Napoli Comicon 2018: Black Gospel - Intervista a Vinci Cardona
A Napoli Comicon 2018 abbiamo intervistato per voi Vinci Cardona, autore di Black Gospel
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Nel corso dell’ultima edizione di Napoli Comicon abbiamo avuto il piacere di intervistarlo. Estremamente disponibile e loquace, Cardona ci ha portati alla scoperta della sua accattivante opera.
Ciao, Vinci! Benvenuto su BadComics.it!
Cominciamo parlando della tua opera d’esordio, “Black Gospel”, graphic novel intensa, ricca di spunti di riflessione e tematiche. Com’è nata l’idea alla base di questo libro?Nasce da un’idea di cui mi ero innamorato già da tempo e che volevo assolutamente trasformare in un fumetto. Mi piace sempre ricordare che “Black Gospel” parte da un sogno. Più precisamente, ho sognato un presepe con dentro dei cowboy di plastica. Ho confidato al mio coinquilino quanto sognato e lui mi ha detto che sarebbe potuto diventare un fumetto bellissimo. "Pensa come potrebbe essere bella una versione western del presepe", ha aggiunto. Ci ho lavorato un po’ e, sebbene non sapessi dove stessi andando a parare all’inizio di quest’avventura, ero talmente innamorato del progetto da portarlo avanti comunque.
Sono contento che i diversi piani di lettura emergano così bene. Alla base di “Black Gospel” c’è inoltre la lettura dei Vangeli, operazione che ho portato avanti non tanto focalizzando l’attenzione sull’aspetto religioso quanto guardandoli come libri, considerando il grande impatto che hanno avuto sulla narrativa.Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato nella realizzazione di “Black Gospel”?
È stato difficile imbastire un racconto che parlasse di argomenti così complessi come la redenzione e la salvezza ma allo stesso tempo disponesse i personaggi nella maniera giusta, tutti atti a perseguire uno scopo. Mi interessava dare a “Black Gospel” una problematicità di fondo religiosa, anche se non sono più credente da anni.
Mi faceva piacere realizzare qualcosa che mettesse in discussione tanto gli atei convinti quanto i cristiani o, comunque, i religiosi in generale. Indipendentemente dal tuo essere credente o non credente, quello che conta è la sensibilità con la quale tratti un tema. Non si riduce il tutto a una questione di partigianeria.
Per fare questo, però, ho dovuto utilizzare solo alcuni aspetti dei Vangeli. A esempio, manca del tutto il tradimento, così come manca Giuda, tra le mie pagine. Qualcuno me l’ha fatto notare, e io ho sottolineato come per il tipo di storia che volevo scrivere non mi servisse. A differenza di quanto succede nei Vangeli, i personaggi da me creati non sono perfetti, o comunque non raggiungono quella condizione, e volevo rimarcarlo.
Diversi, dunque, sono i punti di vista su un tema così complesso come quello dell’esistenza di Dio. Tra queste posizioni troviamo anche la tua idea di divinità o hai cercato di mantenerti quanto più esterno possibile alla narrazione?
Spero di essermi mantenuto quanto più esterno possibile alla narrazione, sebbene credo che emerga quanto una delle voci narranti non creda in Dio e non senta la presenza Dio. La parte iniziale si sofferma proprio sui diversi tipi di divinità: uno di queste non comunica con i suoi adepti, quindi è come la divinità degli atei, che non esiste in quanto non dialoga e non manifesta la sua presenza. Oppure, proseguendo nella lettura, appare il grande spirito indiano, incarnazione della forza panteista della natura, che però si trova a regredire in caso di aggressione (l’attacco dell’uomo bianco). Insomma, tanti elementi, tante idee che non devono combaciare, ma che nemmeno devono annullarsi a vicenda.
L’unico punto controverso è nato valutando la possibilità di inserire degli elementi impossibili, come i miracoli. Ho discusso con alcune persone, durante la fase di realizzazione di “Black Gospel”, e alla fine ho deciso di non farlo. A me interessava parlare di redenzione e di come influisca la ricerca della redenzione sui personaggi che hanno qualcosa da farsi perdonare. Nel mio Vangelo il protagonista, Barabba, è una sorta di Pietro al rovescio, in quanto è quello che più degli altri ha bisogno di aiuto per redimersi.
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Per i tuoi personaggi utilizzi nomi dei Vangeli, sebbene ognuno di loro intraprenda un percorso personale che li allontana dalla figura originale. Come mai questa scelta narrativa?
Volevo che non seguissero pedissequamente il ruolo che hanno nei Vangeli, quindi, in alcuni casi si scambiano: Barabba, come dicevo prima, è come San Pietro; Maddalena, invece, è come San Tommaso, e crede solo alle cose concrete che le si materializzano davanti. È un personaggio con molti dubbi, e meno di tutti si lascia affascinare da questa religiosità, a differenza di Barabba, che ci crede di più in quanto sente la necessità di essere salvato.
Anche chi riprende il ruolo di Gesù è un personaggio che abbraccia un comportamento messianico, ma poi ha un rapporto con la fede diverso, obiettivi diversi e avrà una riflessione che si distacca dai Vangeli. Non volevo utilizzare i nomi alla stessa maniera, anche per non creare aspettative nel lettore.
Nell’affrontare tematiche religiose, hai utilizzato una struttura e un immaginario western. Da dove nasce questa scelta? È forse il genere che senti più tuo e che meglio ti avrebbe permesso di affrontare questo tipo di argomenti?
Non è un genere che consideravo mio, sebbene - più in generale - io non abbia un genere preferito. Amo ibridarli, mescolarli, vedere dove mi conducono. Questo sì. Sin dall’inizio, però, avevo chiaro il risultato finale: volevo un’avventura, non solamente un mattone religioso. Il western, dunque, mi offriva elementi adrenalinici che, nella mia personale visione, avrebbero aiutato la storia.
Inoltre, il western offre la possibilità di compiere un’attenta riflessione sulla violenza e sulla brutalità. Nel Selvaggio West ci si lascia la vecchia vita alle spalle e si è liberi di cominciare qualcosa di totalmente nuovo, ma il prezzo da pagare - appunto - è la violenza: un elemento problematico che volevo affrontare e sfruttare per la mia graphic novel.
“Black Gospel”, dunque, ha una matrice western non convenzionale. Hai mai temuto le reazioni dei fan più puristi?
Non mi sono preoccupato di quello che un fan del genere avrebbe potuto dire, sono andato dritto per la mia strada. Inoltre, tieni presente che io amo “Ken Parker”, fumetto che rappresenta il mio punto di riferimento del genere, un'opera che non rispecchia proprio i canoni del western. In “Ken Parker”, infatti, emerge una vena politica, con protagonista un eroe malinconico.
Ecco, nel costruire “Black Gospel”, più che sulla politica, sono andato sulla spiritualità. A mesi dalla pubblicazione, i fan che hanno letto il mio fumetto sono contenti di come abbia reso originale la storia e sfruttato il genere.
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Finora abbiamo parlato di spiritualità, ma un altro tema che emerge dalla tua opera è la diversità: qual è stata la difficoltà principale che hai dovuto superare per evitare di scadere nel banale, trattando una tematica così delicata?
C’è stato un momento in cui dovevo decidere cosa fare con queste tribù. Rappresentare il popolo indiano – un termine errato, ma così veniva chiamato all’epoca, con un’accezione fortemente negativa – non è stato facile. Per non mancare di rispetto a nessuna delle diverse popolazioni che hanno abitato l’America prima dell’arrivo degli occidentali, ho fatto sì che il fulcro fosse l’annullamento temporaneo delle proprie divisioni e l’utilizzo di un abito nero, come se fossero tutti a lutto. Unendosi, le loro diversità sono come morte, ma ciò permetterà loro di continuare a sperare nella sopravvivenza.
Non sono stato estremamente rispettoso del nucleo originario delle leggende dei nativi, perché quei nuclei variano da tribù a tribù. Nell’unificarle, ho ricercato la sintesi e ho sempre mantenuto un grande rispetto per tutti, pur di perseguire il fine della spiritualità.
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I protagonisti partono per un viaggio che assume un forte valore salvifico. Cosa rappresenta per te il viaggio?
Il viaggio è un momento in cui si mettono da parte le differenze per il raggiungimento di un obiettivo comune, in questo caso la salvezza. Barabba e Maddalena mettono da parte le proprie divergenze per raggiungere la salvezza, operazione similare fatta anche dalle varie tribù che accantonano le differenze per la propria salvazione.
In coda, voglio aggiungere anche il tema della sconfitta. Quando uno ha tutti i diritti per vincere e trionfare, spesso resta deluso. Più è forte la voce che ti dice che vincerai (in questo caso quella del Grande Spirito), più è grande il pericolo di chi quella voce non la sente. Queste due posizioni sono esemplificate dai personaggi di Wovoka e da Caifa.
Non solo la sceneggiatura ma anche il disegno presenta interessanti aspetti di originalità. Quali sono state le principali sfide da te affrontate e quali sono i tuoi principali riferimenti artistici?
La prima sfida è stata sicuramente la colorazione. Non avevo delle idee precise sul risultato finale, ma ero certo di volermi tenere lontano dall’idea suggerita dal titolo, ovvero qualcosa che rimandasse alla religiosità e ai contrasti tra bianchi e neri. A questo punto ho puntato molto sulle sfumature: ci sono tantissimi colori, a tratti quasi psichedelici. Senza voler minimamente sminuire il lavoro di chi utilizza il bianco e nero, sentivo che se avessi utilizzato questa soluzione avrei avuto un approccio più scontato.
I miei riferimenti nel campo del disegno sono quasi tutti italiani e a me contemporanei. Io divoro tantissimo Fumetto italiano, amo Ratigher e Nicolò Pellizzon, per esempio. Spostandoci in Francia, invece, mi piace tanto Christophe Blain e la tetralogia di “Gus”. In particolare, di quest’opera mi ha colpito l’uso del colore, una libertà cromatica che va oltre l’utilizzo dei soliti toni seppiati, pratica che per me è intollerabile. A me non piace la limitazione, quindi preferisco un’alternanza di tonalità che assecondi i miei gusti.
Nel progettare “Black Gospel”, volevo che ogni capitolo avesse la propria unità cromatica, per cui ciascuno ha le sue tonalità giustificate da quanto succede nel racconto. I colori devono avere un significato per me. Una delle domande che mi fu posta durante il Lucca Project Contest fu proprio sui colori, in quanto quelli di prova erano troppo surreali, a detta del giudice. Lui, poi, non ha più seguito il progetto, e io ho potuto utilizzarli!
Se osservi attentamente, nel primo capitolo, Maddalena e Barabba sono monocromi in quanto polarizzati l’uno contro l’altro, non ci sono le sfumature che poi acquisiscono nel corso del libro. Solo nell’ultima parte i personaggi sono colorati in maniera naturalistica, mentre il luogo in cui si ritrovano perde di colore.
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Come vivi la scena del Fumetto italiano e in che rapporto sei con i giovani autori che stanno segnando questa nuova stagione?
Se si può parlare di una nuova stagione del Fumetto italiano, credo che si debba farlo già da diversi anni, in quanto io non ho la percezione di essere staccato da autori più grandi di me. Le cose preferite che ho nelle mia libreria sono opere recenti. Certo, ci sono dei classici ai quali sono legato, però sono molto vicino ad autori a me contemporanei. Su tutti, posso citarti il nome di Pellizzon, il cui utilizzo del colore mi ha aperto la mente. Penso a “Manuale di anatomia” come a una delle mie opere preferite. Oltre a una bella storia e a dei bei disegni, aveva un impianto narrativo originale, concepito in maniera diversa dal solito. Così come trovo incredibile e allucinato il coloring di “Gli amari consigli”.
Non frequento fumettisti, e le persone con cui mi relaziono non lavorano in questo campo. A differenza di altri che magari tendono a condividere spazi e amicizie con altri colleghi, vivo meglio in solitario quello che per me è un lavoro, mentre la mia socialità è rivolta ad altre persone. Ci sono collettivi che stanno facendo delle cose incredibili, dei prodotti professionali completi e assurdi, ma è un discorso che per ora non mi appartiene.
A cosa stai lavorando ora?
A un progetto segreto con Edizioni BD, di cui ovviamente non posso svelare nulla, e a un’opera che dovrebbe riguardare un personaggio storico femminile che amo particolarmente. Non ho ancora presentato la sceneggiatura, ma spero possa diventare la mia prima pubblicazione all’estero.