Martin Eden e il cinema di Pietro Marcello: "Non mi frega niente. Se non ho necessità non faccio film" | Venezia 76

Dalla necessità di fare film al desiderio di tornare a farli "con i francobolli", Pietro Marcello racconta il suo Martin Eden

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Intervistare Pietro Marcello al Festival di Venezia, dove presenta Martin Eden, è un viaggio indietro nel tempo verso un’idea di cinema e di mondo molto diverse da quelle attuali. Marcello ha idee politiche forti, ha un’idea granitica di etica ed è probabilmente l’unico cineasta oggi che sostenga di “avere un mandato da non tradire” in riferimento al proprio lavoro.

Martin Eden l’ha buttato sotto l’occhio del riflettore dopo anni in cui ha lavorato a documentari di scarsa circolazione e grande impegno, è il suo primo film di finzione e ha Luca Marinelli nel ruolo principale.

Questo cineasta che sembra davvero non appartenere ai nostri anni ha realizzato un film che rivede e adatta il romanzo di Jack London, mantenendo il faro della critica all’industria culturale e trovando un modo di farlo suo.

Perché Martin Eden? Da dove ti è venuta l’idea?

“È una storia universale di un uomo del lavoro che si emancipa attraverso la cultura e diventa vittima dell’industria culturale”.

Sì però è inusuale adattarlo in Italia perché è anche la storia di un uomo che ce la fa da solo, una celebrazione dello spirito calvinista e dell’etica dell’opportunità da cogliere tramite l’abnegazione… Tutte cose che storicamente non ci appartengono

“Non solo, noi non abbiamo nemmeno avuto Melville o Stevenson! Proprio non possediamo la cultura e letteratura del mare, del pacifico, che invece hanno gli anglosassoni. Per questo il mio adattamento è libero. Martin Eden in fondo è un archetipo che sia ambientato a Napoli, Anversa, Marsiglia o San Francisco non cambia”

Vedendo il film sembri sentire stretta la gabbia del film di finzione e scapparne quando puoi...

“Il linguaggio del documentario era il più comodo per affrontare l’imprevisto e l’imprevedibile, non credo nella scrittura per il cinema perché è incompleta e perchè tanto poi c’è la trasposizione filmica. Scrivi e immagini alberghi bellissimi ma poi valli a trovare o a trovare i soldi per pagarli. Il cinema in sé è cialtrone e quel che fai è renderlo meno cialtrone possibile. Con i pochi soldi che avevamo se non avessi avuto lo strumento del documentario sarebbe stata una Caporetto totale”

Levare a Martin Eden una connotazione temporale precisa è stata un’idea di scrittura o una di quelle che arrivano facendo il film?

“Di scrittura, fin dall’inizio. Ma questo film se lo guardi rispetto ai film precisi e ricostruiti bene degli inglesi può essere smontato, solo che non volevo fare un film così non ne ho gli strumenti o la capacità produttiva, serviva tre volte il budget. A me interessava dare un messaggio, la mia è una scelta di necessità, che mi frega di fare film se non ho necessità?”

Qualora ipoteticamente dovessi vincere un premio importante, avresti la possibilità di realizzare progetti che normalmente non potresti permetterti?

“Guarda, io voglio tornare a fare i miei film con i francobolli. Non mi frega niente, se non ho necessità non faccio film. Credo sia importante essere autocritici, credo sia importante controllare il nostro ego e narcisismo e la mia unica speranza sono i giovani”

Vorresti tornare al documentario?

“Io qui ho usato gli strumenti del documentario ho imparato a lavorare con l’imprevisto e credo nel metodo rosselliniano, cioè prendere la sceneggiatura e smontarla (cosa che fanno anche molti altri)”.

Sì però questa a differenza dei documentari è una storia che hai scelto e non trovato in giro...

“Sì ma so anche che tanto tra quel che scrivi e quello che fai ci passa un fiume in mezzo. Considera che poi le maestranze cambiano come la nostra società, prima c’era un rapporto tra cinema e pittura che si è perso, c’è chi sta appresso a 4K o 5K, ma invece parliamo del fatto che la pubblicità è stata portata nel cinema, proprio il suo linguaggio, che i film si fanno con il linguaggio della pubblicità e non c’è più ricerca. La televisione è il surrogato di quel che era. Era una strumento didattico potentissimo e non c’è più niente, viviamo in una società di merda”

Eppure adesso la tv si sta avvicinando al cinema più che mai! Non trovi sia una ricchezza la nuova offerta televisiva?

“No perché ogni momento scompare una sala e la nostra responsabilità è di non fare una campagna per la sale, non c’è unione, siamo divisi perché non c’è una spinta sociale forte e nessuno si rende conto che le sale stanno scomparendo per diventare supermercati. Se pensi al 4:3 di cui la tv si è appropriata e poi anche del 16:9… Probabilmente saremo come i pittori della domenica, è un discorso che riguarda l’industria culturale che nel film è ben presente”.

Mi hai citato Rossellini prima ma lui lavorava molto per la tv

“Sì perché quella era una tv didattica, era grande la tv italiana non da meno della BBC fino almeno agli anni ‘80, produceva cose straordinarie”

Quindi non sei contrario a lavorare per la tv?

“No certo è uno strumento potentissimo ma parlano sempre i vecchi perché non si fa un film sui giovani?”

Che film italiani ti piacciono?

“Sono legato ad autori come Michelangelo Frammartino, Gianfranco Rosi, Alice Rohrwacher… Sono questi i miei compagni di viaggio e ne ho tanti altri, però in sé quel che è importante ora è fare film necessari e farsi domande morali. L’arte per l’arte è fine a se stessa”

Stai pensando al prossimo film?

“No, penso però a qualcosa di necessario. Si ragiona così su cosa sia giusto porsi una questione ed essere autocritici, rigorosi per non tradire il nostro mandato”

Continua a leggere su BadTaste