LuccaCG18: Paola Barbato e Matteo Bussola ci parlano del finale di Davvero

In occasione del ritorno di Davvero, abbiamo intervistato per voi Paola Barbato e Matteo Bussola

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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A Lucca Comics & Games 2018 abbiamo incontrato Paola Barbato e Matteo Bussola, intenti a presentare il settimo e ultimo numero di Davvero, atteso da anni dagli appassionati dopo l'interruzione della serie.

Abbiamo chiacchierato con i due autori per scoprire com'è nato questo finale, facendo inoltre un bilancio del progetto.

Sette anni fa, "Davvero" ha preso il via con una compagna marketing virale, tra pagine Facebook e un esercito di attaccatori di post-it... e ora riappare a sorpresa, con un annuncio che risale a poche settimane prima di Lucca Comics & Games. Parafrasando Nanni Moretti: "Mi si nota di più se faccio marketing virale o se riappaio all'improvviso?". Ultimamente, J.J. Abrams, uno dei maggiori ideatori di campagne virali per le proprie opere, ha annunciato un film due mesi prima dell'uscita nelle sale, mentre un'altra pellicola è stata svelata su Netflix la sera prima dell'esordio. La vostra strategia "silenziosa" com'è nata?

Davvero 1

Paola Barbato - Il progetto era partito come fumetto online, quindi eravamo un gruppo di persone che voleva vedere se quest'idea potesse concretizzarsi. Non avevamo nulla, non avevamo un editore, eravamo solo noi. C'era Lucca, e avevamo scelto il post-it come "simbolo" del fumetto, quindi ognuno ne ha preso un blocchetto e su ciascun foglio ha scritto l'indirizzo del sito, per poi attaccarlo dove capitava in fiera. Era l'unica cosa fattibile con un gruppo molto ampio, con amici che arrivavano da tutte le parti d'Italia. Probabilmente, proprio perché era l'unica possibilità che avevamo, ha funzionato: all'epoca ci fu un grande passaparola e il pubblico è arrivato.

Sono passati sette anni e il fumetto non ha un editore. Edizioni Arcadia ce l'ha stampato, ma sostanzialmente non viene distribuito. La nostra intenzione era quella di dare al pubblico un finale, com'era giusto che fosse, perché la storia si era interrotta prima della conclusione. Indipendentemente dal numero di lettori, siano essi dieci, cento o mille, il finale di una storia a puntate va consegnato. Per cui abbiamo composto una piccola truppa, un tot di tavole per ogni disegnatore - "Quante riesci a farne tu?", "Ce la fai a consegnare?" "No, mi è arrivato un altro lavoro" - perché abbiamo collaborato con lo stesso spirito con cui abbiamo iniziato.

Nessuno ci ha guadagnato nulla: volevamo semplicemente farlo. Abbiamo tagliato il traguardo a un mese da Lucca, e ci siamo chiesti "Cosa facciamo? Lofacciamolofacciamolofacciamo?" E lo abbiamo fatto. Per questo siamo venuti fuori così di botto, alla fine.

È la stessa storia che era stata scritta all'epoca, rimasta nel cassetto per tutto questo tempo? Oppure quando hai deciso di realizzare questo ultimo numero ci hai messo mano e l'hai rielaborata?

Barbato - La storia è stata concepita per svilupparsi in dodici numeri. Ne sono usciti sei, e ovviamente gli altri sei avvenivano altre cose che non potevano essere tutte pressate in un unico albo, per cui sono stati sacrificati innumerevoli elementi; anche perché ci sono delle tempistiche precise, per cui non puoi macinare troppi mesi in un solo albo.

Ci siamo detti: l'avventura di Martina fuori da casa non durerà un anno, il suo esperimento fallirà, quindi sarà uno svolgersi degli eventi logico e coerente. Allo stesso tempo, volevamo darle una conclusione in cui ci fossero alcuni degli elementi che sarebbero stati presenti nei sei albi seguenti, senza snaturarla eccessivamente ma dandogli una fluidità. Si conclude come si doveva concludere, solo con meno cose e in un tempo più breve.

Riguardo al coordinamento dei disegnatori, è cambiato qualcosa rispetto alla pubblicazione dei numeri precedenti? Avere un solo albo in cui si deve mantenere una coerenza tra i diversi disegnatori cosa ha comportato?

Davvero 2

Matteo Bussola - Mi permetto di correggerti: non c'è mai stata una coerenza stilistica. Anzi, la ricerca di una coerenza che non fosse per niente coerente è stato motivo di vanto. Abbiamo lasciato a ogni disegnatore totale libertà espressiva. Ai tempi della pubblicazione online, questa cosa si notava moltissimo perché c'erano discrepanze stilistiche enormi tra un disegnatore e l'altro.

Nel momento in cui siamo passati a Edizioni Star Comics, il bianco e nero tendeva a raffreddare tutto quanto. Se però guardi il primo numero disegnato da Walter Trono e Antonio Lucchi, il primo ha un disegno realistico mentre il secondo si avvicina a uno più grottesco. C'è una coerenza narrativa, non grafica.

I disegnatori li abbiamo scelti io e Paola. La sua idea geniale, mossa dal suo animo un po' naif, è stata quella di mettere un annuncio su Facebook, e in questo credo che siamo stati pionieri. Lei voleva fare questo fumetto, ma nessun editore italiano glielo permetteva, perché "Paola Barbato deve fare solo il noir, il thriller". Aveva il desiderio di raccontare questa storia e l'ha raccontata da sola.

Un disegnatore in casa l'aveva, ma non avrei mai potuto disegnare centinaia di pagine da solo, per cui contattò disegnatori esordienti, chiedendo a chiunque volesse darci una mano di realizzare il numero di tavole che riteneva di poterci offrire, partecipando a quel progetto senza trasformarlo in un impegno troppo gravoso.

Ci siamo assestati inizialmente su cinque o sei pagine a testa, che non è diverso dal numero di tavole di prova che mandi a un editore per presentare un progetto. L'idea era che la visibilità (parola di cui molti si riempiono la bocca) data da Paola Barbato potesse restituirti qualcosa per la tua carriera. Inizialmente, è stata anche attaccata per questo, perché faceva lavorare i disegnatori gratis, ma c'era un accordo tra le parti e nessuno è stato sfruttato.

Fabio Detullio ora lavora per Bonelli e Soleil, Walter Trono disegna "Dragonero", Fabio Ramacci è ormai lanciato sul mercato americano, Mario Del Pennino collabora con la Marvel, Riccardo Nunziati fa "Diabolik" eccetera... Ognuno di questi disegnatori, anche grazie a questo innesco, ha trovato una propria strada nel mondo del lavoro, quindi mi sento di dire alle persone che all'epoca criticarono Paola che ognuno è libero di scegliere per quale progetto spendere le proprie energie. Se fai qualcosa semplicemente perché ti piace farlo, senza secondi fini, a volte il karma può premiarti.

Barbato - Il numero 7 è composto da tutti quei disegnatori. Hanno partecipato perché volevano salutare il progetto, un collettivo che ha lavorato a titolo gratuito. Poi ci sono amici come Lola Airaghi o Giuseppe Candita, che non avevano alcun interesse di "mettersi in mostra" ma hanno voluto collaborare.

Bussola - Esatto, non c'erano solo esordienti che volevano farsi notare, ma anche professionisti "di lusso" che volevano partecipare, e anche questo ad alcuni è risultato incomprensibile. "Ma come? Sei Alessandro Poli e vai a fare sei tavole gratis per Paola Barbato?!". E non lo capiranno mai.

"Davvero" è stato innovativo per il suo voler proporre in Italia un genere che all'estero è presente. Penso agli shojo manga o agli slice of life giapponesi.

Barbato - Diciamo il Fumetto realistico. Anche quando ha un tratto realistico, in Italia il Fumetto è comunque avventuroso o poliziesco. Non si parla mai - se non in qualche scorcio di "Julia" - della quotidianità di chi si deve preparare le uova.

Siamo abituati a vedere queste scene con una funzione propedeutica. Come Peter Parker che "prepara il terreno" a Spider-Man.

Barbato - Esatto, porta sempre ad altro. A me questo "altro" non interessava.

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Il bilancio di "Davvero" è positivo, dunque, nonostante la sua "sfortuna".

Davvero 7

Barbato - Positivissimo. Il mercato italiano ha rimbalzato il progetto, e ne prendiamo atto, ma può anche essere che non fossero maturi i tempi, che se l'avessimo tentato ora sarebbe andata diversamente. Può darsi che sarebbe saltato fuori un interlocutore diverso nell'editoria: all'epoca è stato Star Comics, e potrebbe non essere stato quello giusto; magari oggi avremmo trovato un editore differente in grado di seguire il progetto sulla lunga distanza, senza concentrarsi sull'andamento del singolo numero. Però queste sono tutte dinamiche editoriali, ti capita l'editore che ti capita.

Tutti sanno che all'epoca non ho voluto proporre questo progetto in Bonelli, pur avendo una discreta convinzione che me l'avrebbero accettato. Però era appena mancato Sergio Bonelli, lui me l'avrebbe fatto fare - anche se non ci avrebbe creduto - ma farlo dopo la sua scomparsa avrebbe portato molti a dire "L'hanno fatto solo perché Sergio non c'è più!", e non avrei mai potuto accettarlo.

Pensi che la chiusura della serie possa aprire la strada al titolo come raccolta in volume, nel formato di una graphic novel?

Barbato - Innanzitutto, il finale è stato un ringraziamento ai lettori che hanno aspettato per tutto questo tempo; dopodiché, parliamo di una storia che chiude ma non occlude, non è un finale drastico. Se si presentasse qualcuno che intende trasformarla in qualcos'altro, sarebbe il benvenuto, ne potremmo parlare. Ma non è l'intenzione con cui abbiamo realizzato il settimo numero. Abbiamo pensato al lettore che finalmente si porta a casa la conclusione della storia.

Nel racconto è stato abbandonato il conteggio del denaro che accompagnava le vicende di Martina. Come mai?

Barbato - È stata una decisione legata alla coerenza, perché non era più un elemento nodale della storia, anche se ogni tanto i soldi vengono citati. Finché Martina gestiva il proprio denaro, aveva senso monitorare la situazione, ma una volta che questa è migliorata sarebbe stata una cosa appiccicata lì, solo per il piacere di farlo. E quando una cosa non è più utile, la lascio andare.

Quando Martina è tra il pubblico televisivo, muove a Selene delle critiche che potrebbero essere mosse a se stessa. È un passaggio che mi ha affascinato molto: sono critiche reali o è un copione che gli è stato fornito dagli autori del programma?

Barbato - Sono critiche reali. Secondo me, si tratta del classico caso del bue che dà del cornuto all'asino. Nascono nella mente di Martina e sono assolutamente una proiezione di sé. Poi, ovviamente, sono cose sottintese che divertono me; la trovavo una cosa interessante, anche se non c'è stato lo spazio per svilupparla. Se avessi avuto a disposizione sei numeri conclusivi, quello sarebbe stato un grande nucleo su cui lavorare.

Alla fine arrivi a parlare dei reality show. Ormai sembra un argomento "vecchio", ma quando è stato lanciato il fumetto era ancora un elemento che scatenava accesi dibattiti. Hai sempre avuto l'idea che "Davvero" sarebbe arrivato a parlare di una ragazza catapultata in questo universo o è "solo" una delle tante tappe dell'avventura di Martina?

Barbato - All'epoca, c'erano le pagine Facebook di tutti i personaggi di "Davvero", e se avessimo avuto le forze sarebbero state aggiornate giorno per giorno. Ci saremmo suddivisi la gestione di queste pagine e io avrei detto ai vari colleghi cosa avrebbe dovuto dire Riccardo in quel tal giorno, quale status avrebbe pubblicato Martina, eccetera... Questo sarebbe stato sostenibile in un macrocosmo molto più articolato.

La potenzialità, secondo me, c'è sempre stata, e da cosa nasce cosa. Nel momento in cui Martina sarebbe diventata un personaggio televisivo, avremmo creato i gruppi di hater. Sarebbe stato uno spunto di riflessione interessante, un modo per raccontare bene questo fenomeno.

Entrambi lavorate nel Fumetto seriale ma avete anche pubblicato romanzi in prosa. Avete mai preso in considerazione la possibilità di collaborare alla realizzazione di una graphic novel?

Davvero 6

Barbato - Abbiamo già fatto delle cose assieme, oltre a "Davvero", e ne faremo altre. Credo però che sia meglio intersecare le nostre carriere per un breve lasso di tempo, perché collaborare è complicato, soprattutto se uno deve scrivere e l'altro disegnare. Mi piacerebbe più collaborare per concepire qualcosa a livello concettuale, ossia avere un'idea, immaginare un universo e svilupparlo.

Bussola - Quello che suggerisci è uno sbocco più che naturale, ed è quasi ovvio che prima o poi arrivi, ma in modo naturale, senza forzare i tempi.

Il problema è che ognuno ha una propria visione del mondo. Non siamo solo sceneggiatrice e disegnatore, siamo due narratori. Inoltre, per lavorare con una persona con cui hai un rapporto sentimentale ci vuole grande maturità, e io non sono sicuro di averla. Un conto è quando uno sceneggiatore a 800 chilometri ti dice: "Questa mano è disegnata malissimo, rifammela!", ma quando te lo chiede la persona con cui vivi, sono le sette di sera, hai l'arrosto sul fuoco e rifare quella vignetta significherebbe lavorare per altre ore... Ecco, è diverso.

All'incontro con gli editor di Marvel e Shueisha, Roberto Recchioni ha detto che in questo momento la graphic novel è sotto i riflettori e che c'è quasi il rischio che il Fumetto popolare passi in secondo piano. Come vedete questa situazione?

Bussola - Il Fumetto è sempre popolare, quindi la distinzione non è tra Fumetto popolare e graphic novel, al limite tra Fumetto seriale e "romanzo", quello che esce in libreria in un unico volume.  Il discorso non è tanto legato al formato, ma al nuovo modello distributivo che si sta delineando. In Italia le edicole stanno chiudendo al ritmo di quattro al giorno. Quattro. Edicole. Al. Giorno. Sta sparendo il canale dove il Fumetto è nato. Al contempo gli editori di librerie di varia, grazie a fenomeni come Zerocalcare, Giacomo Bevilacqua e molti altri, si sono resi conto che il Fumetto rende. È un mercato inesplorato a cui si stanno interessando gli editori forti. È in atto un processo molto interessante, e vale la pena seguirlo con attenzione.

Bussola Barbato

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