LuccaCG18: intervista a Elena Vitagliano, vincitrice del Silent Manga Audition
Abbiamo intervistato per voi Elena Vitagliano, vincitrice del Silent Manga Audition
Ringraziamo per questa intervista l’autrice e la sua manager Roberta Parisi.
Ciao, Elena, benvenuta su BadComics.it!
Voglio cominciare con una domanda che riguarda i gaijin manga [manga di autori non giapponesi - NdR], che spesso, soprattutto dal pubblico americano, vengono accusati di appropriazione culturale. In tal senso, Berliac – autore del manga "Sadbøi", pubblicato in Italia da Canicola – ha paragonato il manga a un’arte marziale: se una persona che pratica il judo, è considerato un judoka, per quale motivo un artista che disegna manga non dovrebbe essere considerato un mangaka? A te è mai capitato di dover fare i conti con persone che pensano che uno straniero non possa disegnare manga?Sì, soprattutto in passato. Adesso, a supporto di noi artisti internazionali che sosteniamo di poter fare manga anche se non siamo giapponesi, c’è quello che dicono i giapponesi stessi, che guardano i nostri manga e dicono: “questi sono manga, e sono anche fatti bene”. Se un sensei giapponese del livello di Tsukasa Hojo, autore di “City Hunter” e “Occhi di gatto”, o Tetsuo Hara approvano il nostro lavoro, certe critiche sono un po’ come acqua su un impermeabile: scivolano via.
Il manga è un linguaggio, un sistema di segni usati per comunicare, come la musica. E come tale può essere imparato. Tra l’altro chi impara e pratica un nuovo linguaggio, e porta questa sua pratica a determinati livelli, riesce prima o poi anche a dare un suo apporto originale, quasi a “contaminare” il linguaggio stesso. In sintesi, l’artista non giapponese può imparare il linguaggio del manga e può anche, col tempo, apportarvi qualcosa di nuovo.Per un occidentale fare manga ha delle difficoltà specifiche? Nel disegno o nel modo di raccontare le storie, ci sono degli elementi più difficili da padroneggiare?
Penso che il problema nasca nel momento in cui si cerca di produrre qualcosa per il pubblico giapponese. Esprimere delle cose che sono chiarissime nella propria cultura e cercare di farle capire a un’altra popolazione è una sfida. Quando propongo i miei lavori all’editor, soprattutto se si tratta di storie ambientate in Italia, mi vengono poste delle domande a proposito delle reazioni dei personaggi: quelli che sono comportamenti normali per noi, talvolta non lo sono per loro. Da questa diversità possono nascere degli elementi interessanti, ma è necessario fare in modo che il lettore appartenente a una cultura diversa riesca a comprendere determinate situazioni.
È un po’, in realtà, quello che è accaduto a noi lettori di manga. Dopo un po' abbiamo smesso di chiederci perché quel personaggio non si dichiari subito, anziché aspettare cinquanta volumi! Con il tempo abbiamo capito che certe cose, in Giappone, funzionano così, dunque le accettiamo.
Sul sito di Silent Manga Audition, come contributo extra, è disponibile una mia storia che inizia dal punto di vista di una madre che vede sua figlia fare un atto di bullismo nei confronti di una sua compagna di scuola. L’idea mi è venuta perché, in Italia, si sente spesso parlare di genitori che si schierano a spada tratta dalla parte dei propri figli anche quando hanno comportamenti scorretti. Quindi, ho pensato fosse necessario guardare a questa tematica con un punto di vista diverso, che desse "una lezione". E trovare una reazione che fosse comprensibile e accettabile anche da un punto di vista giapponese è stato un processo di lavorazione interessante.
Dal punto di vista tecnico, anche se sono io stessa in continuo work in progress, direi che un problema potrebbe essere rendere la dinamicità delle tavole tipiche del manga, poiché culturalmente siamo abituati a tavole leggermente diverse. Ma leggendo i fumetti giapponesi con occhio critico e grazie ai consigli di un editor che ti segue, si comincia a comprendere le regole tipiche del manga per riuscire a raggiungere il proprio obiettivo.
Hai vinto il Silent Manga Audition scegliendo la tematica sportiva. Alla luce di questo mi sono chiesta quali siano i tuoi generi di manga preferiti, quelli che leggi più volentieri e che magari ti hanno spinta a decidere di intraprendere questa carriera artistica.
Che domanda difficile! Mi piacciono molti generi, ma sicuramente la commedia sportiva è qualcosa che mi attira perché il personaggio principale, di solito, è un po’ meno bravo degli altri e si dà da fare per migliorare, senza arrendersi; e anche quando è bravo in quello che fa ha un sacco di difficoltà che deve superare e la sua crescita durante la storia è molto evidente. Mi piacciono i racconti in cui l’evoluzione del personaggio è chiara e lui cambia attraverso tutte le sue peripezie. È un po’ la metafora della nostra vita: non rimaniamo mai uguali a noi stessi, ma cambiamo tramite ciò che impariamo!
I manga di genere sportivo mi piacciono molto. "Slam Dunk" di Takehiko Inoue è stata una storia che mi ha dato un sacco di energia, con i suoi match intensissimi nei quali finisci con il sudare anche tu che stai solo leggendo! Mi piace la commedia in generale e leggo molti manga come lettura di evasione, ma di recente non ho trovato nulla che considererei un’opera d’arte. Nel mio piccolo mi piacerebbe scrivere delle storie che intrattengono, ma che hanno un messaggio di fondo più forte.
Tra gli altri mangaka che mi piacciono non possono non citare Riyoko Ikeda, con “Lady Oscar”, altre sue opere che ho potuto leggere, e gli anime che hanno compagnato la mia crescita. Ho ricordi legati anche a “Gigi la trottola” che, neanche a farlo apposta, è un manga sportivo, genere che senza dubbio mi ha influenzato e mi accompagnerà.Quest’estate hai frequentato la Master Class del Silent Manga Audition. Com’è stata questa esperienza?
Prima di tutto, è stato molto bello incontrare dal vivo alcuni grandi autori. Poi erano presenti anche diversi vincitori delle edizioni precedenti della competizione. Prima di qualificarmi alla Silent Manga Audition, guardavo ai loro lavori pensando che non sarei mai riuscita a raggiungere il loro livello, quindi sono diventati per me delle piccole leggende, e avere occasione di conoscerli di persona e scambiare opinioni sul nostro lavoro è stato molto interessante. Senza dubbio, il confronto con queste persone mi ha arricchita molto.
Durante un summit, in cui abbiamo discusso come viene visto il manga nelle nostre varie nazioni di provenienza, è emerso che nei nostri Paesi fare dei manga pur non essendo giapponesi è qualcosa che non è molto preso in considerazione e dunque è difficile farsi pubblicare, o comunque sopravvivere facendo solo questo genere di fumetto. Il fondatore della casa editrice Coamix, assieme agli altri sensei, ha trovato una sorta di soluzione al problema, dandoci la possibilità di crescere lavorando con loro. Chiaramente sarà un percorso che richiederà tempo. Di recente ha anche annunciato che aprirà una scuola di manga nel Kyushu [una delle isole dell’arcipelago giapponese - NdR] e alcuni di noi potranno andare a studiare con loro, al fine di crescere professionalmente.
È stata nel complesso un’esperienza molto bella e ho avuto occasione di sedere al tavolo e scambiare due parole con Ryuji Tsugihara. In Italia non è stato pubblicato niente di questo autore, ma negli anni Ottanta andò in onda “A tutto gas”, l’anime tratto da un suo fumetto.
Credi che questa tua vittoria possa stimolare altri giovani artisti italiani, che magari credono sia impossibile intraprendere questa strada e disegnare manga, a decidere di farlo nonostante le difficoltà?
Spero di sì. Anzi, spesso durante le conferenze che tengo parlo proprio di questo. Decidere di disegnare manga è innanzitutto un percorso personale e poi, in un secondo tempo, diventa anche questione di contattare le persone giuste. La mia esperienza, nello specifico per quel che riguarda il Silent Manga Audition, è cominciata con l’incertezza, ma con la voglia di continuare a insistere. Ho avuto la fortuna di riceve i consigli di Midori Yamane, docente della Scuola Internazionale di Comics di Roma, che lavorava come editor nella casa editrice Kodansha. Ci siamo conosciute per caso e mi ha dato degli ottimi consigli su come procedere con il lavoro. Poi, quando alla competizione è arrivato al secondo posto Salvatore Nives, che è di Napoli come me, ho preso ancora più coraggio per continuare a provarci. Spero che la mia esperienza possa dare forza ad altre persone e, più il gruppo diventa folto, più abbiamo possibilità di affermarci. Quindi forza, provateci!