Francesco Ebbasta ci spiega dove sono arrivati i The JackaL, quanto è importante Pesci piccoli e cosa c'è dopo

Con Pesci Piccoli, The JackaL apre una nuova divisione per le produzioni. Dietro a tutto come sempre c'è Francesco Ebbasta

Critico e giornalista cinematografico


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Dietro TheJackaL, che conta più di 20 persone, c’è un gruppo storico che ha iniziato con video caricati su YouTube e che ora è arrivato a Pesci Piccoli, e in questo gruppo stretto c’è Francesco Ebbasta. Nei video non compare mai ma è la persona che li scrive o contribuisce a scriverli e che li dirige. Regista e montatore formato principalmente online e al lavoro con e per The JackaL per tutta la sua carriera, ha girato qualsiasi cosa: spot, documentari, serie tv, film, cortometraggi, storie, reel, video YouTube, parodie…

Le sue creazioni per TheJackaL parlano di una competenza tecnica e una capacità di padroneggiare prima di tutto il montaggio (non solo quello dei tagli ma anche quello interno), ma anche il sonoro e la composizione delle immagini che non sono quelle dei registi italiani.

Ora è a un momento cruciale: Pesci piccoli è una produzione The JackaL, la prima per una serie tv, e per altri versi sarà uno dei registi di puntata della serie creata e anche diretta da Sydney Sibilia sulla storia degli 883, il suo primo lavoro esterno a The JackaL.

Prima di iniziare una cosa: la Panda verde è sempre quella dei primi video? O è un’altra Panda verde?

“Sempre la stessa. È la prima automobile di Ruzzo Simone, ex volto dei nostri video ora CEO e produttore. Non la usa più, proprio non paga più il bollo, ha cambiato macchina ma io qualunque progetto faccia la tiro fuori, è il mio marchio insieme al karaoke”.

Voi fate molte cose, pubblicità, video, trasmissioni, corti… Pesci piccoli è un impegno non da poco, potenzialmente da portare avanti per anni. Leva spazio a cosa? Al lavoro pubblicitario? Ai corti?

“Lo sviluppo della serie fa parte di una nuova parentesi di sviluppo di The JackaL che negli anni si è evoluta. La nostra altra serie, Generazione 56K, era prodotta da Cattleya, stavolta invece per la prima volta produciamo noi una serie, un capitolo nuovo della nostra storia. Che però non significa chiuderne altri. Abbiamo in sviluppo per dire altri progetti no branded come fu il video 30 anni”.

No branded vuol dire non su commissione, libero ma anche ma anche e anche no profit. 

“Sì, assolutamente, però è una roba che secondo me dobbiamo fare. Ad ogni modo considera pure che noi ci siamo inventati un modello per il quale quel tipo di video dietro ai quali c’è una forte autorialità  li uniamo al commerciale.. Se pensi a La rimpatriata del liceo, quello era un contenuto brandizzato per INPS”.

Pesci Piccoli

La serie sembra perfetta per durare in eterno. L’avete pensata per poterla portare avanti per stagioni e stagioni?

“Sì, l'obiettivo era quello. Creare una scatola nella quale divertirci e in cui poter mettere tutti quegli appunti che abbiamo raccolto durante anni brainstorming falliti, proposte troppo audaci da presentare, i clienti strani… La serie prende molto dalla vita vissuta nel quartier generale dei The JackaL. Le prime due puntate in particolare ma anche tipo Ciro che scrive ‘Michele’, è una roba che è successa davvero durante un brainstorming. Noi siamo da 15 anni insieme. Praticamente viviamo in un ufficio sul lungomare di Napoli sempre insieme. La bowl delle merendine di cui si parla nel secondo episodio c’è davvero. L'idea di poter raccontare l'importanza del gruppo all'interno di un progetto era una cosa che mi stava molto a cuore, a me interessava proprio raccontare come delle persone si occupino di pubblicità nonostante non abbiano chissà quale nome e nonostante non cambieranno la storia della pubblicità, personaggi che mi verrebbe da definire mediocri. Eppure si svegliano la mattina e fanno il loro lavoro. Lavorano sodo, si ammazzano di mail, di riunioni… E ti viene da dire: ‘Ma perché lo fai?’”. 

Eh, perché?

“Perché hanno ricreato con i loro colleghi una serie di rituali di dinamiche interne che li tengono vivi, l'umanità è proprio in quell'ufficio. Questa cosa, essendo noi partiti dal basso in tutti i sensi, cioè da un basso a Napoli, la tengo molto a cuore. Questa capacità di fare gruppo anche nei momenti di difficoltà”.

E avete scelto questa forma…

“L'idea era creare un contenitore a lungo termine scalabile, ma allo stesso tempo dargli uno spessore orizzontale che garantisse un po' personaggi tridimensionali. Per esigenze di minutaggio, 24 minuti a puntata, alcuni non sono potuti esplodere ancora. Per ora abbiamo soltanto indagato su alcune questioni, come per esempio quella di Fabio e la sua ex. La base di Pesci piccoli è la stessa dei prodotti di Dan Harmon come Community o Rick And Morty, ci sono tre linee narrative intrecciate in ogni episodio che si aprono nel primo atto, si intrecciano nel secondo e alla fine nel terzo trovano la loro risoluzione talvolta aggiustandosi a vicenda”

Addirittura nel quinto per i primi 10 minuti sono rimasto stupito di come teniate in ballo contemporaneamente 4 linee narrative…

“Questa cosa mi eccita proprio a livello narrativo, l'idea di trovare una quadra per la quale poi alla fine a livello tematico tutto torna. Credo di aver capito che è una formula che tiene sempre viva la puntata, cioè qualunque cosa tu stia vedendo c'è sempre un motore che ti porta da una scena all'altra. Quindi le scene che durano circa 2 minuti ognuna hanno sempre un beat interno. Questa cosa qua adesso sento di averla scoperta da scrittore, così come da regista sento di aver meno paura degli spazi chiusi”.

Mi pare che giochi anche molto con la profondità e i secondi o terzi piani.

“Il concept stesso della serie, molte idee e poco budget, è anche quello che ha guidato queste decisioni. Abbiamo una location con dentro tutti i personaggi e ci inventiamo un modo per creare un dinamismo, anche se siamo all'interno di un unico ambiente. Proprio tutto l'ufficio è stato progettato e creato da zero a partire da un deposito vuoto pensando alle indicazioni di regia. Tutte le porte sono smontabili, così che io potessi passare con la macchina attraverso i vetri o via dicendo. L’abbiamo fatto perché ero un po' spaventato da questi confini. C'è stato molto lavoro di preparazione che ci ha permesso poi di creare questi movimenti, ma del resto abbiamo anche scelto delle lenti anamorfiche per creare coralità, quindi avere un formato molto largo per tenere tutti quanti sempre insieme. Siamo tutti all'interno di una stanza, la serie deve respirare anche nei fotogrammi in cui non succede niente, Devi vedere sui livelli di fondo che stanno succedendo altre cose, devono vivere anche quelli. Questa cosa qua è stata sicuramente la sfida personalmente più complicata che abbia affrontato in vita mia. C’erano sempre tutti in campo ogni giorno, anche le figurazioni, anche quelli da una battuta sono sempre là. Però è anche proprio questa idea di coralità e di gruppo che mi ha entusiasmato”.

La prima stagione accenna degli archi narrativi e un approfondimento dei personaggi ma sembra più una promessa che un’attuazione. Nella vostra testa come la immaginate?

“Ad un certo punto ci siamo accorti che questo contenitore divertente che è quello della sitcom, dotato di regole ben precise da rispettare, iniziava a starci stretto. Già dal secondo episodio con l'innesco della voce over Iniziamo un po' a trovare degli escamotage per uscirne. E ad un certo punto siamo arrivati a quel tipo di libertà di scrittura che più ci diverte. Ogni episodio ha una deriva particolare, un'influenza di genere. Il quinto è molto più sul Drama, esce pure dagli uffici, nel quarto c’è un omaggio a The Office. Quindi alla fine questa struttura da sit-com verticale tipo Big Bang Theory ad un certo punto ha lasciato il posto all'orizzontalità. Le storie seminate nella prima o seconda puntata trovano il loro corso fino ad arrivare all'ultima. Alla fine è più forte di noi: dalla commedia passiamo al dramedy subito. A fine stagione chiudiamo, ma con la promessa di un prodotto scalabile, come I Simpson o qualsiasi altra sit-com”.

I volti di The JackaL

Pensi che potrete mai con The JackaL lavorare con i vostri attori senza che interpretino i loro soliti personaggi?

“Assolutamente, è una cosa che già successa. All'interno di Pesci piccoli loro interpretano dei ruoli che per comodità e tutela per il pubblico che ci segue sono vicini ai loro soliti. Nel momento in cui abbiamo fatto la nostra prima sit-com abbiamo voluto preservare i loro nomi, perché credo sia giusto comunque non dimenticare l'eredità di quel che abbiamo creato nel momento in cui andiamo a creare un manifesto della nostra comedy, sarebbe strano chiamare Ciro Mario. Quindi anche se i personaggi sono molto diversi hanno un background studiato. Per esempio qui vediamo un Fru che non abbiamo mai visto prima, non quello che urla e fa la macchietta”.

Insomma… A parte Fabio Balsamo il cui personaggio non è uguale a quelli che solitamente interpreta per gli altri parliamo di piccoli cambiamenti marginali

“È un lavoro di background. Come ti dicevo in 6 episodi ne possiamo far esplodere uno o due ma l'obiettivo è quello di farli esplodere nelle successive stagioni. Abbiamo costruito i personaggi in maniera tale che tutte le scene fossero cucite su di loro e per quanto ci possa essere una strizzata d'occhio ai The JackaL, questo è più un atto di un'attenzione verso chi ci ha sempre seguito, perché a noi andava di raccontare questa cosa con i The JackaL e probabilmente stravolgere tutto non sarebbe stata una mossa giusta”.

La scrittura di The JackaL su Pesci piccoli

In questo momento avete un grande riconoscimento. Create contenuti che piacciono, siete anche presenti in RAI, fate pubblicità, avete il vostro pubblico, i vostri volti fanno anche altri progetti… Quando Prime Video sì avvicina a qualcuno come voi gli lascia massima libertà?

“Io credo molto nell'importanza dell'editoriale, perché è pur sempre un confronto, Quindi nel momento in cui ti stai affacciando su una piattaforma che fa questa roba ben vengano suggerimenti e consigli. Il rapporto con Prime è stato davvero molto sereno. In questo senso si sono fidati del progetto, hanno capito l'anima dello sviluppo e ci sono stati degli scambi di suggerimenti di consigli che abbiamo colto. Sicuramente però il nostro valore come autori adesso è sicuramente più riconosciuto. Credo sia difficile avere una libertà totale, anche se arrivi a dei livelli altissimi. Ad ogni modo in Pesci piccoli ci sono episodi, come il sesto, in cui è evidente che non ci siano state forzature né ci è stato detto alcunchè”.

Come mai avete chiamato Luca Vecchi per la scrittura?

“Abbiamo pensato a lui a Stefano Di Santi perché volevamo avere delle penne esterne al nostro gruppo che garantissero Innanzitutto una eterogeneità di spunti comedy. Per non chiuderci troppo. E poi perché credo che la serie abbia, nonostante regole di verosimiglianza dei picchi di assurdo da rendere verosimili. E lui ha proprio quel tipo di tono”.

Sarai uno dei registi della nuova serie di Sydney Sibilia sulla storia degli 883. Come mai tu che sei sempre autore di quello che giri, hai deciso di prendere parte ad un progetto altrui?

“Mi piaceva molto la storia e per me vale quello che vale per tutti i nostri volti che sono andati a fare altro, la voglia di cimentarsi e imparare cose nuove che poi possiamo portare all'interno di The JackaL”.

Il futuro di The JackaL dopo Pesci piccoli

Nei tuoi sogni per il futuro di The JackaL c’è l’idea di lasciare la pubblicità e i contenuti branded?

“Nei miei sogni più sfrenati c'è fare entrambi. La pubblicità fatta come la facciamo noi la troviamo stimolante. Nasco regista e montatore quindi ho il desiderio di fare altro, ma dopo 10 anni di pubblicità quello che ti tirare fuori un brainstorming pubblicitario è stimolante, ti fa venire voglia di andare in ufficio. Sono tutte avventure che ti fanno passare da un deserto a una barca in mezzo al mare”.

Hai in mente di ritentare qualcosa per il cinema dopo Addio Fottuti Musi Verdi?

“Non lo escludo, abbiamo dei progetti in fase di scrittura. Secondo me Addio Fottuti Musi Verdi pagava il pegno di una grande tensione nell'approcciarsi al mezzo. L’idea che essendo un film per il cinema dovesse essere tutto grande…. Sicuramente è stata un’esperienza che ci è servita molto. Comunque non abbiamo il pallino del cinema. Una serie o una storia Instagram o un video per YouTube… Ogni storia ha secondo me un suo vestito. Cioè io credo che la cosa più bella che ho fatto nel 2021 sia una reel Instagram di cui io vado molto fiero e ogni tanto la guardo e dico “Bello” si chiama I vecchi ammare. È un pensiero e il mezzo deve aiutare a esprimere un pensiero. Ci sono delle cose che hanno bisogno del cinema, altre che hanno bisogno di essere invece scandite a livello seriale, altre ancora possono essere anche delle storie per i social. Non faccio un discorso di cultura e sottocultura. Poi sicuramente questo è figlio del fatto che dietro una nostra storia Instagram ci sono 20 persone che lavorano, quindi quando vengono a dirmi che una storia Instagram è una cosa da meno mi incazzo, perché in realtà c'è un'azienda dietro”.

Non pensi che il vostro pubblico, il target primario a cui vi rivolgete, non sia lo stesso che tende a premiare i film italiani al cinema?

“Mi pare che nessuno venga premiato al botteghino oggi. Film belli che incassano 2 milioni sono considerati un grande traguardo. Probabilmente si sta spostando tutto sul digital e tra una settimana ne parleremo e sarà ancora diverso, Io credo che nessuno, nessun pubblico adesso segua un autore al cinema. Perché i dati parlano chiaro almeno in Italia. Qualche anno fa invece ti avrei detto che sì, forse quelli che ci seguono sui canali abituati ad avere progetti free è difficile che vadano al cinema. Adesso però è cambiato tutto con gli abbonamenti e i noleggi online. Non c'è più differenza, quindi nessuno va in sala”.

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