Paul Schrader su Hollywood in mano agli streamer, l'ultimo giro con Scorsese e Il collezionista di carte
In un viaggio in lancia verso la conferenza stampa Paul Schrader si apre sugli ultimi anni di carriera su Hollywood e Martin Scorsese
Paul Schrader è in ritardo per la conferenza stampa del suo film e non c’è il tempo per poterlo intervistare come concordato. Deve imbarcarsi. L’unica possibilità è farla durante il tragitto, sulla lancia. E così avviene.
Paul Schrader è in concorso a Venezia con Il collezionista di carte che è anche appena uscito in sala in Italia. Il suo film precedente, First Reformed, è stato uno dei successi più grandi di questa ultima parte di carriera, distribuito dalla A24 è anche arrivato alla nomination ad un Oscar (miglior sceneggiatura, ovviamente). È uno degli ultimi maestri della New Hollywood ancora in attività, il che significa uno degli ultimi grandi maestri americani in vita. E se First Reformed era eccezionale, Il collezionista di carte è ottimo. Ha 75 anni e si sta sistemando sulla lancia aiutato dal pilota. Una volta accomodati noi in una e il resto del team della Universal (che produce il film tramite la Focus Features) in un’altra, partiamo in formazione verso la conferenza e l’intervista può iniziare.
LEGGI: la recensione
GUARDA: la videorecensione
“Sì è cambiato tutto 3-4 volte l’anno! Gli studios ora se ne sono andati, comandano gli streamers e c’è molto più prodotto di quello di cui abbiamo bisogno. Sicuramente ci sarà un calo di produzione o di investimenti prima o poi, per questo tutti cercano di farsi una library, è la quintessenza della definizione di bolla che sta per scoppiare: la quantità che eccede il bisogno”.
Questo scenario è buono per uno che fa film come li fai tu?
“Così così. Posso continuare a fare film ma solo perché sono stato fortunato. Non è mai stato così facile fare film e non è stato mai così difficile guadagnarci da vivere. Quando ho iniziato se riuscivi a fare un film eri ricco, adesso puoi fare un film e non essere pagato o addirittura finanziartelo e perdere i tuoi soldi.
Prima non era meglio intendiamoci, c’è sicuramente più libertà oggi, puoi fare qualsiasi cosa, i tabù sono pochi e i costi ridotti. Il problema è quando si prova a monetizzarli i film, è difficile fare dei soldi con questa libertà”.
Però nel 2013 The Canyons era crowdfunded tramite kickstarter e ora invece c’è la Universal dietro Il collezionista di carte, direi che per te è andata bene no?
“Sì ma lo stesso devo stare attento ai budget se voglio mantenere la mia libertà e il final cut, ci sono registi come Spielberg o Scorsese che invece possono averlo e sfruttare anche grandi budget. Io non sono uno di quelli”.
Non hai mai fatto un blockbuster per finanziare un film più piccolo...
“No ecco per quelli non ho tempo”.
Tutti i registi che lavorano per Netflix o per le piattaforme in genere parlano della grande libertà di cui godono. È necessariamente un bene essere lasciati senza il controllo di un produttore?
“Non è questione di libertà, Netflix sa bene cosa vuole e anche Amazon. Poi Amazon in particolare si sta ritirando dai film più controversi verso quelli non controversi. È una dinamica che ha a che vedere con un cambio nella piramide del potere e Jeff Bezos, ora che è arrivato agli Oscar, vuole i soldi”.
Scorsese ha lavorato con Netflix ma ora è con te in questo film. È stato molto coinvolto?
“Io e Martin abbiamo fatto diversi film in passato, quando però io ho cominciato a comportarmi come un regista abbiamo smesso di collaborare. Perché se c’è Marty nella stanza c’è spazio per un regista solo. Ci siamo separati rimanendo in contatto. Avemmo anche un progetto televisivo sull’originale del cristianesimo ma l’abbiamo dovuto accantonare perché adesso Martin sta su Killers Of The Flower Moon. Poi probabilmente quando lui avrà finito io inizierò il mio nuovo film, quindi chi lo sa se lo faremo. Ad ogni modo vista la situazione gli ho detto: “Non sarebbe bello un ultimo viaggio in macchina insieme?” e lui ci è stato. Ha dato un’occhiata alla sceneggiatura, visto il primo montaggio e dato consigli, niente di più”.
Silence ti è piaciuto?
“Mi è piaciuto? Volevo farlo io! Per anni ho provato ad ottenere i diritti per girarlo e quando Marty, che lo inseguiva dagli anni ‘80 (ma temporaneamente aveva lasciato scadere l’opzione) l’ha scoperto mi ha chiamato urlando. Gli ho dovuto dire: “Marty! Lo sappiamo tutti che non lo farai mai!” e lui [imita la voce di Martin Scorsese ndr] “Invece sì lo farò!!”. E ad onor del vero ce l’ha fatta”.
Il tuo Silence sarebbe stato diverso?
“Beh sì, completamente diverso”
In Il collezionista di carte il protagonista è come un monaco, ha quella mentalità dedita. Non è certo una novità per i tuoi protagonisti, è qualcosa cui aspiri questo essere così assorto?
“No io non ce l’ho dentro di me. Hai mai visto il film Il grande silenzio? Ecco io non potrei farcela. Ma mi affascina questo modo di essere dediti. Sono affascinato dal comportamento ossessivo”.
Ne tuoi film più amati e di successo racconti personaggi maschili. Pensi che quelle storie lì potrebbe essere buone lo stesso con personaggi femminili o una fetta di quello che ti interessa raccontare è proprio cosa richiede il fatto di potersi dire “uomini”?
“In teoria alcuni potrebbero avere donne al centro. Ma essere un uomo è tutto quello che so. Esistono uomini che sono molto bravi a leggere la mente delle donne ma non sono io. Per fare un film occorre una grande fiducia nel tuo intuito e io ce l’ho quando parlo di uomini. Ne ho molto di meno quando parlo delle donne. Sento che finirei a prendere gli attributi di un uomo e darli ad una donna. Ma i film sulle donne in realtà mi piacciono molto, e poi vista la situazione politica di oggi non potrei evitare di vederne comunque.
Su Variety ho visto la classifica di quest’anno delle 50 persone più interessanti sotto i 21 anni, l’80% erano donne, afroamericani o di altre etnie non caucasiche o ancora appartenenti alla comunità LGBTQI e non binary. Vuol dire che l'80% è stato scelto per ragioni di correttezza politica. Non significa che siano davvero le persone più interessanti, ma è indicatore del momento che viviamo”.
In questo momento però ci sono cineasti come Jordan Peele che di questi temi si occupano ma con un gran gusto cinematografico. Ti piace?
“Sì certo! Il cinema è cambiato e per certi versi in meglio. Guarda i gay. Al punto in cui siamo oggi la rappresentazione degli omosessuali è superiore alla loro presenza nella vita reale, non ho i numeri ovviamente ma spesso sembra così”.
Se penso agli anni in cui tu hai iniziato a fare cinema potrei dire lo stesso del crimine però. Nei film sembrava più presente nella quotidianità americana di quanto non fosse nella realtà.
“Sai quelli sono obblighi commerciali. Non è che tutti i film avevano a che fare con i criminali ma quando parli di cinema è sempre Kiss Kiss Bang Bang, crimine e amore”.
C’è un progetto che stai inseguendo, Nine Men From Now, fa riferimento al western di Budd Boetticher?
“Sì è una versione moderna di I sette assassini (Seven Men From Now) ma non riesco a farmelo finanziare, ci sarebbe anche Ethan Hawke pronto a salire a bordo ma servono 9 milioni e non sono riuscito a superare i 7”.
A proposito di Hawke, First Reformed è stato un gran successo. Dopo tanti anni passati a fare film su questi temi (il perdono, la colpa, la spiritualità) hai capito qualcosa?
“C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Oggi non mi sento più minacciato personalmente come una volta, oggi più che confessioni sono storie e basta. Però il background da cui vengo [la sua infanzia è stata caratterizzata almeno fino ai 18 anni da una rigida formazione calvinista ndr.] mi consente di capire queste persone e trovarle interessanti”.
Cosa hai guardato ultimamente che ti è piaciuto?
“Un film ungherese chiamato Preparation For Being Together For An Unknown Period Of Time, ma anche Swan Song (che in giro ho visto che non è piaciuto tanto) con Udo Kier che fa una regina che invecchia. Ah! E mi è piaciuta la serie Hacks. Una volta settimana poi cerco di vedere un vecchio film. Anche solo per capire quali reggono il tempo e quali no”.