"La nostra incolumità sanitaria era secondaria": Francesco Zippel e le sue mille collaborazioni, da Friedkin a Wes Anderson

Nel nuovo appuntamento con Casa Alò il regista Francesco Zippel ci parla delle sue mille collaborazioni, da Friedkin a Wes Anderson

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Ospite della settimana per “Casa Alò” è Francesco Zippel, documentarista che Francesco Alò descrive esteticamente come “una crasi perfetta tra Matt Damon e Leonardo di Caprio”.

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E forse i due attori sono tra i pochi con cui Zippel non si è trovato a lavorare, avendo ripreso decine di persone dello spettacolo tra le più celebri. Nel 2017 lavora fianco a fianco con William Friedkin e da qui nascerà poi il suo secondo documentario: Friedkin Uncut (2018).

I progetti nascono a volte in maniera casuale. Avevo avuto la fortuna di conoscerlo (Friedkin ndr) a Roma quando è venuto a parlare con Dario Argento. Ci eravamo scambiati i contatti. Dopo qualche tempo, mi aveva chiamato per dirmi che voleva venire in Italia per soddisfare la curiosità di conoscere Padre Amorth. Mi sono trovato a lavorare come producer del suo documentario. Ma la cosa più bella è stata quando a fine riprese mi chiese di andare in America per montarlo insieme. (…) A un certo punto gli ho chiesto, in maniera del tutto casuale: ma nessuno ha mai fatto un documentario su di te?

Sempre un incontro fortuito è quello che lo porta a lavorare con Wes Anderson.

Avevo conosciuto, quando era venuto a Roma, Wes Anderson ed eravamo rimasti in contatto. A un certo punto mi scrisse, in uno dei momenti di maggiore stallo della mia vita, e mi disse che voleva fare un omaggio a Fellini, nello specifico ad Amarcord. Però l’aiuto regista che si sta occupando delle comparse non riesce a trovare delle facce felliniane. Quindi ho fatto appello ai personaggi più curiosi che conoscessi e abbiamo messo su il cast. (…) Finisce questo omaggio a Fellini e dico: vabbé Wes, se hai bisogno di me ci sono. E lui ha detto: “Che fai la settimana prossima? Ti va di andare in Repubblica Ceca?” E quindi mi sono trovato in Repubblica Ceca a fare location scouting e a raccogliere tutti gli elementi visivi per Gran Budapest Hotel. Mi ricordo scene tipo: “Allora, devi andare nel solaio di quella chiesa da cui hai una perfetta visione di quell’albergo di modo che tu mi possa fare una foto perfettamente simmetrica.” Il solaio era un tappeto di cacche di piccione di ogni tipo dove con un’altra persona ci siamo piantati, non ti dico come siamo usciti. La nostra incolumità sanitaria era secondaria.

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