Rapalloonia 2016: Intervista a Stefano Biglia, disegnatore di Tex
Chiudiamo la rassegna di interviste a Rapalloonia 2016 con la sua icona per eccellenza, Tex, e un suo straordinario interprete: Stefano Biglia!
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Stefano ha inoltre omaggiato i nostri lettori con l'incantevole sketch che potete ammirare in coda all’articolo.
Ciao, Stefano e benvenuto su BadComics.it! Grazie per la tua squisita disponibilità. Ci racconti com'è nata la tua carriera di disegnatore professionista e come sei entrato a far parte del team creativo di Tex?
Grazie, grazie a voi per l'ospitalità. Ho iniziato molto giovane a lavorare come disegnatore. Un fan mi faceva proprio notare qualche tempo fa che Luigi Copello (che ha qualche anno in meno di me) e io siamo gli illustratori più giovani di sempre di Tex.Per essere precisi ho realizzato la sua prima storia nel 1993 [Almanacco del West n. 1], a poco più di vent'anni, presso lo studio di Renzo Calegari, dove ero entrato come apprendista. Io e Luigi ci occupavamo delle matite e Renzo delle chine. Non ero comunque ancora pronto per propormi da solo per Tex.
In coppia con Luigi ho realizzato invece alcune storie di Nick Raider, dopodiché mi è stata offerta la possibilità di Magico Vento e da lì è iniziata la mia vera e propria carriera nella casa editrice. In seguito è arrivato Shanghai Devil e poi mi sono fatto avanti per Tex. Era un sogno che avevo messo nel cassetto da un po' di tempo e mi sentivo finalmente preparato per accettare la sfida.Tex è il simbolo di Sergio Bonelli Editore ed è notoriamente il suo personaggio più difficile da approcciare e rappresentare, anche per la responsabilità nei confronti di un monumento del fumetto italiano. Qual è stata la tua prima impressione lavorandoci sopra dopo la tua esperienza western su Magico Vento?
Devo ovviamente ringraziare la scuola di Renzo Calegari, ma anche quanto ho imparato su Magico Vento lavorando con Gianfranco Manfredi e Renato Queirolo. Dopo diversi anni in Bonelli, come dicevo prima, mi sentivo pronto per lavorare su Tex e mi feci avanti io. Ero sicuro di me, ma quando fui accettato e iniziai a cimentarmi con il personaggio, cominciai a sentire emotivamente qualche difficoltà. Stavo disegnando un monumento nazionale ed ero ben conscio della cosa, del rispetto che andava portato non solo a Tex, ma anche ai suoi lettori, a generazioni di lettori. È un rapporto - credo - unico nel fumetto italiano, quello tra Tex e il suo pubblico. Questo credo che mi abbia causato certamente un po' di tensione, almeno agli inizi. Disegnandolo, entrando in confidenza con il personaggio, quella tensione è poi scomparsa; ho imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo ancora di più, capendo le sue incredibili potenzialità.
Sei stato prima di tutto un lettore di Tex?
Sì, certo. Lo comprava mio padre e dopo che lo aveva letto lui, lo leggevo io, ma mi appassionavano allora più i disegni delle storie, anche se mi innamorai subitola della figura di Tex: sempre presente e confortante, ma anche uomo d'azione.
Tex, anche graficamente, ha delle regole ben precise, definite fin dalle sue origini, a cui hanno contribuito grandi nomi del fumetto nostrano: ti sei ispirato a tuoi illustri predecessori per poterlo rappresentare al meglio? E, se sì, quanto di rischioso c'è in questo, nel veder sopraffatto il proprio stile?
Il rischio c'è, hai perfettamente ragione. Giovanni Ticci e Claudio Villa, per fare due nomi, sono molto caratteristici, hanno un tratto molto personale e contemporaneamente molto rispettoso del personaggio. Non parliamo poi di Aurelio Galleppini. Per forza di cose devi rapportarti a loro perché il loro Tex… è Tex! È quello che abbiamo in mente tutti noi.
Il rischio di essere fagocitati stilisticamente da questi disegnatori è una realtà. Io ho cercato di ispirarmi a loro partendo dal loro lavoro, ma allo stesso tempo cercando di dare una mia versione del personaggio, ragionando su cosa volessi dalla sua figura. Volevo rendere la sua sicurezza, la forza, il senso di protezione che ispira sempre con un'espressione serena, se possibile, anche nei momenti più difficili.
Ho cercato di concentrarmi sullo sguardo, sull'atteggiamento, più che sulle somiglianze con le precedenti immagini del personaggio. Forse l'ho iconizzato ancora di più, perché il mio segno è molto sintetico.
Durante un incontro a una delle ultime edizioni di Lucca Comics, Mauro Boselli ti ha elogiato per il tuo talento nel saper affrontare scene corali e con moltitudini di figure: sei d'accordo con Mauro? È ciò che preferisci disegnare?
Sì, assolutamente. In effetti devo ringraziare Mauro perché con questa storia "tripla di Mackenzie" recentemente uscita in edicola - la mia prima sulla serie regolare - ho potuto disegnare tutto quello che mi piace, come gli scenari naturali e queste moltitudini di persone, se a cavallo ancora meglio. Amo molto disegnare i cavalli.
Molti disegnatori, non solo di Tex, spesso citano i cavalli tra i soggetti più difficili da rendere adeguatamente…
Devo ringraziare Enrico Bertocci, uno che a cavallo prende anche il caffè [sorride]. È stata una buona scuola. Il cavallo, in effetti, è un animale piuttosto difficile da rendere. È complicato trasmettere la dinamicità di un animale che il più delle volte ha in groppa un cavaliere. Diventa dura coordinare, sincronizzare i movimenti di entrambi affinché la cavalcata risulti reale. I dettagli sono importantissimi e bisogna imparare a distinguere la monta e le attrezzature, come la sella o le briglie di un determinato periodo storico, per quel soggetto e per quelle circostanze. Bisogna studiare [sorride].
Comunque sono d'accordo con quanto hai detto nella domanda. Renzo, mi ricordo, diceva che negli anni '50 e '60 la prerogativa per disegnare fumetti era saper disegnare cavalli, perché la maggior parte erano ambientati in epoche storiche.
A proposito di Mauro Boselli, con cui hai lavorato alla triplice storia che ricordavi: è noto per la sua esigenza e il suo rigore nei confronti dei suoi collaboratori. È davvero così?
Sì, direi di sì. Lui ha sempre perfettamente chiara la scena, ha la storia in pugno, se così possiamo dire. Solitamente mi forniva dalle 10 alle 30 pagine per volta, da disegnare, dimostrando una padronanza totale dei personaggi e della vicenda da raccontare. Inoltre ha una memoria pazzesca. È certamente molto preciso anche nelle correzioni, ma sempre a proposito.
Per esempio a un certo punto si è accorto che il mio Ranald Mackenzie, nel giro di tre o quattro tavole, stava cambiando fisionomia. Io mi ero ispirato alla fotografia, al personaggio storico, forse troppo, e risultava un po' fiacco. Lui mi ha detto di cambiargli un poco i connotati e di renderlo magari intrigante, perché era un personaggio fondamentale della saga. È stato un consiglio perfetto; adesso, senza il suo suggerimento, sarei probabilmente insoddisfatto di come l'avrei reso.
Mauro è rigoroso ma è anche molto estroso. Dovreste vedere una sua sceneggiatura, mi pare la batta a macchina. Non suddivide la pagina per vignette con la loro descrizione, ti squadra già il foglio definendo la gabbia, dandoti indicazioni di dove vanno i personaggi e indicando - se ci sono delle variazioni - la sequenze delle vignette con un pennarello rosso. In sé ogni suo script è una piccola opera d'arte, talvolta astratta. [sorride]
A che cosa stai lavorando ora? Puoi rivelarci qualcosa?
È ancora una storia tripla, questa volta di Pasquale Ruju. Sono molto contento perché ci sarà Montales e partirà ovviamente in Messico, a Chihuahua, e poi si sposterà in Guatemala; di più non posso dirvi, non è ancora in programmazione, penso uscirà tra un paio d'anni.
Lo abbiamo chiesto ai tuoi colleghi disegnatori di Dylan Dog e lo vogliamo chiedere anche a te per Tex: se potessi descriverlo con tre aggettivi, quali useresti?
Non invidio i miei colleghi. [sorride]
Non è una risposta facile da dare su due piedi. Pensandoci un attimo direi: rassicurante, eroico e di buona compagnia.