La terra, il cielo, i corvi: Radice e Turconi ci raccontano i paesaggi e i silenzi del loro nuovo fumetto
Abbiamo parlato con Teresa Radice e Stefano Turconi del loro nuovo fumetto La terra, il cielo, i corvi, pubblicato da BAO Publishing
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Teresa Radice - Non è mai facile raccontare da dove nascono i libri. Sicuramente ci sono degli elementi legati a noi e alle nostre famiglie, in particolare alla mia: mio nonno materno aveva un fratello disperso in Russia, quindi ho visto le lettere che lui ha spedito da lassù, prima che sparisse ogni sua traccia. Già anni fa mi avevano fatto molta impressione, erano scritte su entrambi i lati di questa carta velina sottilissima, con questa scrittura che era il corsivo di una volta, tutto molto arzigogolato. Dovevano essere approvate dalla censura, quindi avevano grosse righe nere che essendo la carta molto sottile passavano dietro, erano quasi del tutto illeggibili, si riuscivano a capire soltanto delle parole qua e là.
Noi pensiamo sempre ai soldati come a degli uomini grandi, grossi e coscienti di quello che stanno facendo, perché ci vengono in mente i nostri nonni, ma in realtà avevano 20 anni. La figura di questo ragazzo di cui non si è più saputo nulla mi aveva sempre colpito, anche perché aveva lasciato delle testimonianze tangibili; una cosa è sentirsi raccontare qualcosa, un'altra è toccare degli oggetti che appartenevano a quella persona, che sono passati attraverso le sue mani.Questi spunti li metti in un cassetto e poi le storie decantano; ricordo che la scintilla per riprenderli è stata il 25 aprile di tre anni fa. Però da allora la trama è cambiata tanto, inizialmente raccontava di tre persone diversissime costrette a passare del tempo assieme, come accade spesso nei nostri libri. Era una storia di diversità che si incontrano per un tempo limitato, così da dover condividere determinate situazioni, emozioni, sensazioni e non c'era tutta la parte sul passato di Attilio e su cosa lui si porta dietro.
Stefano Turconi - È una vita che aspettavo di usare questo stile di disegno, l'ho copiato pesantemente da Rien Poortvliet, l'autore dei libri degli gnomi, negli anni '70-80 andavano tantissimo. Era un disegnatore olandese, bravissimo a disegnare le albe e i tramonti; era un cacciatore, perciò andava nei boschi al mattino presto e vedeva sorgere il sole. A volte andava con il fucile a prendere i fagiani, a volte andava a dipingere. Mio zio mi regalò il suo primo libro quando avevo 7-8 anni, mi colpì molto e il sogno della mia vita per me era fare qualcosa di simile, lo ritengo uno dei più grandi illustratori del '900. Quando abbiamo incominciato a parlare di questo libro, focalizzando l'ambientazione in Russia durante l'inverno, ho pensato che quelle atmosfere erano perfette. Nella parte della Russia in cui abbiamo ambientato il libro l'inverno è buio per la maggior parte della giornata, perché è molto a nord e quando c'è la luce è sempre un po' malata, tipo alba o tramonto, perché il sole non va molto in alto. Era la mia occasione, mi sono detto: ora o mai più!
Negli anni ho comprato tutti i suoi libri che ho trovato, l'anno scorso in estate siamo stati in vacanza in Olanda e siamo andati in pellegrinaggio al suo museo, dove sono esposti molti suoi lavori; io ero felicissimo, attaccato alle tavole per studiarle. Mi piaceva anche l'idea degli acquerelli, di solito disegno a mano e poi coloro a computer, ma in questo caso è tutto fatto a mano.
Questo libro è stato realizzato durante il lockdown, io ho la mia scatoletta di acquerelli Winsor & Newton, ma ne ho usati tantissimi, perciò a un certo punto hanno iniziato a finire; soprattutto il nero, perché ci sono tanti grigi e colori scuri, perciò è quello che va di più. Panico! Non si poteva uscire, il mio colorificio è lontanissimo da casa nostra, dovevo fare un'ora di macchina... per fortuna avevo in casa dei vecchi acquerelli russi Leningrad, con la data 1982.
Radice - Il caso non esiste!
Turconi - Me li aveva regalati mia zia, che ha studiato il russo e ci ha tradotto anche le frasi del fumetto in quella lingua. Quando ero ragazzino, lei studiava a Leningrado e ogni volta mi portava a casa oggettini, libri, ho dei bellissimi pupazzetti dell'orsetto Misha, la mascotte delle Olimpiadi di Mosca del 1980, sono dei pezzi storici bellissimi. Ho anche delle spille d'epoca che sfoggerò alle presentazioni dal vivo! Tra le altre cose mi aveva regalato questi acquerelli che si sono rivelati utilissimi, ho cominciato a usarli, ci sono dei marroni stupendi. Ora riesco addirittura a distinguere dove ho utilizzato le diverse marche di marrone.
Radice - Il titolo del fumetto è preso da Ritorno sul Don, un libro di Rigoni Stern, che alla fine abbiamo anche messo anche nei ringraziamenti. L'idea di questa storia è un ritorno, di Attilio a quello che ritrova dentro di sé, degli altri in luoghi dove non pensavano sarebbero arrivati... ci sono tanti ritorni. Rigoni Stern era tornato sul posto dove aveva perso i suoi compagni, per ricercarli. Quando lui si aggira per questi luoghi e non riesce a trovarli, fa fatica, è frustrato perché vorrebbe salutarli in qualche modo ma non ce la fa; c'è un momento in cui scrive che intorno a lui non c'era nulla, solo terra arata, cielo e corvi. Ci piaceva l'idea di prendere una frase da un suo libro e trasformarla in un titolo. Per me la terra, il cielo e i corvi sono anche i tre protagonisti, in quelle tre cose ho identificato rispettivamente Attilio, Fucks e Vanja. Poi ognuno magari la vede a modo suo.
Da subito avevamo deciso di fare questo fumetto senza tradurre le altre lingue, proprio con un atteggiamento da testa dura: se lo facciamo, lo facciamo bene, con il russo giusto e il tedesco giusto che non si capiscono, così ci manderanno tutti al diavolo. In realtà è perché volevamo che tutti diventassero Attilio. Io conosco il tedesco per cui l'ho scritto io, ma me lo sono fatto correggere da una persona che vive in Germania. Quindi ora quando lo rileggo, le parti in tedesco le capisco, ma il russo non ricordo minimamente cosa voglia dire, quindi anche se ho scritto io il libro ora ho la sensazione di straniamento che prova Attilio nei confronti di Vanja. Secondo me era importante che uno si sentisse come lui, che lui fosse l'unico tramite attraverso il quale viviamo questa storia. Sono tre i protagonisti ma lui è la nostra chiave di lettura e lui non capisce le altre lingue. È con la recitazione di questi personaggi, gli sguardi, i sorrisi, le arrabbiature, i gesti che dobbiamo capire cosa succede.
Quando abbiamo detto all'editore che li avremmo voluti far parlare in lingua originale abbiamo detto "Ma quando parla Chewbacca lo capiamo o no?", Han Solo gli risponde e allora comprendiamo il dialogo. Inoltre ero molto convinta e testarda sul fatto di voler fare i flashback tutti muti, è stata una sfida con me stessa perché di solito uso sempre un sacco di parole, volevo vedere se riuscivo a raccontare in silenzio. Questo però è un libro in cui la lingua non è importante, ci sono altri elementi centrali: la loro umanità, le maschere che indossano, le fragilità dell'essere umano... e questi aspetti sono universali.
Turconi - A complicare ulteriormente le cose, Attilio nei flashback usa delle parole in dialetto lombardo, perciò diamo delle difficoltà in più.
Radice - Non abbiamo ragionato molto sull'utilizzo massiccio delle didascalie, siamo degli incoscienti. Io ragiono sulle emozioni dei personaggi, ma poi non mi soffermo troppo dal punto di vista tecnico sulla quantità di parole. Per il resto è stato istintivo, abbiamo solo Attilio per capire cosa stia succedendo; mi interessava principalmente seguire la sua storia, che non è quella dei sette giorni vissuti con Fucks e Vanja, ma quella della sua vita fin da quando era bambino. Quello che lui è in quei sette giorni è il risultato di quanto ha vissuto nei ventiquattro anni precedenti. Però viene a patti con tutto questo solo in quei sette giorni, è come se non avesse vissuto veramente quei ventiquattro anni e se li trovasse sulle spalle tutti in una volta.
Lui ha ventiquattro anni, ma i ventiquattro anni del 1943 non sono quelli di oggi, forse erano quasi i quaranta di adesso; all'epoca era considerato adulto, oggi sei un bambino. È il passaggio tra quando ti senti post-adolescente e vuoi spaccare il mondo, tutto quello che hai ricevuto ti fa schifo perché la tua vita te la devi scrivere da solo, e quando poi ti accorgi che le cose a cui non avevi dato valore sono quelle che adesso ti danno la forza di camminare.
Turconi - Lei mi dava le didascalie e io ci montavo intorno i disegni. Erano dei momenti quasi di divagazione dall'immagine, non avendo indicazioni precise andavo quasi a istinto; cercavo comunque qualcosa di legato al testo, che tenesse conto della didascalia, ma ci sono molti momenti in cui non si vedono loro tre, magari ho inserito il gufo a caccia, un animale che cammina nel bosco. È un modo per descrivere l'ambiente circostante, mi piace tantissimo, in un film sarebbe un'inquadratura sul rametto mosso dal vento, un fruscio tra i cespugli... ti consente di calarti maggiormente nel paesaggio.
Radice - La natura è quasi un quarto protagonista, è importante sia nel momento che stanno vivendo ma anche nei flashback di Attilio.
Turconi - A un certo punto compare anche un lupo, ma non è minaccioso; siamo nella Seconda Guerra Mondiale, è l'uomo l'animale di cui aver paura.
Radice - Questo viene da Lev Tolstoj, che io adoro, non ci siamo inventati nulla. Lui invece era appassionato di Mario Rigoni Stern. Volevamo fare un fumetto che avesse questi autori come riferimento, raccontando cose terribili con lo sguardo di un bambino, attraverso la semplicità e la ricerca dell'incanto.
L'idea iniziale era di tre persone che indossano una maschera, anche se noi non lo sappiamo. Sono i sette giorni che passano insieme a togliere questa maschera, ai nostri occhi di lettore ma anche tra di loro, cominciano a conoscersi un po' alla volta. Vanja doveva essere l'innocente portato via dal suo ruolo, Fucks il tedesco cattivo come li vediamo rappresentati sempre nei film, mentre Attilio il soldato italiano romanticone e sciupafemmine. Siamo alla fine di marzo, in queste settimane c'è un cambio di stagione; mentre si sciolgono le loro maschere si scioglie anche l'ambiente attorno. All'inizio tutti e tre i protagonisti sono di ghiaccio, nessuno è quello che vuol far vedere agli altri. È solo una settimana, ma loro viaggiano verso sud, quindi la neve scompare mentre loro cambiano l'idea che hanno l'uno dell'altro e lo stesso avviene a noi lettori. Chi sono questi personaggi? È tutto in dubbio. È nella natura umana avere contraddizioni, ci sono persone che sono vicinissime a noi ma hanno comunque dei segreti.
Attilio è arrabbiato con tutto: con il mondo che lo ha messo in un posto dove non voleva stare in quel momento, con quello che lui avrebbe voluto fare anche se non sa bene cosa sia, ma sa benissimo cosa non avrebbe voluto fare. Ogni cosa che gli viene imposta lui non l'accetta, ribalta il tavolo; parte arrabbiato e questo mi fa venire in mente altri nostri personaggi come Maite in Non stancarti di andare o Nathan ne Il porto proibito. Secondo me spesso le storie nascono da un'incazzatura, una cosa così com'è non mi sta bene per niente e allora mi invento un finale alternativo.
Anche lo spunto di questa storia nasce dal desiderio di creare un finale alternativo. Ci sono queste lettere di una persona che nessuno conosce, era il fratello di mio nonno. Che fine hanno fatto i dispersi in guerra? Non c'è un corpo, perciò possiamo inventarci mille finali alternativi. Il lettore capisce che c'è stata una lunga documentazione, ma poi non sa cosa sia vero e cosa no. Per me le storie non sono mai di finzione, sono una medicina in grado di cambiare i colori che non mi piacciono in una storia che è successa. Se non racconti di qualcosa che senti, forse le storie sono meno forti.
Gli altri due personaggi hanno un programma, una meta, Attilio no, sta solo scappando e vive alla giornata. Lui è tutta la vita che fugge, ma in realtà sta fuggendo da ciò di cui ha bisogno; lo troverà da un'altra parte, spesso succede lo stesso anche a noi nelle nostre vite.
Turconi - Entrare in questo mondo è stato laborioso, perché richiede documentazione, però è un momento storico che mi piace quindi in un certo senso è stato più facile, perché essendo un appassionato di storia ci sguazzo. Sarei in difficoltà se dovessi fare un fumetto di fantascienza o un fantasy, andrei in crisi. È brutto da dire, ma la guerra è anche affascinante.
Radice - De Gregori: "La guerra è bella anche se fa male."
Turconi - Io sono obiettore di coscienza, non ho fatto il militare, però anche se uno è pacifista comunque deve mettere in conto che i racconti di guerra sono affascinanti.
Radice - Siamo innamorati folli del lago di Como e dei monti circostanti, lo frequentiamo abitualmente, ci andiamo tutti gli anni anche con i nostri bambini. In realtà abbiamo fatto un mix: Attilio è originario di un paesino ben preciso, ma abbiamo mescolato tanti luoghi che piacciono a noi, lo vediamo andare a piedi da un posto a un altro che nella realtà sono molto distanti, sarebbe geograficamente inverosimile.
Sono posti che conosciamo e quando devi ambientare una storia fare una scelta simile rende tutto più semplice. È lo stesso motivo per cui la vicenda parte da un certo luogo della Russia, un luogo reale dove noi siamo stati: il carcere da cui fuggono Attilio e Fucks è un antico monastero che ai tempi dell'Unione Sovietica è stato trasformato in gulag, durante la guerra era un luogo militare.
C'è sempre la componente dell'incanto. Anche Plymouth, ci siamo stati perché avevamo deciso di ambientarci Il porto proibito ma poi ce ne siamo innamorati, se no non l'avremmo inserita. Si vive una volta sola: usa le cose che ti piacciono. Non potrei raccontare una storia che si svolge in un luogo che non mi piace, mi costringerebbe a starci anche solo mentalmente per due o tre anni.