Lucca 2017: l'incontro con Robert Kirkman, tra The Walking Dead e Oblivion Song
Abbiamo partecipato a una round table con Robert Kirkman: ecco di cosa abbiamo parlato con lui!
È la prima volta che vengo in Italia, e finora si è rivelata un'esperienza fantastica, ma devo anche dire che Lucca sarebbe una location terribile per raccontare una storia come quella di The Walking Dead: ci sono alte mura che circondano la città, strade strette e inferriate a tutte le finestre. Sarebbe un posto facilissimo da proteggere! Forse Venezia sarebbe meglio...
Credo che i momenti più sorprendenti di The Walking Dead siano essenziali ai fini della narrazione, anche perché sto raccontando una storia molto lunga che si svolge nell'arco di diversi anni. Per mantenere costante l'interesse del pubblico è necessario alzare costantemente la posta in gioco. Devo scuotere la storia fin dalle fondamenta di tanto in tanto. Per fare qualcosa del genere devi essere in grado di rendere i personaggi più realistici e il più interessanti possibile. L'obiettivo è far innamorare di loro i lettori, così che poi sarà davvero straziante quando li toglierai di mezzo.
Credo che il cambiamento sia qualcosa che non si possa evitare in ogni buona storia: la crescita dei personaggi è essenziale per rendere la narrazione degna di interesse. Una casalinga che diventa una guerriera o un insegnante che si trasforma in un mostro sono cose divertenti da scrivere, e quindi anche da leggere. Sennò... sai che noia?!
Outcast è una storia molto realistica, estremamente più probabile di The Walking Dead. Il mio approccio alle due serie è profondamente differente. Per Outcast ho scelto uno storytelling più decompresso, che molti definirebbero lento - e forse hanno ragione - ma non credo che una storia lenta sia necessariamente brutta, anche perché Outcast si concentra maggiormente sull'atmosfera e sulle emozioni dei personaggi in funzione delle cose che accadono loro, quindi certi tempi più cadenzati sono assolutamente fisiologici e necessari.
A Kirkman è stato poi domandato perché, secondo lui, un horror come The Walking Dead sia divenuto un successo pop su scala globale.
Si tende sempre a considerare l'horror come qualcosa di semplice, facilmente definibile, ma non capisco il perché. Credo che i temi trattati nelle storie horror siano abbastanza universali, e per decenni abbiamo visto grandi successi che lo hanno dimostrato. Che si tratti di The Walking Dead o di qualsiasi cosa scritta da Stephen King - basti pensare a It - la gente dovrebbe finalmente accettare che l'horror sia per tutti.
Lo scrittore ha poi presentato il suo più recente progetto a fumetti: Oblivion Song, nuova serie Skybound disegnata dall'artista italiano Lorenzo De Felici.
Con Oblivion Song mi piace pensare di star dando vita a un nuovo genere narrativo, che potrebbe essere definito "verso l'apocalisse". La trama vede trecentomila abitanti di Philadelphia catapultati improvvisamente in un'altra dimensione, chiamata appunto Oblivion. Lì, i personaggi si trovano in una nuova realtà popolata da mostri e ogni genere di creature - fondamentalmente tutti alieni - e caratterizzata da atmosfere apocalittiche. Nel frattempo, sulla Terra, al posto dei trecentomila scomparsi, compare una porzione di Oblivion, ma ogni minaccia viene facilmente sconfitta e tutto torna rapidamente alla norma.
Uno scienziato di nome Nathan Cole inventa una tecnologia che gli consente di viaggiare da una dimensione all'altra e forma una squadra d'assalto che possa salvare i trecentomila scomparsi riportandoli a casa. Nel corso di un decennio, il team inizia a trovare sempre meno persone su Oblivion, tanto che il governo americano decide di interrompere i finanziamenti necessari per le missioni di salvataggio. Nel numero #1 troviamo Nathan, senza alcun supporto, che da solo si reca su Oblivion per cercare persone da salvare. La storia parla di un uomo guidato dalla sua coscienza, deciso a portare avanti da solo una causa per la quale tutti gli altri hanno perso interesse. E ci sono davvero un sacco di mostri da paura!
Il discorso si è poi spostato sui contenuti violenti della storia e sui potenziali limiti nella sua rappresentazione.
Credo che il solo limite sia quello del buon gusto, e a volte viene oltrepassato. La violenza può essere un aspetto molto importante in una storia, ma se questa è funzionale alla narrazione va bene. Se invece è gratuita, diventa qualcosa di inutile e fastidioso.
Credo che il picco di violenza maggiore in The Walking Dead si sia presentato quando Negan uccide Glenn (o Abraham, nella serie TV): quel momento è stato davvero essenziale nella storia, in quanto dei personaggi amati venivano fatti fuori da un cattivo appena comparso, che si sarebbe rivelato solo in seguito importantissimo. Tutto ciò serviva a demolire emotivamente i protagonisti, a distruggere l'equilibrio che avevano faticosamente raggiunto: se avessimo protetto il pubblico da quel tipo di violenza, non avremmo ottenuto il risultato sperato. Volevamo che tutti voi foste scioccati e disgustati da quell'evento, sconvolti dall'introduzione del nuovo, grande avversario. Era impossibile farlo diversamente.
Abbiamo poi chiesto a Kirkman di tornare con la memoria al 2006, quando lavorò alla serie Marvel intitolata L'Incorreggibile Ant-Man.
È stato un fumetto divertentissimo sul quale lavorare, e l'aspetto più figo era poter raccontare una storia il cui protagonista dovesse risultare detestabile agli occhi dei lettori.
Nelle storie di finzione c'é sempre la tendenza a creare personaggi che siano affascinanti e in grado di riscuotere consensi. La prima cosa che le case editrici e gli editor ti chiedono è: "Questo personaggio piacerà al pubblico?" Personalmente credo che se un personaggio è interessante, non importa che piaccia o meno: la storia funzionerà comunque! Sono tuttora molto sorpreso che la Marvel mi abbia permesso di scrivere un fumetto il cui protagonista fosse così terribile.