LuccaCG18, Panini: Marco B. Bucci e Jacopo Camagni ci parlano del ritorno di Nomen Omen
A Lucca Comics & Games abbiamo intervistato Marco B. Bucci e Jacopo Camagni, autori di Nomen Omen
Ringraziamo lo staff della casa editrice modenese per la collaborazione, in particolare Leonello Di Fava ed Enrico Ferraresi.
Ciao, ragazzi. Bentornati su BadComics.it!
Prima di parlare di "Nomen Omen", ci raccontate com'è nato lo Studio Dronio?Bucci - Abbiamo iniziato a collaborare molti anni fa, lavorando con la Francia. La serie "Magna Veritas", edita da Soleil, è stata la prima nostra esperienza assieme. In quegli anni avevamo diverse cose all’attivo, sia progetti fotografici sia altri di scrittura illustrata, più che di Fumetto vero e proprio. Lo studio era casa nostra! Da lì è iniziata l’avventura, con un nickname che cita Miss Dronio di "Yattaman".
Camagni - Ora abbiamo all’attivo anche "Nomen Omen", il lavoro su Groucho per Bonelli, il lavoro sui giochi di ruolo per Raven e alcuni progetti di board game come "The Others". Abbiamo una visione molto simile, per questo è molto facile collaborare. Finiamo le frasi l’uno dell’altro![gallery size="large" ids="158488,158489,158490"]
In seguito, com'è nato il progetto "Nomen Omen"?Bucci - Da un viaggio che abbiamo fatto qualche anno fa, quando fu ufficializzato che Jacopo era uno degli artisti selezionati del ChesterFest. Siamo andati a Manhattan per l’occasione. Da quel viaggio è nato il desiderio di scrivere una storia che fosse ambientata lì, che comprendesse persone conosciute sul posto e che raccontasse di un mondo dietro le quinte. Parallelamente, in entrambi è molto maturata una certo tipo di spiritualità e di legame con quella che nel fumetto chiamiamo "magia". In realtà è una visione molto personale della stregoneria classica europea e italiana, di cui c’è una tradizione forte. Tutto questo è finito in "Nomen Omen", che in principio, come concezione, doveva essere molto più vicino ai comics ma in seguito è diventato qualcosa di molto più personale.
Camagni - Parte della storia riguarda persone che conosciamo. In parte, la protagonista è ispirata alla nostra amica Becky Cloonan (autrice della variant cover)! La scena iniziale è ambientata nel diner vicino al Comicon, dove nel 2008 abbiamo conosciuto Becky.
Bucci - Inoltre possiamo dire che questa storia parla del superamento di una perdita. C'è un gruppo di ragazzi molto giovani che deve affrontare un lutto, condizione in cui io e Jacopo ci siamo trovati, molti anni fa. Forse lì è nata la prima idea della storia, poi declinata e contestualizzata.
Camagni - Avevamo perso un nostro amico e abbiamo pensato che fosse un tema importante cercare di trovare un modo per superare una perdita. In particolare, questo è il motivo per cui i personaggi vengono rappresentati con dei buchi nel petto.
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"Nomen Omen" è un progetto crossmediale: i fumetti, un romanzo... cosa possiamo aspettarci dal futuro?
Bucci - Ci sono cose che solo un fumetto può raccontare, mentre per altre devi avere più parole e più spazio per mostrare un punto di vista differente. Nei fumetti c'è unicamente il punto di vista di Becky, non vogliamo mai uscire dalla sua prospettiva. Deve vivere lei la storia e chi vi si avvicina deve farlo in modo ugualmente integrale, senza contaminazioni. Non ci sono molte scene senza Becky, se non quando strettamente necessario. Il mondo di "Nomen Omen" è però molto vasto: abbiamo fatto un lavoro di worldbuilding interessante, prendendo a piene mani da mondi che abbiamo mescolato assieme in modo personale. Da questo nasce l'esigenza di raccontare altri personaggi e i loro mondi emotivi, una cosa chiara solo nel libro.
Utilizzerete altri media oltre a quelli appena citati?
Camagni - Secondo Marco, questa storia ha una vita propria oltre quella vista nel fumetto, e ha bisogno di uscire: una volta in un albo da 16 pagine, poi come profilo Instagram con i sogni della protagonista, un'altra ancora sotto forma di romanzo. Secondo me si tratta di motivi pratici. Uscirà probabilmente anche in altri media. Siamo abituati a ragionare in modo ampio sulla storia. L’abbiamo in mente, ma ci viene da pensare a come potrebbe essere un board game, oppure una serie TV. È sempre raccontare, ma facendolo in modo diverso e quindi più adatto a ogni soluzione specifica. Sicuramente avrà altre declinazioni in futuro, tempo e risorse permettendo.
Perché il titolo “Total Eclipse of the Heart”, ispirato a Bonnie Tyler?
Camagni - Il secondo volume cita "Wicked Game"! Il numero zero è invece "Bizarre Love Triangle" dei New Order, mentre l’interludio presentato a Napoli Comicon è "Dream on" degli Aerosmith. Canzoni non casuali, hanno sempre un motivo che verrà svelato all’interno della storia.
Uno degli aspetti più particolari delle tavole è sicuramente l’utilizzo del colore. Come mai avete scelto questa soluzione particolare per mostrare l’acromatopsia di Becky?
Camagni - Volevamo rendere la acromatopsia in modo tale che fosse immediatamente chiaro al lettore cosa Becky stesse vedendo e come. Le parti in bianco e nero sono di un mondo reale con la presenza di magia, mentre quelle a colori sono sogni. E l’interludio ha una parte con cinque pagine totalmente a colori: il "mondo fatato”. E non abbiamo ancora finito!
In "Nomen Omen" non mancano scene di nudo e con violenza esplicite. Spesso per "evitare problemi", le parti più “estreme” vengono censurate dagli autori stessi o in fase di editing. Come mai avete scelto di mostrare tutto e sempre? Si tratta di una scelta che, per esempio, ricorda molto "Gea" di Luca Enoch.
Bucci - L’idea di inserire dei nudi deriva dalla storia che ci ha portati a quella condizione specifica, perché nel nostro racconto ci sono molte creature sovrannaturali con un aspetto illusorio. Per loro, l’aspetto e la carne stessa sono solo un vestito, ed essere nudi è una condizione molto più naturale della nostra. Noi siamo creature comunitarie che devono cercare compromessi per stare insieme, per educazione. È una scelta narrativa: non possiamo immaginare che certe creature non vivano quella condizione. Per esempio, nel romanzo il re richiede che nel suo palazzo nessuna porta venga chiusa perché la vergogna è una roba da esseri umani. Non è un inno al nudismo: ho immaginato che quella fosse la loro cultura. Non si vergognano, e anche la proprietà privata non si basa sulla nostra legge o le nostre limitazioni.
Sentirmi paragonare a Luca Enoch mi lusinga moltissimo! Sono cresciuto con "Sprylitz" e "Gea", tuttora seguo Enoch nella grande avventura di "Dragonero". Secondo me lui è molto, molto consapevole che ci siano cose da sdoganare. Io non vivo nella stessa età dei suoi fumetti, produciamo storie in periodi differenti, ma credo di essere un po' frutto di quei nudi. E poi, per me il frontal male/female nude è un tabù sciocco e ridicolo. Queste creature assomigliano a esseri umani, dee ed eroi, ed espongono il loro nudismo in modo del tutto slegato.
Camagni - Quello che abbiamo evitato è il nudo gratuito da clickbait. Il nostro fan vorrebbe anche quello, certo, ma ogni nudo è sempre naturale e non volgare. Non esplicito in maniera gratuita. Il sesso è sottinteso, si vede velatamente, ma i genitali sono gestiti nel modo più naturale possibile, senza sottolineare la cosa, ma nemmeno negandola.
Al pari del nudo, anche la violenza è del tutto naturale, come il fatto che le le fate siano immortali e possano morire solo grazie al ferro freddo o alla dimenticanza. Per loro la violenza fa parte del gioco.
Parliamo del gioco "Memento Mori". Cosa portate dentro di quell’esperienza che, seppur apparentemente, sembra lontana dal racconto a fumetti?
Bucci - Sono un autore della lore del gioco, mentre Jacopo ha curato l’aspetto artistico come Art Director del progetto e del gruppo di lavoro interno. "Memento Mori" ha come game designer mio fratello, Andrea Bucci. Tratta come tema la peste del 1.300 d.C., come la malattia modifichi il corpo di questi esseri umani maledetti che iniziano una discesa verso la corruzione in un’estetica che ricorda "Dark Souls" e "Berserk", di Miura. Abbiamo cercato di fare un lavoro che ricordasse le loro atmosfere. Il giocatore è spinto a decostruire l’idea che ha del personaggio, che poi va a spezzarsi, perdendosi verso la dimenticanza e l’oblio in qualcosa di oscuro.
Il meccanismo è opposto al gioco di ruolo classico. Pensavamo restasse un progetto indie, ma poi siamo andati con una major del gioco italiano, Raven. Eravamo partiti con qualcosa di provocatorio, ovvero la buona notizia che diamo all'inizio di questo gioco: ricordati che devi morire. Dal primo momento i giocatori sanno perfettamente che hanno contratto la peste. L’idea di crescita e di futuro, di prosperità, viene subito smentita. Uno dei temi è rendere utile il tempo che resta. Gli Erranti sono tenuti in vita da una sola cosa: un sogno (la parte colorata d'oro di "Memento Mori", che ha una grafica in tre colori: nero, rosso e oro), ovvero trovare la risposta a tale sogno e capire quanto sei disposto a sacrificare per raggiungerlo.
Jacopo, parliamo del tuo lavoro per la Marvel: in quel caso hai lavorato con proprietà intellettuali che spaziano in diversi media. Come cambia il tuo approccio tra quello e "Nomen Omen"?
Camagni - Lavorare su una mia proprietà intellettuale è un sogno, ma ci sono arrivato proprio grazie alla Marvel: lavorando con loro mi sono fatto un nome. Se non l'avessi fatto, avrei avuto meno credibilità agli occhi di Panini Comics, quindi è stato sicuramente un valore aggiunto. In quei dieci anni ho imparato molto, sotto tutti i punti di vista. "Deadpool the Duck" è stata la prima volta in cui mi hanno lasciato “creare” un personaggio lasciandomi carta bianca.
Progetti per il futuro?
Camagni - Il terzo volume della serie previsto per Lucca Comics & Games 2019, e in più abbiamo in programma l’uscita di un albo per il prossimo Napoli Comicon, nuovamente da 16 pagine e gratuito (come avvenuto negli ultimi due anni).
Bucci - Oltre a tutto ciò, ho una graphic novel in lavorazione con Panini, in cui è coinvolto un altro disegnatore.