"Tutto questo non lo volevo più subire", Guaglianone su cosa fa Miyagi e chi è il produttore creativo
Lo sceneggiatore Nicola Guaglianone ci spiega come mai ha fondato la sua società Miyagi e perché adesso vuole sempre essere produttore creativo
È una questione che si ricollega da vicino ad un’altra emersa solo 2 anni fa in un’intervista a Stefano Sardo, presidente dei Centoautori e sceneggiatore anch’egli. Lì Sardo spiegava come ad oggi gli sceneggiatori non sia proprietari delle proprie idee e non ne beneficino fino in fondo, cioè non vedano i proventi del successo di un’idea, e di come questo influisca sul fatto che non c’è stimolo a creare qualcosa di clamoroso e potenzialmente di immenso successo. A lui rispose (tra gli altri) Riccardo Tozzi di Cattleya dicendo che avevano ragione a rivendicare ma che la soluzione era che diventassero anche produttori.
“Il punto dell’utilità della produzione creativa è che nella produzione di un film ci sono molti compromessi e rinunce da fare. Di solito però quando non c’è un regista che sia anche sceneggiatore e abbia concepito il film (cosa che capita sempre a me perché i film che scrivo di solito li ho sempre concepiti io), la soluzione è spesso tagliare senza capire i passaggi importanti del film, c’è il panico di non chiudere la produzione e si prediligono soluzioni produttive a quelle narrative e drammaturgiche. Ecco io questa cosa non la volevo più subire. Ora sono coinvolto in riunioni produttive e quando emergono dei problemi posso proporre soluzioni che arrechino il minor danno possibile. Praticamente in questa maniera c’è qualcuno che fa l’avvocato difensore della sceneggiatura”.
Ma nella pratica il produttore creativo cosa fa?
“Quello che il produttore creativo fa è impostare una visione del progetto, prima di tutto, una che riguarda tutti i reparti. Per La Befana vien di notte 2 ad esempio io ho cominciato a fare il casting, ho proposto degli attori e tra questi ho portato Zoe Massenti [la protagonista ndr], ma ho anche portato parte della troupe come la costumista Mary Montalto (che conosco da Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out) o Chiara Griziotti, montatrice già di Indivisibili, infine ho incontrato io i registi e ho parlato con loro per spiegare il progetto e capire se potevano essere adatti”.
E alla fine hai scelto tu Paola Randi?
“Sì, mi era piaciuto Tito e gli alieni e tutti mi dicevano fosse molto brava. Avevamo un trattamento, lei l’ha letto, ne abbiamo parlato e la prima impressione è stata quella giusta, cioè che aveva capito dove andare, che è un action e un’avventura utili a raccontare fragilità umane e un percorso umano di catarsi dei personaggi”.
Certo il vero showrunner è un’altra cosa però...
“Sì, in America lo showrunner ha anche il controllo del budget, io per questo film non l’ho avuto, quello è proprio un altro lavoro e lo voglio fare, prima però devo impararlo, ci dovrebbero essere dei corsi per fare lo showrunner, corsi che ti insegnino come stare sul set. Io poi una specie di corso l’avevo fatto, mi ci mandò Netflix ad Amsterdam a farlo. È stato utilissimo, ho imparato molto su come relazionarmi al regista ad esempio senza essere invadente.
Ad ogni modo il set di questo film io me lo sono fatto tutto, anche per assicurarmi che non ci fossero le maledette improvvisazioni. Cioè quando ad un certo punto gli attori cominciano ad improvvisare, tutti lì per lì ridono e si divertono ma poi regolarmente la scena non viene divertente quando la vedi in sala. Le improvvisazioni sul set sono il male e vanno sempre evitate, come i cambiamenti improvvisi di una battuta e di un’intenzione. Creano problemi, perché una sceneggiatura è un’architettura talmente studiata che un piccolo cambiamento fa saltare un equilibrio”.
Sì però la storia del cinema è piena zeppa di momenti eccezionali di cinema che sono stati frutto di improvvisazioni. Pensa solo a Sordi che sputa alle auto in Una vita difficile, scena che doveva essere più breve e di cui lui improvvisò tutta la lunga parte degli sputi!
“A parte che tu mi dovresti fare vedere dove sta un Sordi oggi, ma anche tenendo da parte questo, se tenere o no una cosa del genere poi puoi deciderlo al montaggio e va bene. Vedi se funziona e decidi, è diverso invece da cambiare una scena improvvisando e basta.
Già Leo Benvenuti ricordo, in una puntata di Mixer alla presenza di Luca Verdone e dei fratelli Vanzina, raccontava che l’improvvisazione degli attori sui set delle commedie italiane è pericolosa all’80% e deleteria. Poi ci possono essere i casi ma io mi fido più di una sceneggiatura che esce da 7-8 mesi di lavoro che di un’improvvisazione che fa ridere lì per lì ma a casa non funziona”.
Miyagi quindi nasce per te?
“No. O almeno non solo. L’obiettivo è creare delle opportunità. Con Miyagi cerchiamo di scovare talenti e provare a dargli una possibilità. Come diceva Seneca: ‘Non esiste la fortuna, esiste il talento che incontra l’opportunità’. Si parla tanto di giovani e corsi ma la verità è che se non hai fatto un cazzo a nessuno fotte di leggere quello che hai scritto, poi se hai culo e hai successo si comprano anche le lettere scritte a tua zia a 12 anni.
Mi fanno ridere che vanno a contestare l'algoritmo di Netflix quando per anni siamo andati avanti dando retta all’auditel!! Si è cercato sempre di replicare successi di anni passati, sempre! E raramente si è cercato di avere l'intuizione di qualcosa di diverso. Io mi ricordo quando Pieraccioni fece il botto e non si potevano fare commedie senza comici toscani, o dopo Notte prima degli esami che dovevano esserci solo teen movie, solo che dopo un po’ le repliche si esauriscono”.
Miyagi invece che fa?
“Ti faccio un esempio: mi è capitato di incrociare su Facebook una ragazza che scriveva post intelligenti associati a foto di nudi. Erano post che mi divertivano, li trovavo pieni di ironia e molto intelligenti, molto raffinati. Così le ho scritto e poi un giorno al mercato di piazza Alessandria sento una vocina che mi fa: “Ma che sei Nicola Guaglianone?”. Era lei, uno scricciolo, mora e piccolina. Stava scrivendo un romanzo, le dico di mandarmelo una volta finito. Quando l’abbiamo letto ci ha divertito e abbiamo provato a darle un’opportunità, cioè abbiamo trovato un editore con il quale avere un rapporto umano, ovvero Fandango nella persona di Tiziana Triana, che l’ha letto e l’ha voluto pubblicare. Si intitola Miss Stress (il titolo l’ho trovato io) e speriamo poi di trarne una serie. Ha un tocco così leggero e ironico… Ad un certo punto racconta che sta a casa di un senatore, lui indossa le mutandine di pizzo e lei lo calpesta con le scarpe con il tacco, e scrive: “In quel momento vivevo il sogno di qualsiasi anarchico: calpestavo un senatore e nessun carabiniere era lì per arrestarmi”. Ma ancora c’è un racconto di lei che da 10 anni una volta al mese si siede sulla panchina vicino alla casa del cinema, arriva un signore che non la guarda mai in volto, lei gli consegna una bustina con una mutandina usata e lui le dà 300€. Sono racconti così, ironici e leggeri che ci hanno conquistato.
Ma non c’è solo questo, abbiamo prodotto il podcast Polvere di Chiara Lalli e Cecilia Sala sul caso Marta Russo, ci hanno lavorato più di un anno spulciando carte, ascoltando processi e intervistando persone, fino ad arrivare ad una tesi che può far dire che è uno dei più grandi casi di errori giudiziari degli ultimi anni. Di questo abbiamo ora venduto i diritti di adattamento perché diventi una serie”.
Quindi adesso che hai detto che voi sì che cercate talenti sarai subissato da sceneggiature…
“No no, non cominciamo! Non le leggo tutte eh, già ne ricevo centinaia. Ci sono dei ragazzi che ci aiutano a fare le letture, io ho un altro lavoro eh, io faccio lo sceneggiatore”.
Qual è la maniera migliore per avere una chance con Miyagi?
“Mandare dei soggetti non più lunghi di 10 pagine, poi nel caso in cui il pitch ci interessi chiediamo noi la sceneggiatura. E mi raccomando mandate solo materiale registrato!”
Quindi aveva ragione Riccardo Tozzi di Cattleya quando diceva che se gli sceneggiatori volevano più controllo e vedere fette di profitto più consistenti dagli sfruttamenti dei film che scrivono devono diventare produttori?
“In un certo senso sì. Il problema è che non tutti hanno la forza o la voglia di mettersi a fare produttori. Cioè se tu oggi inventassi Spiderman e lo sviluppassi con una piattaforma avresti perso ogni diritto. Il creatore di Squid Game ha guadagnato poco e niente da quella serie.
Oggi, con gli incassi che ci sono, i produttori sì appoggiano sempre meno all’incasso delle sale per coprire i film e più magari a tax credit, prevendita alle piattaforme o fondi regionali e nazionali, questo porta ad una mole enorme di produzione e fa calare la qualità dei progetti. I produttori che invece vogliono puntare sulla qualità e vogliono dei successi (ma soprattutto la qualità) secondo me si devono affidare a degli autori o società di autori o ancora di sviluppo editoriale, perché nessuno come l’autore, cioè come qualcuno che sta lì a difendere la storia, può garantire un risultato buono. O almeno bisogna fare così se vuoi fare del cinema un’industria”.
Questo però è vero solo se non sei un regista e sceneggiatore, cioè quello che noi chiamiamo un “autore”...
“Ma in Italia il regista deve essere solo autore? Io ai miei studenti insegno un mestiere non ad essere artisti. Di poeti ne nascono uno ogni 100 anni (lo disse Moravia al funerale di Pasolini), non siamo tutti Sorrentino o Garrone e non è detto che un regista che fa solo il regista sia un minus nei confronti del regista-autore. Perché quando noi dobbiamo diplomare dei tecnici siamo i migliori al mondo e poi quando sì parla di registi e sceneggiatori l’80% dei diplomati sono disoccupati?
Ci possono essere autori ma in questo momento storico abbiamo bisogno di registi che facciano i registi”.
A proposito di registi-autori, è vero che farai esordire Edoardo Ferrario?
“Sì, facciamo un film. La sceneggiatura l’abbiamo scritta insieme ed è un progetto curato da Miyagi, di cui insomma abbiamo la produzione creativa e la gestiamo con Edoardo che scrive, dirige e ovviamente interpreta. Il film è prodotto da Indigo”.