Napoli Comicon 2018, Shockdom: La rabbia - Intervista a Salvatore Vivenzio e Gabriele Falzone
A Napoli Comicon abbiamo intervistato per voi Salvatore Vivenzio e Gabriele Falzone, autori di La rabbia
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Gli autori di Gamble, opera pubblicata da ALT!, affrontano un tema complesso e spinoso come la camorra in una storia cruda, una testimonianza diretta di chi questa realtà l’ha vissuto e la vive ancora oggi.
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Salvatore, “La rabbia” è una storia forte, dai contenuti crudi e violenti. Se con "Gamble" avevi già parlato di realtà difficili e adolescenti a rischio ma in un contesto a noi lontano, questa volta hai condotto la narrazione in Italia, in provincia di Avellino. Da dove nasce la volontà di raccontare qualcosa di così vicino?Vivenzio – “La rabbia” nasce dalla voglia di raccontare la vita di mio padre. Lui è nato a Quindici, in provincia di Avellino, dove è ambientato il fumetto, e ha vissuto la città negli anni ‘70 e ’80, ovvero il periodo della faida camorristica. Sin da piccolo, quindi, ho sentito raccontare tante storie su questa faida, ma non me ne ero mai davvero interessato. Ora che sono un po’ più grande ho cercato di capire effettivamente di cosa si trattasse.
Questo avvicinamento mi ha permesso di conoscere sia la parte negativa del paese, i suoi difetti, sia quella positiva, tipo l’attaccamento religioso che trova la sua massima espressione nella festa della Madonna Santissima delle Grazie - una delle feste di paese più belle a cui abbia mai assistito - ma anche la capacità di rialzarsi dalle catastrofi, dalle tragedie, dalle stragi. Quindici ha vissuto la frana del ‘98, il terremoto dell’Irpinia dell’80, la strage camorristica, la strage delle donne del 2000, eppure la popolazione ha sempre reagito, al di là delle strumentalizzazioni, al di là di tutto.Il contesto, però, mi appariva così sfumato che ho dovuto riavvicinarmi a questo popolo, oltre che alle mie radici, al mio sangue. E ho realizzato che volevo fortemente raccontare tutto ciò.
Raccontare problematiche legate alla camorra, e alla malavita in generale non è mai semplice. C’è chi ha un approccio più positivo e trova la possibilità di una redenzione e chi, invece, non riesce a individuare una via d’uscita, vedi il caso di "Gomorra – La serie TV". Qual è stato il tuo approccio a questo tema?
Vivenzio – Io ho preso una sorta di via di mezzo, nel senso che Cesare, il protagonista, non è un eroe. Anzi. Mi piace sottolineare come sia una persona come tutte le altre. Ti faccio un esempio: quando Cesare trova le armi nascoste in un capanno, non va a consegnarle alla polizia bensì le lascia lì. Chi di noi avrebbe fatto diversamente? Nessuno!
Cesare non è un eroe, ma una persona che vuole vincere da sola, è orgoglioso, testardo. Non vuole protezione, non vuole che gli incontri siano truccati. A lui non interessa arrivare in alto attraverso dei mezzucci: vuole solo soddisfazione personale, e tutto quello che cerca è orgoglio.
Alla fine ne esce sconfitto, ma in fondo non lo è: la sua è una vittoria amara. Il finale è triste, tragico, però lascia uno spiraglio e fa capire al lettore che bisogna incassare fino alla fine senza darsi mai per vinti.
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La parola che dà il titolo alla graphic novel viene spesso associata a un significato negativo. Il protagonista del tuo romanzo, invece, convoglia la rabbia nel pugilato, uno degli sport più antichi e nobili. Come volevi declinare il concetto?
Vivenzio – Il mio obiettivo era lasciar trasparire la rabbia dalla prima all’ultima pagina di questo fumetto. Non mi riferisco a una rabbia aggressiva o violenta, bensì a una positiva, che spinga a dare e fare sempre di più, ad andare sempre più in alto e a voler vincere a tutti i costi. Da solo, però: senza aiuti, mezzucci o imbrogli.
Avendolo vissuto sulla mia pelle, conoscendone bene il significato, so che la rabbia può portare a qualcosa di pericoloso, è un’arma a doppio taglio. Inizialmente, può portare alla distruzione, a rovinarti la vita, a commettere degli errori: Cesare sbaglia al primo incontro, lo perde perché troppo arrabbiato. Successivamente, impara a comprendere quel sentimento, a convogliare la rabbia della sconfitta per condurlo alla vittoria. Capisce che dipende solo da lui. Dipende sempre e solo da noi.
Nel tuo fumetto sembra quasi di ritrovare la storia di quei ragazzini che, in territori a rischio come Scampia e Secondigliano, ricercano nella boxe o nelle arti marziali una via di fuga dalle brutture che li circondano.
Vivenzio – Mi piace sottolineare questa cosa: ne “La rabbia”, Teodoro, maestro di pugilato, vede in Cesare un talento, ma non un talento pugilistico – nessuno gli dice, infatti, “sei predestinato a fare il pugile” – bensì un talento interiore. Cesare ha qualcosa in più degli altri, ma non nel pugilato: ce l’ha e basta!
Dal mio punto di vista, era interessante mettere in risalto questo elemento. I ragazzi devono sentirsi speciali, anche nei territori più brutti e malfamati. Dobbiamo far capire a quei ragazzi che chiunque può fare qualcosa, a prescindere dalla situazione familiare, dalla condizione sociale. Quindi, spetta a noi prenderli, farli sentire speciali e guidarli. Dovrebbe essere l’obiettivo di tutti, se vogliamo risanare determinati territori.
Io ho solo vent’anni e tutto quello che dico può essere messo in dubbio perché pecco d’esperienza, ma credo che sia questo il percorso da seguire.
È la stessa rabbia che ti anima e che ti ha permesso di puntare tanto sulla scrittura, sul Fumetto e ti ha portato ad avere già diverse produzioni, a far parte di un collettivo di cui sei uno dei motori?
Vivenzio – Si! Lo dico sempre: sono una persona che non si accontenta mai. Alla lunga è questo che ti spinge a voler sempre di più, ad andare avanti, sempre più in alto. Come la rabbia, da un lato ti consuma, perché è difficile da affrontare come stato mentale, ma dall’altro ti aiuta, perché ti spinge a non mollare.
Da questo punto di vista, la vostra precedente opera, “Gamble”, vi è servita come palestra?
Vivenzio – Assolutamente sì! Vediamo se Lucio [Staiano, direttore editoriale di Shockdom - NdR] ci permetterà di fare un seguito. Noi vorremo tanto portare avanti quanto iniziato con “Gamble”. Ci siamo lasciati con un bel plot twist a tre quarti del primo albo, e la storia è tutt’altro che conclusa.
Sei partito con una storia romantica, quasi vittoriana nelle atmosfere come “Kristen” per poi passare a un'opera più sanguigna e cruda come "Gamble". Qual è la tua vera dimensione, quella che senti più congeniale?
Vivenzio – Mi piace provare a essere versatile, a non fermarmi a un solo genere di scrittura, a seguire un po’ quello che è il mio mood. “Gamble” e “Kristen” sono serviti: sono stati delle palestre importantissime, e devo ringraziare innanzitutto i ragazzi di ALT!, perché sono stati i primi a credere in noi.
Qualcosa di “Gamble” c'è ne “La rabbia”, come dicevamo, però abbiamo cambiato registro, siamo in un’altra realtà, siamo in Italia, ad Avellino, quindi nonostante siano storie che hanno tanto in comune, sono comunque diverse. Ci piacerebbe approfondire tutto ciò.
“Gamble” riprende le atmosfere di certi film e serial americani, e in generale una realtà che non viviamo direttamente. Con“La rabbia” invece, si avverte qualcosa di tuo, come dicevi prima, una volontà a recuperare le tue radici, il tuo passato, la tua infanzia e rielaborarli in un'opera molto personale. Come un cercare di recuperare delle zone che potevano sembrare completamente abbandonate.
Vivenzio – A me hanno sempre detto che se non sai da dove vieni, non arriverai mai da nessuna parte. Io ho fatto questo tipo di lavoro, sono stato anche molto criticato per aver scritto di Quindici in quel modo. Il prossimo 4 maggio avremo la presentazione a Quindici, il che è una cosa incredibile, per me. Riuscire a portare questo fumetto nel paese è bellissimo, nonostante le critiche ricevute, dettate prevalentemente dal solito negazionismo. Con “La rabbia” non ho raccontato solo le cose brutte, ma tutte le sfumature di un paese attraverso la rabbia di Cesare: la storia è la sua, non quella di Quindici.
"La rabbia" è una storia universale, seppur ambientata in un contesto ben preciso. Nonostante non ci siano riferimenti reali a fatti o persone, hai però ricevuto critiche. Hai mai pensato di utilizzare luoghi fittizi?
Vivenzio – Quindici è davvero un archetipo di quel fiore che ha dei petali bellissimi ma anche le spine. Senza raccontare le spine, non potrai mai apprezzare i petali. Altrimenti è un fiore come tanti altri.
È stato bello raccontare un territorio con così tante contraddizioni, con i suoi pregi e i suoi difetti. Penso veramente che fosse la base giusta per la storia di Cesare, avrei potuto raccontarla a Napoli, ma non mi avrebbe permesso di conoscere così tanto il territorio da poterlo catturare come spero di aver fatto scrivendo “La rabbia”.
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Gabriele, dopo "Gamble" siete passati al bianco e nero: come nasce questa scelta?
Falzone – Il passaggio dal colore al bianco e nero è stato abbastanza importante, perché tolto quello il fumetto era praticamente in linea chiara. Aggiungendo i neri è poi diventato tutto molto più cupo, e infatti sento molto il passaggio dall’America di “Gamble” all’Italia di “La rabbia”.
Inoltre, abbiamo utilizzato una gabbia un po’ più italiana, in cui sono rintracciabili le solite influenze americane ma comunque più chiusa, più compatta. Quello che probabilmente è rimasto da "Gamble" è lo sporco, qualcosa che si porta dietro dal ghetto americano.
“La rabbia” è molto fisico come fumetto. La narrazione c’è ma alla fine è il movimento, il corpo che racconta. Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato e come hai cercato di risolverle?
Falzone – Sicuramente ho dovuto appassionarmi a questo sport, perché ne sapevo poco o niente. Ho guardato un sacco di incontri su YouTube, qualcosa anche dal vivo. Salvatore mi ha poi passato le giuste reference a livello di fumetti e un sacco di film. Mi interessava, in particolare, capire come avessero trasposto il pugilato in una narrazione che funzionasse. Ora ho un archivio praticamente infinito!
Riguardo a “Gamble”, c’è la possibilità di realizzare un secondo volume?
Vivenzio – Ci sono tanti, tanti progetti in ballo. È uscito il volume antologico di La stanza, con copertina di Jacopo Starace, introduzione di Capitan Artiglio, illustrazioni di Francesco Dossena, Lorenzo Scipioni, Tommaso Lucchetti e storie di Elisa 2B: un esercito da guerra assortito nel migliore dei modi. È poi uscita “la veglia”, scritta da me e disegnata da Chiara Raimondi, e abbiamo altri quattro o cinque progetti lunghi da proporre a tutti gli editori del mondo.
Salvatore, fai parte del collettivo La stanza. Stanno tornando di moda questi gruppi: credi possano essere i veri motori per riportare il Fumetto italiano a sperimentare con faceva tanti anni fa?
Vivenzio – Se non si fa squadra, non si va da nessuna parte. Da soli siamo tutti isolati, mentre insieme formiamo qualcosa. Il gruppo è importantissimo. Non capisco perché nel mondo del Fumetto si creda di stare a Wall Street, dove io devo fregare te, tu devi fregare me e in ballo ci sono dieci miliardi di Euro. La fetta è misera. Lo facciamo per passione e perché abbiamo da raccontare qualcosa. Facendo gruppo, vinci. Da solo non vai da nessuna parte.