Lucca 2017, BAO - Berlino 2.0: intervista ad Alberto Madrigal
A Lucca Comics & Games 2017 abbiamo intervistato per voi Alberto Madrigal, disegnatore di Berlino 2.0
Ringraziamo sentitamente lo staff di BAO Publishing per la collaborazione.
Ciao, Alberto, bentornato su BadComics.it!
Ciao, che piacere ritrovarci!Partiamo da "Berlino 2.0", graphic novel scritta da Mathilde Ramadier e da te disegnata. Com'è nata questa collaborazione con la giovane scrittrice francese?
Il rapporto lavorativo tra me e Mathilde è nato in maniera piuttosto buffa: un po' di anni fa, mi ha scritto dopo aver visto i miei lavori su un social per artisti molto utilizzato a Berlino chiedendomi come funzionasse il processo editoriale di un fumetto, dato che ne stava realizzando uno con una sua amica. Era evidentemente una domanda molto generica da parte di una giovane autrice che si stava affacciando proprio in quel momento su questo mondo. Provai a rispondere nella maniera migliore possibile, parlando delle mie esperienze pregresse. Quattro mesi dopo, mi riscrisse dicendomi che, assieme alla sua amica, aveva trovato un grosso editore francese che avrebbe pubblicato la sua prima opera. Davvero niente male! Mathilde è una scrittrice promettente, e molto brava a proporsi, tanto che oggi ha già diverse pubblicazioni all'attivo. Poco tempo dopo, decidemmo di provare a fare un fumetto assieme: "Berlino 2.0".Non nascondo di avere un po' di timore sulla ricezione che i lettori italiani potranno avere della graphic novel: chi mi conosce, è abituato a un particolare tipo di storia. Questo racconto, da un certo punto di vista, è l'opposto dei miei lavori precedenti come autore completo. Le mie storie sono molto "ingenue", con protagonisti che spesso arrivano in un posto nuovo o danno inizio a una nuova fase della loro vita cercando di vedere il lato positivo delle cose, il cosiddetto bicchiere mezzo pieno. Perché il mio approccio alla vita è questo.
Mathilde, invece, è arrivata a Berlino con determinate idee, che si sono rivelate sostanzialmente illusioni, scoprendo un "lato oscuro" di una città spesso anche troppo "pompata" dai media. Berlino non è un paradiso, e il libro esplora questo aspetto.
Tu sei spagnolo, Mathilde francese, ed entrambi vi siete trovati a vivere e lavorare nella capitale tedesca, il che è divenuto il soggetto principale della vostra graphic novel. Quali sono i punti di forza di Berlino? E quali i difetti?
Dipende molto dal punto di vista soggettivo di ogni persona. Io sono arrivato a Berlino dieci anni fa, e devo ammettere che da allora la città è cambiata molto, e non necessariamente in bene. Personalmente, sono molto legato all'idea della città di un decennio fa: per farti un esempio pragmatico, ho un contratto di affitto che risale ad allora, e pago relativamente poco rispetto a chi arriva oggi a Berlino in cerca di una casa. Ora è molto più difficile trovare qualcosa in affitto, e i prezzi sono sostanzialmente raddoppiati. La città si è progressivamente saturata, e oggi c'é chi ha imparato a speculare su questi fattori. Tutti questi aspetti, io li vivo meno rispetto a una persona che arriva adesso, e quindi ho una visione un po' falsata.
Diciamo che il modello che ci hanno spacciato per anni come perfetto, in realtà si sta rivelando falso. Mathilde lo ha vissuto in prima persona, sperimentando situazioni lavorative con ditte locali davvero traumatiche.
Quando lei mi ha proposto questa storia, le tematiche mi sembravano assurde. Ma attraverso il confronto con Mathilde e con altri amici arrivati a Berlino dopo di me, ho scoperto quanta verità ci fosse. Nonostante ciò, Berlino offre comunque tanta libertà creativa e sociale, sebbene spesso questa non ti dia da mangiare.
Tu e Mathilde vi siete conosciuti sui social. Sulle copertina di "Berlino 2.0" si possono notare tutti i personaggi intenti a usare uno smartphone. Qual è il tuo rapporto coi social?
Utilizzo moltissimo i social per lavoro. E qualcosa di necessario per chi ha scelto un tipo di carriera come la mia. Certo, ho provato a utilizzarli anche in maniera più personale, ma con il tempo ho imparato a filtrare molto i contenuti privati. Tutto sta nel saper ottimizzarne l'utilizzo, anche per risparmiare tempo che potresti impegnare in modi più proficui: è molto facile perdersi, sui social. Ed è qualcosa che un freelance non può permettersi, se vuole sopravvivere.
A proposito di vita privata, la grande novità è tra le uscite di "Va tutto bene" e "Berlino 2.0" sei diventato papà. Come è cambiata la tua vita, specie lavorativa, con la paternità?
Premesso che ho notato che non mi piace disegnare bambini - infatti nei miei lavori non ci sono mai - devo ammettere che da quando sono diventato padre ho iniziato a fare ritratti a mio figlio, cimentandomi per la prima volta con questo tipo di soggetti.
La mia vita, ovviamente, è cambiata molto: non posso nascondere che mi pesa - come peserebbe a chiunque - avere meno tempo per lavorare e sentirmi spesso molto stanco, ma è anche vero che la paternità tira fuori risorse che prima non si penserebbe mai di possedere, per quanto questa affermazione sembri un cliché. Ho imparato a ottimizzare il mio lavoro in funzione del tempo a disposizione, e credo che questo sia un valore aggiunto che a lungo termine mi tornerà molto utile.
Quando diventi genitore devi imparare a fare tutto al meglio nella maniera più rapida possibile. Prima di questo grosso cambiamento, per esempio, rimuginavo troppo prima di mettermi al lavoro, cambiando continuamente idea e facendomi assalire da ansie inutili: adesso, non ho tempo per farmi seghe mentali, lavoro e basta. L'efficienza è quindi il risultato migliore che ho conseguito in questo periodo.
Abbiamo parlato del presente, chiudiamo guardano al futuro. A cosa stai lavorando? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Da circa un anno, sto scrivendo un libro che avrà un'impostazione diversa rispetto ai precedenti. Se guardo al passato, ho sempre scritto per un personalissimo bisogno di riflettere su tematiche che mi coinvolgevano direttamente, con una narrazione lenta e, se vogliamo, intimista. L'aspetto negativo di tutto ciò è che in un centinaio di pagine non è che si riesca a raccontare molto: la storia diventa una specie di aneddoto.
Da molto tempo ho il desiderio di realizzare un fumetto che lasci sensazioni simili a quelle di un bel romanzo, una volta concluso. Vorrei quindi scrivere una vera storia, con più protagonisti, che possano essere raccontati in maniera tale che il lettore, alla fine, sembri conoscerli come fossero persone reali.
Al momento, quindi, ho in mente una storia dove è molto importante la fase scrittoria. Alla parte grafica ci penserò poi. A volte mi sembra di non sapere dove sto andando: per la prima volta, sto inventando tutto, e non c'é un evento autobiografico alla base come per i lavori precedenti. Quindi, richiede tutto molto più tempo e attenzione, anche i dettagli più minimi.
Paradossalmente, non ho un finale, sto provando a sviluppare il soggetto progressivamente, lasciandomi trasportare dall'ispirazione. Certo, è quello che chiunque ti sconsiglierebbe di fare, ma credo che sia la strada giusta per me.
Inoltre, ho creato un mio blog personale - per colpa di quel maledetto di Zerocalcare - che però ho scoperto essere uno spazio che mi piace tantissimo, in cui mettere tanto di me e divertirmi senza troppi pensieri. Magari un giorno proverò a raccogliere anch'io tutti i contenuti del blog in un libro, o almeno è questo che mi racconto per sentirmi meno in colpa!