greco-romana: sono tutti elementi che ti hanno suggestionato durante la creazione del personaggio?
Sinceramente, non è facile rispondere. È complesso ricostruire a posteriori come nasce cronologicamente una storia o un personaggio. Molte cose vengono fatte in maniera subliminale. Certo, la decisione di chiamarlo Mercurio mi è stata suggerita dal fatto che il termine in sé ha moltissimi significati e richiami, anche se probabilmente quando ho scelto il nome non li avevo bene a fuoco tutti. Poi, cominciando a scrivere i primi numeri e divertendomi a smontare il protagonista - come se fosse anche lui l'oggetto delle indagini - ho scoperto quanti elementi potessero essere legati al nome Mercurio e quanto gli fossero affini. Da lì ha preso il via il resto.Mercurio non ha certo l’età, le fattezze e neppure il carattere di un tradizionale protagonista di un fumetto: non è accattivante come un classico eroe Bonelli. Lo hai concepito subito così?
Parto dall'idea che "accattivante", "interessante" e "affascinante" siano aggettivi che, se riferiti ai canoni della bellezza tradizionale, non si sposano con il mio modo di concepire un fumetto. Diciamo che molti - ma non tutti - gli eroi Bonelli, funzionano così. Però se penso a Hellboy o Tintin, questo discorso non funziona.
Quando ho iniziato a dare forma a Mercurio Loi, l'ho immaginato immediatamente come una scimmia. La scimmia è un animale curioso, iperattivo, intelligente e fastidioso, tutte caratteristiche che appartengono al mio personaggio. Inoltre per me, la scimmia è l'animale più misterioso perché è quello che più ci somiglia e forse nasconde in sé le origini della nostra stessa esistenza.
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Sempre nel terzo albo, scopriamo che l'assistente di Mercurio si chiama Ottone. Se il protagonista è stato battezzato con il nome di un metallo, il suo aiutante porta quello di una lega. È solo una casualità?
Potrei mentirti, ma confesso che molte delle dinamiche che mi portano a idee e pensieri che poi traduco nel fumetto riesco a metterle a fuoco con lucidità solo a posteriori. Potrei raccontarti un aneddoto affascinante per una spiegazione che in realtà non c'è... è tutto piuttosto avvolto nella nebbia.
Restiamo su "Il piccolo palcoscenico", disegnato meravigliosamente da Onofrio Catacchio per i colori di Erika Bendazzoli. Possiamo considerarlo una sorta di pietra angolare della serie. Su queste pagine viene introdotto Leone, il nuovo domestico di Mercurio, una figura molto intrigante. Quando è maturata l'intenzione di sostituire il buon Ercole?
Quando ho realizzato "Mercurio Loi" per "Le Storie" volevo essere sintetico e immediato, farmi capire subito dal lettore. Lo esigeva quel prodotto, che prevede un'unico episodio. Ho inseguito dunque uno schema classico dei personaggi anche se a me piace approfondirli il più possibile, di modo che risultino lontani da uno stereotipo.
Arrivata l'idea di una serie, due comprimari in particolare non mi convincevano appieno perché ritenevo non avessero sufficienti potenzialità. Uno era il Colonnello Belforte e l'altro era proprio il domestico di Mercurio, Ercole. Così ho optato per azzittire quello strillone del Colonnello – mi pareva un espediente divertente – e di uccidere il maggiordomo, che è mi servito molto di più da morto per far emergere alcuni aspetti di Mercurio e non solo.
Torniamo alla genesi della serie: il fumetto di Le Storie è in bianco e nero, mentre la testata regolare è a colori. Ci racconti com'è nata l'idea del colore?
Ci sono più motivi, pratici e creativi. Dico pratici, perché ormai la Bonelli si è costruita una solida fama anche sugli albi a colori, e vedo che oggi - ma soprattutto domani - le sue produzioni saranno sempre più in policromia. Basta dare un'occhiata a cosa uscirà a Lucca.
Ma veniamo al lato creativo. Io sono portato a spremere, a sfruttare tutte le potenzialità narrative disponibili in un fumetto. Il colore mi sembrava una qualità in più, molto interessante. Per questo motivo, le avventure che avete letto e leggerete sono sempre legate in modo inconscio o razionale al colore, che gioca un ruolo di rilievo nella storia. Talvolta è addirittura il punto di partenza creativo.
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A tal proposito, chi firma le copertine di "Mercurio Loi" è un artista straordinario come Manuele Fior. Lo vederemo prima poi anche come disegnatore di un albo?
Posso risponderti dicendo che io ho alcune idee su Mercurio Loi e anche su certi progetti collaterali da realizzare. Il mio interesse è di lavorare a cose molto particolari. Dobbiamo capire come.
L'intervista continua nella prossima pagina!
Non è affatto semplice azzardare un genere di appartenenza a "Mercurio Loi". Ci aiuteresti a cercarne uno?
Premetto che non amo il genere e che per me ha un senso solo in libreria, quando devi cercare un titolo. Tuttavia, penso che in qualche modo un'opera vada etichettata, almeno per catturare coloro che potrebbero essere interessati a certi temi. Scherzando dico che "Mercurio Loi" è “Avventura da passeggio”, ma c'è molto altro, ovviamente. Non è per nulla semplice, come dici tu.
Un elemento caratterizzante delle avventure lette finora è sicuramente la curiosità a cui accennavi già tu prima. Sono trame originali e suggestive, così come lo è il carattere del suo protagonista. Come nasce l'idea di un soggetto per "Mercurio Loi"?
È difficile riassumerlo in poche battute. Ci sono moltissime cose che suscitano il mio interesse. Per esempio, la Cucina, argomento del quarto albo, "Il cuoco mascherato". Per anni ho lavorato allo sviluppo di una serie a fumetti sulla Cucina. Sperando che "Mercurio Loi" possa arrivare al 600° numero, l'ho concepito con un ampio spettro di tematiche, almeno tutte quelle che interessano a me.
Sotto questo punto di vista, io mi identifico nel personaggio e gli offro un tema da sviscerare, un mistero da indagare. Può essere il connubio di sapori che rendono un piatto una prelibatezza, può essere la percezione di sé, oppure cosa sia l'infelicità, come accade sul quinto albo, "L'Infelice".
Tutto, però, scaturisce dal caso, e il caso è frutto del passeggiare. Come dicevo, Mercurio è essenzialmente un passeggiatore, non sa cosa gli accadrà durante il viaggio, né lo sa il lettore che sceglie di accompagnarlo nel suo viaggio. Il prossimo racconto sarà proprio intrecciato attorno a questo concetto. Si intitola appunto, "A passeggio per Roma", ed è incentrato su quello che può capitare in una camminata di due ore tra le strade dell'Urbe, a metà degli anni Venti del 1800.
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Cosa dobbiamo aspettarci a livello di tematiche nelle prossime avventure? Attingerai ancora dal periodo storico in cui è ambientato il fumetto, come è accaduto per il racconto di "Le Storie"?
No, voglio tenermi un po' lontano dal rischio di scivolare sul genere storico e sul mistero classico. Ci sono già altri fumetti che affrontano queste tematiche, e poi credo che incontrare personaggi pubblici realmente vissuti crei un effetto irreale, assai vicino al kitsch. "Mercurio Loi" è un fumetto con una forte dose di realismo, e tale vuole restare. Calarlo al centro degli eventi storici rischia di ottenere l'effetto contrario. La nostra storia è molto più ampia, dilatata, rispetto a quella che apprendiamo dai libri. Non può esserci qualcuno che sia sempre al centro dei principali accadimenti storici e che incontri i grandi di quel periodo.
Pensate a un "Mercurio Loi" ambientato oggi a Roma, dove il protagonista incontra Matteo Renzi. O, meglio ancora, pensate a "Dylan Dog", con l'Indagatore dell'Incubo che incontra a Londra Theresa May. Suonerebbe al quanto surreale, se non kitsch. I grandi personaggi ci sono nel fumetto, li sentiamo nominare, ma non li incontriamo mai: sono in sottofondo, contribuiscono a creare il giusto sfondo storico.
Il titolo dell'edizione di Rapalloonia di quest'anno è “Pennelli in fuga”. È un titolo d'effetto preso in prestito dall'espressione “Cervelli in fuga”, che indica però un grave problema del nostro Paese: la perdita di talenti che per lavorare devono emigrare all'estero. Per il mondo del Fumetto la situazione è comunque diversa. Si va all'estero per cercare di realizzare i propri progetti, non perché costretti dall'assenza di opportunità e risorse in Italia. Tu che hai lavorato per diversi editori francesi, cosa pensi al riguardo?
“Pennelli in fuga” è certamente un titolo molto efficace, ma è anche vero che andando in fondo al ragionamento che hai fatto tu, è molto diverso dal fenomeno dei “Cervelli in fuga”, che mi fa pensare soprattutto alla Ricerca e alle grandissime risorse a cui il nostro Paese non dà la possibilità di lavorare. Il mondo dell'Università, poi - mi spiace dirlo ma è sotto l'attenzione di tutti - mette spesso la meritocrazia all'ultimo posto, come ultimo criterio di selezione. Il mondo del Fumetto non ha assolutamente questo problema; anzi, oggi più di ieri è sempre più meritocratico. Questo accade anche grazie all'esposizione e alle visibilità che si ha con la rete e le nuove tecnologie. Certo, qualche volta si prende qualche sbandata e un titolo viene sopravvalutato (o sottovalutato) secondo il gossip del momento, ma in generale se un autore ha delle qualità, quelle gli vengono riconosciute, gli vengono offerte occasioni.
Andai a lavorare in Francia perché, come dicevi tu, volevo abbracciare un mercato che offriva e offre tuttora diversi modi di fare Fumetto. In Italia c'erano regole più strette, talvolta univoche. Ora molto è cambiato qui da noi; anzi, mi sembra che tutto sia esploso come una bomba. Le edicole non danno più la visibilità del passato e ci sono dei libri che escono una volta l'anno e ottengono più seguito e successo delle serie mensili.
Il Fumetto è stato poi definitivamente sdoganato dal pregiudizio di essere una forma espressiva di serie B, di prodotto per un pubblico infantile. Oggi, è un mercato in fermento il nostro, e ci sono diverse e nuove strade che si aprono e che vale la pena di sperimentare. Dal mio punto di vista, il mercato americano esercita sempre un grande fascino, è quello con cui sono cresciuto da bambino e che è costituito da personaggi unici, incredibili, mitici.
Non possiamo lasciarti andare senza parlare di "Dylan Dog". Dal 29° Speciale, la tua saga de "Il Pianeta dei Morti" è diventata un appuntamento fisso su questa collana. Cosa dobbiamo aspettarci da quello che sembra essere un vero e proprio Elseworld all'americana?
Sì, gli Speciali continueranno a ospitare "Il Pianeta dei Morti", anche se per me, lo voglio dire, non è mai stato un Elseworld, se ti riferisci per esempio alla linea della DC Comics. Per me è il futuro reale di "Dylan Dog" e lo scrivo con quelle intenzioni. È importante specificarlo perché tutte le cose che avvengono forniscono una spiegazione di altre avvenute in passato. Questa è la mia interpretazione. Se fosse un Elseworld sarebbe possibile far succedere tutto, invece ha molte più regole di quello che sembra.
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Com'è nata l'idea alla base e com'è evoluta in seguito, conquistandosi una collana tutta sua?
È nato in un periodo in cui volevo ripescare le atmosfere, le sfumature, i temi del Dylan Dog di Tiziano Sclavi, perché credo che quelle costituiscano l'essenza dell'Indagatore dell'Incubo. In particolare, quando ho iniziato a lavorare su "Dylan Dog", nel 2007, il personaggio era lontanissimo da questa concezione e non c'era modo di muoversi altrimenti. C'erano delle regole, e per me "Dylan Dog" non dovrebbe averne affatto, rispettando “il non avere regole” di quello firmato da Tiziano Sclavi. Quindi, un po' per gioco, ho inventato una storia che si potesse spostare dalla realtà del personaggio contemporaneo. Si intitolava, appunto, "Il Pianeta dei Morti" e ha avuto un ottimo seguito.
Questo ha permesso di poterne realizzare una seconda e una terza, sempre brevi. Anche queste hanno avuto un apprezzabilissimo riscontro, e poiché si voleva trovare un “vestito”, una collocazione ben definita allo Speciale, si è deciso proprio in tal direzione. "Il Pianeta dei Morti" è divenuto così una vera e propria collana, molto più di quel che era nelle me intenzioni, un mondo ancora oggi da sviluppare e ampliare.