The Old Man: Jeff Bridges ci parla di come ci si sente a rivedere la propria vita al cinema e della malattia
Jeff Bridges si racconta per presentare la serie The Old Man, tra ricordi di una lunga carriera, la malattia e la voglia di stupirsi sempre
È un Jeff Bridges in splendida forma quello che appare alla rountable di The Old Man, la nuova serie su Disney Plus. A 72 anni l’attore è esattamente come il suo personaggio Dan Chase: ne ha passate molte, ma ha ancora voglia di sperimentare nuovi progetti ai limiti di quello che gli consente l’età. La serie è una delle sue rare apparizioni sul piccolo schermo, la prima nel ruolo di protagonista, e soprattutto è un ruolo action piuttosto duro. “Cerco sempre di sorprendermi quando scelgo una parte”, ci dice spiegando che cosa l’ha legato a The Old Man “e questa è una storia di cui non sai cosa aspettarti”.
Come stai ora? Come è stato tornare sul set dopo il periodo difficile che hai affrontato?
Le due storie principali di The Old Man parlano delle scelte e della lealtà, e delle conseguenze che queste hanno sulla tua vita. È questo che ti ha colpito di questa storia?
Sì, la parola che mi viene in mente quando penso a The Old Man è “conseguenze”. Quando diventiamo vecchi scopriamo che le scelte che facciamo da giovani hanno delle conseguenze e alcune non hanno portato alla strada giusta. Si cerca di fare ammenda, fai del tuo meglio ma non puoi sapere dove ti porteranno le scelte. Il tutto all’insegna delle sorprese.
Come è stato lavorare con più registi sulla serie TV rispetto alla tua esperienza al cinema?
Pensavo potesse essere un problema, in totale abbiamo avuto quattro registi ed è stato splendido. Ho avuto in passato splendide esperienze con registi agli esordi come Steve Kloves per I favolosi Baker, Scott Cooper per Crazy Heart. Mi è sempre piaciuto il processo collaborativo che sottende la creazione di un film. A volte mi chiedo perché il mondo non può essere così? Lavoriamo tutti insieme per fare qualcosa di bello nonostante i diversi approcci filosofici. Allo stesso modo in The Old Man ho adorato lavorare con ciascun regista.
La tua carriera è così lunga che è come se potessi rivedere tutto il percorso della tua vita guardando indietro. Che effetto ti fa?
Amo tantissimo guardarmi indietro. Anni fa mia moglie mi regalò una macchina fotografica Widelux F8. A partire da quando abbiamo girato Starman ho preso l’abitudine di scattare fotografie dal set e regalarle in piccoli album al cast e alla crew. Ho a casa interi archivi di queste immagini e ogni volta che li riprendo in mano mi ricordano dei momenti bellissimi, le conversazioni avute e le persone incontrate. Lo adoro.
Le scene d'azione nella serie sono straordinarie. E soprattutto riusciamo a vederti quasi sempre in faccia. Come siete riusciti a farle, quanto allenamento ti è stato richiesto?
È merito di Tim Connolly, Henry Kingi e Thomas DuPont, il nostro straordinario team di stunt coordinator. Fare film è praticamente creare un’illusione, un trucco di magia mai fatto prima. Questi ragazzi sono straordinari nel creare questa illusione. Il compito dell' attore è lo stesso di quando quando si deve recitare. Ci sono molti approcci a questo tipo di scene: alcuni registi hanno la filosofia di “buona la prima”. Nessuna prova, andate e fatelo! Ma è piuttosto pericoloso. Invece per noi le prove state essenziali per far credere che l’azione stesse accadendo per la prima volta.
Durante la tua carriera hai avuto spalle attoriali piuttosto singolari, ma credo che i due cani siano i più strani di sempre!
Ci sono due cani in The Old Man ma sul set erano 6. Ognuno era usato per la propria abilità. Qualcuno era bravo ad abbaiare, altri a mordere... Così cercavamo di farli sembrare simili uno all’altro, ma erano diversi. Io amo i cani, ne ho sempre avuti. Ho un Cavapoo (un incrocio tra le razze del Barboncino mini e del Cavalier King Charles Spaniel) chiamato Monthy. Ed era pazzesco lavorare con questi cani addestrati. Dovevamo dare l’impressione che ci conoscessimo da tempo. Perciò abbiamo trascorso molte ore insieme a prepararci prima delle riprese, così che potessimo fingere che io fossi il loro padrone.
Bill Heck interpreta il tuo personaggio, Dan Chase, da giovane. Come vi siete preparati, gli hai dato indicazioni o l’hai lasciato libero?
Ero preoccupato inizialmente, perché spesso nei film quando hai un altro attore che interpreta il tuo personaggio in un periodo di tempo diverso, spesso il risultato stona per il pubblico. Bill invece mi assomiglia molto, e credo che si rapporti alla recitazione come faccio io. È credibile come giovane Chase, per questo non ci siamo preparati particolarmente.
Dan Chase è un eroe? Ci può essere un eroe in una guerra?
È una domanda che potremmo rivolgere a noi stessi: siamo eroi o siamo cattivi? Probabilmente un po’ di entrambe le cose. Chase si pone la stessa domanda ripensando alle sue scelte. I cattivi non si considerano mai tali.