Lucca 2018: Michael Peña e Diego Luna spiegano cos'è Narcos: Messico
Michael Peña e Diego Luna hanno presentato Narcos: Messico a Lucca Comics & Games
Concluso il Narcos colombiano ora parte quello di Kiki Camarena, con una nuova prima stagione. Narcos: Messico è ambientato negli stessi anni dell’altro Narcos, solo altrove, a Guadalajara. Al centro ci sono Michael Peña e Diego Luna, uno è un poliziotto della neonata l’agenzia antidroga DEA (per l’appunto Kiki Camarena, personaggio realmente esistito), l’altro un ex poliziotto che ora vuole fare carriera nel cartello della droga e già nella prima puntata mostra idee rivoluzionarie e la capacità di metterle in pratica.
Qual è la storia di Narcos: Messico?
DIEGO LUNA: È quella di come siamo finiti nel casino in cui viviamo adesso. Quelli che raccontiamo sono anni fondamentali da capire per il pubblico di oggi, perché aiutano a comprendere la relazione che esiste ora tra Messico e Stati Uniti.MICHAEL PEÑA: Per me era importantissimo che fosse tutto nuovo. Quando Eric Newman mi ha proposto la serie, 3-4 anni fa, mi aveva attirato proprio perché si parlava di una nuova stagione 1, di far partire qualcosa di nuovo. Io consiglio a tutti persone di guardare almeno i primi 3 episodi.
Di cosa parliamo?
MP: Del fatto che il Messico non aveva bisogno di una presenza della DEA perché era un posto in cui la droga si vendeva e non si produceva, questo almeno prima dell’arrivo della marijuana potente e della cocaina, ma soprattutto prima della centralizzazione delle rotte del traffico. A quel punto è stata la polizia ad organizzare il commercio con i criminali. Quel che si capisce da Narcos è come questo problema del traffico sia partito. Come polizia, governo, politici, narcos e chi compra, siano tutti coinvolti, inclusi i vicinati che li proteggono. Ma è anche una serie da bing watching, 70% di quel che viene mostrato è vero (percentuale incredibile!) ma non è fatto per impartire una lezione, è fatto per goderlo.
Adesso vi siete fatti una cultura sul commercio di droga?
DG: Sì e penso che la politica di proibizione palesemente non funzioni, nessuno può dire il contrario. Solo legalizzare la marijuana anche non è una strada fattibile. La questione è più complicata va prima regolarizzata e poi legalizzata. È stato provato e messo in pratica in diversi paesi che consumano ma è più complicato farlo nei paesi che producono o funzionano come snodo del traffico. Credo però sia l’unica strada per far sì che un giorno possiamo approcciare questa questione come una di salute e non di sicurezza.
Conoscevate la fama dei personaggi che interpretate?
MP: Kiki nel 1985 finì sulla copertina di Times Magazine. Avevo 8 anni all’epoca e vidi la copertina. Non ricordavo bene la storia, mi sono molto documentato e mi sono reso conto che di lui non esistono interviste, solo racconti di seconda mano.
DG: Io ero davvero nervoso all’idea di interpretare questo personaggio, così ad un certo punto ho chiesto di poter vedere i primi 3 episodi della serie. La stavamo ancora girando eh, ma alcuni erano già fatti e finiti, così ho chiesto di vederli. La cosa mi ha molto sollevato perché il rischio c’è sempre in questi progetti e devi stare attento.
Nella lavorazione dei film può capitare che gli attori collaborino alle sceneggiature o abbiano margine d’improvvisazione. In una serie immagino sia più complicato visti i tempi e la centralità della sceneggiatura…
DG: In realtà credo sia l’opposto, c’è nelle serie un momento in cui tu conosci il personaggio meglio di tutti, perché i registi cambiano e gli sceneggiatori sono tanti, si dividono il lavoro e magari persone diverse scrivono i dialoghi per il medesimo personaggio. Aggiungici che in questo caso la sceneggiatura è in inglese, poi qualcuno la traduce in spagnolo e poi io la ritraduco un’altra volta nello spagnolo che parla il mio personaggio.
Da questo punto di vista questa serie è fatta davvero bene, ci sono tanti attori messicani che parlano ognuno lo spagnolo specifico del luogo da cui provengono i loro personaggi. Questi sono boss che si sono divisi il paese e quindi ci tengono a mantenere le cadenze del loro modo di parlare.
Oltre a questo ho anche partecipato alle decisioni su come le cose accadono ai personaggi, parlando e discutendone con gli sceneggiatori.
Le serie importanti, non americane, spesso sono criminali o hanno a che vedere con la droga. Secondo te c’è una ragione per le quale hanno questo tipo di presa?
MP: Se guardi la storia del cinema questa ha sempre riflesso quel che accadeva nel proprio tempo. Negli anni ‘50 o ‘60 in America la gente parlava della mafia o di Cosa Nostra, di persone che arrivavano a New York e creavano la mafia. Erano gli stessi fatti di cui si sentiva al telegiornale. In più i criminali sono spettacolari: c’è la necessaria segretezza che hanno le organizzazioni criminali, le soluzioni incredibili che applicano per risolvere i loro problemi e il fatto che sono persone che non vogliono un lavoro comune, bramano il brivido del far soldi illegalmente, cosa che è sempre disarmante per le persone normali. Il bello di Narcos è che non li giustifica ma ci aiuta a capirli e pone la domanda: “Tu cosa faresti?”
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