Massimo Lopez ci parla del doppiaggio di Mr. Peabody & Sherman

L’attore e doppiatore è stata la scelta per la particolare, profonda e seriosa voce di Mr. Peabody nella versione italiana del cartoon DreamWorks...

Critico e giornalista cinematografico


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E’ stato scelto Massimo Lopez per dare la voce alla versione moderna di Mr. Peabody, il cartone per la tv anni ‘60, ampliato, allungato, dimensionalizzato e digitalizzato per il cinema in una versione lunga e larga di un episodio televisivo.

Nato come doppiatore negli anni ‘70 e ‘80 con l’animazione giapponese per la tv (Sampei, Super Gattigher, D’artacan e i tre moschettieri) e poi sempre rimasto nel mondo delle voci, di tanto in tanto lavorando sia con attori in carne ed ossa sia con personaggi animati (recentemente la sua voce si sente in Happy Feet 1 e 2, Frozen e Turbo, senza dimenticare che è il nuovo doppiatore di Homer Simpson), Massimo Lopez è noto più per le sue imitazioni o per le parlate particolari, raramente infatti ha usato un timbro così normale come quello che gli sentiamo dare a Mr. Peabody e Sherman.

Come hai concepito la voce di Mr. Peabody? A cosa ti sei ispirato?

Innanzitutto si parte dalla voce del doppiatore originale, ma nel caso di un cartone si tratta comunque di un attore che ha avuto delle indicazioni e ha lavorato sulla fisicità del personaggio. Io a quel modello mi ci sono avvicinato poi però ho anche lavorato per cercare di trovare una strada autonoma e adatta all’italiano. Ho visto il film una volta per intero per capire il personaggio, un professore, un sapiente, un dotto, un premio nobel che vuole insegnare, e anche dalle espressioni mi dava l’idea di una parlata british, un po’ snob. Questo considerando sempre che ad un certo punto deve anche tirar fuori un aspetto umano.

Che differenza c’è tra doppiare un uomo e un cartone?

Ad oggi è quasi uguale, tanto l’animazione è curata e realistica.

Invece rispetto ai cartoni giapponesi che hai doppiato decenni fa?

Beh allora era diverso, non a caso ora preferisco l’animazione americana a quella nipponica. Quel tipo di prodotto televisivo non dava soddisfazione nell’espressività e noi doppiatori dovevamo compensare con la voce per dargli più movimento. I cartoni di adesso invece (penso a questo o anche ad Happy Feet) sono dei kolossal, storie piene di emozione, espressività, rapporti particolari… Davvero è come doppiare un film.

Il cartone originale da cui è tratto il film era un prodotto anni ‘60, molto particolare e tipico di quegli anni, cosa che si rispecchia anche in questo lungometraggio. Avete considerato questa cosa, cioè avete lavorato anche filologicamente o più pragmaticamente vi siete occupati solo di questo film?

Non conoscevo per nulla la serie originale, addirittura ho saputo della sua esistenza solo dopo aver terminato la lavorazione di questa, quindi abbiamo tenuto conto solo di questo film per quello che è in sè.

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