Da Jurassic World a Star Wars: Episodio IX, Colin Trevorrow ci parla del cinema del futuro
Abbiamo intervistato a Capalbio il regista Colin Trevorrow, che ci ha parlato di Jurassic World, The Book of Henry e Star Wars IX
Trevorrow era lì per guidare un workshop riservato a giovani registi e per tenere un panel centrato sul futuro del cinema. E proprio questo forse è l’argomento per il quale è più indicato uno come lui, uno che ha alle spalle due film: uno piccolissimo, indipendente come solo gli indipendenti americani sanno essere (Safety Not Guaranteed), e uno grandissimo, come solo i grandi film di Hollywood sanno essere (Jurassic World).
La scena del cinema indipendente americano degli anni ‘90 (quella di Tarantino, Paul Thomas Anderson e gli altri) era una cosa, quella dell’inizio degli anni 2000 (quella di Little Miss Sunshine e dell’istituzionalizzazione della formula del cinema indie) un’altra, oggi forse è ancora diversa. I blockbuster invece sono semplicemente diventati sempre più giganteschi. Cosa sta succedendo all’industria del film americano?
Stai parlando di World of Warcraft?
CT: Non voglio fare esempi specifici, ad ogni modo non è solo uno, sono molti ad andare bene fuori e non in patria. Questo porta a chiedersi cosa voglia il pubblico americano, domanda per la quale ognuno ha una sua risposta, che non è detto sia quella giusta.
Qual è la tua di risposta?
CT: Io dico che vogliono qualcosa di nuovo e originale. Del resto molto spesso il nuovo funziona. Certo poi accade che uno studio spenda molto in un progetto originale e questo vada male, cosa che non aiuta la causa…
...disse il regista del sequel di Jurassic Park e di un nuovo Guerre Stellari.
CT: Ahahahaha! Ho un mio modo di combattere questa guerra. Conto sul fatto che il pubblico americano è esperto di storie, conosce bene la struttura dei film e molto spesso sente di sapere dove una trama stia andando. Questo avviene perché gli intrecci, anche quando originali, tendono ad essere troppo prevedibili, poiché i film vengono scritti in maniere troppo simili, quantomeno con strutture troppo simili. Se ci pensi bene una parte di quel che fa funzionare un film come I Predatori dell’Arca Perduta è il fatto che non sai cosa accadrà, dove quell’avventura stia andando. Ecco se possiamo fare in modo che, arrivati alla seconda metà del film, le persone pensino che non avrebbero mai detto che si sarebbero trovate in quel punto della trama, allora li possiamo eccitare.
Come conti di fare?
CT: La mia idea è di provare a cambiare le regole, per esempio mutando genere in mezzo al film. L’ho sperimentato un po’ in Safety Not Guaranteed e ancora di più ora nel mio ultimo film [indipendente, ndr] The Book of Henry. Non so se è una risposta ma possiamo provare, e se il pubblico risponde bene allora anche altri dopo di me potranno spostare un po’ più avanti il confine di cosa può essere forzato.
Questo pensi possa essere fatto anche nei blockbuster come Guerre Stellari?
CT: Potrebbe. Sai i film indipendenti sono come la moda di Milano, tutto inizia lì e poi si sposta lentamente a mano a mano che gli altri vengono contagiati. Gli indipendenti stabiliscono le tendenze. Dopo Safety Not Guaranteed ho scoperto che molti produttori usavano quella storia come termine di paragone per le loro produzioni. Quindi se possiamo fare qualcosa di simile, se possiamo cioè dimostrare che il pubblico risponde bene a un film che parte come un dramma e poi diventa, non so, un film di fantascienza, allora possiamo cambiare le cose. Safety Not Guaranteed faceva proprio questo percorso mentre The Book of Henry inizia come un dramma familiare per poi diventare un film di suspense.
Questo poi si deve scontrare con l’esigenza degli studios di fare film per il pianeta e non più solo per il proprio paese. Quando scrivevate e poi quando giravate Jurassic World questa del pubblico mondiale era effettivamente una preoccupazione? Ci pensavate?
CT: Sì, non solo, io credo proprio che una delle ragioni per le quali il film è andato bene come è andato sia proprio perché io stavo sempre lì a chiedermi come potevamo essere sicuri di affrontare temi ed idee universali, validi per tutti in tutto mondo e non solo per gli americani, come potevamo avere un cast che rappresentasse persone da tutto il mondo, a partire da Omary Sy fino ad Irrfan Khan.
Sì ma casting a parte, nella pratica, cosa avete fatto per renderlo universale?
CT: Jurassic World aveva a che fare con l’avidità e come questa porti la gente a ignorare i diritti di uomini e animali per il profitto. Vedi immagini spettacolari, come quelle di questi animali in gabbia, trattati male, che poi diventano matti e iniziano a mangiare tutti quanti. Io credo che molte persone si siano sentite vicine a simili idee, perché come uomini ci sentiamo spesso così e spesso vediamo animali trattati male.
Ho scoperto che specialmente in Cina la relazione che si stabilisce tra Chris Pratt e i velociraptor è stata un successo. Il legame tra un uomo e gli animali, quel livello di comunicazione non verbale, è entrato in connessione profondamente con quel pubblico.
Una buona parte dei più cinici sostiene che fare film per tutto il mondo vuol dire fare film più superficiali, meno sofisticati…
CT: Io non credo che semplice voglia voler dire stupido ma idee che possono essere capite da bambini e adulti, idee semplici e pulite. Al ristorante puoi mangiare ricette complesse o solo una carota, semplice eppure magari la migliore della tua vita. Per questo io voglio ridurre tutto a idee semplici e pulite, ma non stupide.
È molto cinico dire che gli stranieri vogliono solo vedere esplosioni, non sono d’accordo e se penso che per il mio film è stato il rapporto tra l’uomo e l’animale a fare la differenza, per una produzione altrettanto grossa come Fast & Furious non credo fossero le macchinone a fare la differenza ma quanto insistano sul concetto di famiglia e amicizia, oltre ovviamente ad avere attori di tutte le etnie, così che ognuno possa guardare qualcuno e relazionarsi a lui. Per me quello è un film davvero internazionale. Credo che il successo di quella serie di film sia più importante di quel che pensiamo.
Considera anche che i film sono tradotti, non ovunque ci sono sottotitoli, spesso i film sono doppiati e le parole che abbiamo scritto noi devono diventare tutt’altro per adattarsi. Penso però che se lo accetti e fai in modo che i tuoi dialoghi portino con sè idee che possono essere tradotte in tutte le lingue, allora il film può essere un successo. È il motivo per il quale le commedie americane non viaggiano molto, perché sono troppo legate al testo.
Tutto questo discorso sui successi globali lo applicherete anche a Guerre Stellari?
CT: Sai in realtà Guerre Stellari è stato sempre pensato per tutti, per questo è un successo così grosso, ha dentro di sè archetipi mondiali. In ogni paese c’è qualcuno in una fattoria, tutto solo, che pensa che non sarà ma lui ad essere la persona che farà la differenza nel mondo e guarda le stelle sognando che un giorno accada. Così anche Rey: è una ragazza senza famiglia che rovista nei rifiuti in un pianeta deserto, eppure realizza che può essere una giovane a riparare agli errori della generazione precedente. Nel 1977 i più giovani realizzarono che la generazione prima della loro aveva rovinato tutto ma che loro potevano rimettere le cose a posto, era quello che succedeva nel mondo ed è quello che sta succedendo anche ora.
Per questo Il Risveglio della Forza è così simile a Una Nuova Speranza?
CT: Non voglio commentare il lavoro di un altro regista, non voglio fare un’analisi su quel film ma di certo Il Risveglio della Forza ha reintrodotto una certa idea a una nuova generazione: la speranza. Se fai un passo indietro e guardi il film nel suo complesso capisci che quello di cui hanno bisogno tutti è: speranza in un momento di oppressione.
In questo momento storico l’idea di come possiamo avere successo nonostante tutto, di come possa la luce distruggere l’oscurità, è veicolata da un film come Il Risveglio della Forza.
Diresti che questo dei giovani che cercano di aggiustare gli errori dei vecchi è il tema della nuova trilogia?
CT: Non posso parlare per il film di Rian Johnson [cioè il prossimo che uscirà: Episodio VIII ndr], io conosco solo il mio e ti posso dire che il tema e l’obiettivo della trilogia si rivelerà con il tempo. Io come molti dopo aver visto il film di J.J. Abrams avevo in testa quest’idea semplice ma non stupida, che in un mondo di oscurità, di sfide e grandi avversità sia possibile per noi correggere gli errori del passato con la speranza.
Come state messi?
CT: Stiamo chiudendo la sceneggiatura e io mi sto per spostare con tutta la mia famiglia in Inghilterra per le riprese.
E dopo? Esiste una vita dopo Guerre Stellari?
CT: Credo che dopo aver fatto questo film mi farò crescere una barba lunga e diventerò un vagabondo eremita in giro per il mondo. Dopo Guerre Stellari non puoi che fare un film minore, sarà più piccolo per definizione. Vorrei lavorare su progetti personali e spero che la gente sia interessata a quel che ho da dire come persona. E sennò me ne andrò a fare il cuoco!
Pensi che film come questi possano distruggere carriere?
CT: Assolutamente sì, l’abbiamo visto accadere. Un film piccolo non ti fa spendere così tanti soldi e quindi non avrai quel tipo di conseguenze se fallisci. In più quando ci lavori sai che c’è un esercito di fan, siano di Guerre Stellari o di Jurassic Park, che guardano quel che fai e le decisioni che prendi.