Jan Komasa porta il suo Corpus Christi a Roma: "La religione è sempre politica"
Abbiamo incontrato il regista polacco Jan Komasa a Roma in occasione della proiezione di Corpus Christi all'arena Il cinema in piazza
È il regista polacco più intrigante del momento. Forse è uno dei provocatori più interessanti a livello europeo. Ovviamente sia gli americani che gli inglesi hanno messo gli occhi su di lui. Conobbe Spielberg mentre il regista americano girava Schindler's List (1993), è figlio d'arte (papà attore) e quando un suo film è stato presentato al Tribeca Film Festival è stato premiato in giuria da Danny Boyle e il compianto William Hurt. A soli 40 anni Jan Komasa è già una stella grazie a quattro lungometraggi che l'hanno segnalato nel mondo: Suicide Room (2011), Warsaw 44 (2014), Corpus Christi (2019) e The Hater (2020). Komasa arriva a Roma mercoledì 20 luglio per introdurre Corpus Christi presso l'arena Il Cinema in piazza a Monte Ciocci. Questa è l'occasione che permette a BadTaste.it di intercettarlo e scambiare qualche battuta con lui. Corpus Christi racconta di un ragazzo che si finge prete presso una piccola comunità di campagna polacca. Presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli Autori a Venezia 2019, è arrivato addirittura in cinquina per Miglior Film Internazionale alla 92esima edizione degli Academy Awards.
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Sì è la prima volta. Adoro l'Italia e ci sono stato tante volte. Mia moglie conosce l'italiano e ci veniamo ogni anno in vacanza. Ma questa è effettivamente la prima volta che presento il film a Roma, a due passi da Città del Vaticano.
Avevi scelto l'Italia anche per quanto riguardo la première mondiale a Venezia?
Sì, abbiamo lottato per quella première. Sentivamo che il film doveva essere presentato da voi per la forte relazione tra Polonia e Italia esplosa dalla fine degli anni '70 grazie ovviamente a Giovanni Paolo II e al culto di Maria che ci accomuna molto. Scegliemmo Venezia rispetto a Cannes nonostante la produzione fosse anche francese e quindi fossimo in un certo senso “spinti” più verso la Croisette che non verso la Laguna.
Di cosa parla secondo te Corpus Christi?
Di politica. La religione è sempre politica, soprattutto se in passato è stata animata dal potere temporale. Penso che Corpus Christi racconti che se sei un prete in un piccola città, hai potere. Non sei più neutrale e quindi i tuoi gesti diventano simbolici.
Hai mai saputo, dopo tre anni dalla realizzazione del film e dopo il suo straordinario successo mondiale, qualcosa circa la reazione del Vaticano riguardo il film?
No, dal Vaticano non è filtrato niente. Se c'è una cosa che ho imparato della Chiesa dopo questo film è che sono molto attenti a parlare apertamente e più non sono d'accordo su qualcosa più tendono a non esprimersi. Abbiamo avuto qualche problema durante la realizzazione per l'utilizzo di una chiesa in particolare durante le riprese. Sapevamo che i pezzi grossi della chiesa polacca ci stavano osservando con grande curiosità mentre lo facevamo. Ma nel loro settimanale molto noto in Polonia Niedziela non ne hanno mai parlato. Non hanno fatto la recensione e loro di solito in quel settimanale sono molto attenti ai film in generale. Abbiamo sentito un po' di silenzio da parte della chiesa polacca. Erano confusi e non volevano reagire.
Perché secondo te?
Il film parla di questa storia dei finti preti che mi rendo conto possa essere piuttosto imbarazzante per la chiesa cattolica. Più che altro per una questione organizzativa. La facilità con cui parecchi uomini si sono finti preti in Polonia negli ultimi anni non lascia trapelare che ci sia una struttura salda.
Lo considereresti un film anti-cattolico?
No, assolutamente. La fede del nostro protagonista sostanzialmente è pura.
È più importante che sia giovane piuttosto che truffatore per la struttura di potere?
Esatto. Partivamo con lo sceneggiatore Mateusz Pacewicz da alcuni dati presenti nel nostro paese. Pochissimi vanno al seminario. I giovani non sono più interessati a fare i preti. Regolarmente a messa ci va solo il 15% dei giovani. Mia figlia, che ha 20 anni, non è interessata. La mia generazione era divisa 50% e 50%. Negli ultimi anni c'è stato un crollo presso gli under 30. Ecco perché nel film quando vedono arrivare un ragazzo così giovane, i vecchi preti si entusiasmano e non verificano l'attendibilità del suo percorso.
Come vedi la situzione della chiesa polacca a tre anni dall'uscita di Corpus Christi?
C'è stato un ulteriore deterioramento e la pandemia ha accresciuto il distacco. La Chiesa è stata presa dal panico perché con la pandemia sono morti moltissimi anziani, diminuendo ulteriormente i fedeli. La chiesa è terrorizzata per quanto riguarda il futuro e penso sia pronta per una rivoluzione perché ne va della sua concreta sopravvivenza nella società di domani. Corpus Christi mostra tutto ciò. Ogni inquadratura che ho fatto delle funzioni religiose sono stato attento a inquadrare solo vecchi fedeli in solitudine. I loro figli , e nipoti, non sono accanto a loro durante il rito. Con i miei collaboratori più intimi parlavamo di “un'atmosfera apocalittica senza bambini” come immagine guida del film.
Cosa c'è nel futuro di Jan Komasa? Sono già arrivati gli americani e gli inglesi per portarti nel mainstream?
(ride, N.d.R.) Sì, sono arrivati. È difficile uscire e fare un film in inglese ed è difficile perché è una terra sconosciuta. È molto facile per me fare un film europeo. Fatta questa premessa... sta accadendo. Uk e Usa sono interessati a me. Sto lavorando con lo storico produttore, anche di Bernardo Bertolucci, Jeremy Thomas e stiamo facendo già il casting. Sarà un film drammatico in lingua inglese. Sto lavorando anche con Nick Wechsler e Steve Schwartz, anche loro storici produttori per Soderbergh e Aronofsky, e con loro sto lavorando a due progetti. Anche in questo caso stiamo facendo già casting. Poi dall'America c'è la notizia che Corpus Christi e The Hater (l'ultima fatica di Komasa uscita su Netflix in piena pandemia nel 2020 su un giovane manipolatore rampante nell'ambiente politico di Varsavia, N.d.R.) potrebbero diventare presto delle serie tv trasportante negli Stati Uniti a livello di storia e personaggi. Siamo in pre-produzione. Al momento stanno cercando uno showrunner ufficiale e hanno da poco completato “la bibbia” delle serie con tutta lo scheletro degli avvenimenti stagione per stagione. Ho poi in ballo un progetto con Christopher Hampton, di cui ammiro tutta la carriera e che recentemente è tornato grande con l'adattamento da lui scritto di The Father dalla commedia di Zeller. Ho anche un film polacco per le mani ma è un progetto polacco-francese difficilissimo. Probabilmente è il più difficile della mia carriera ma per me va bene perché mentre per le mie prime produzioni internazionali cerco qualcosa di più semplice per ambientarmi, per le produzioni dove gioco in casa voglio complicarmi la vita. Questo film parla di una squadra di pallavolo ed è ambientato nel 1969. È un dramma sportivo. Non esistono drammi sportivi sulla pallavolo vero?
(non citiamo né le scene di Maschi contro Femmine in cui c'è la pallavolo né la scena del primo Top Gun né la pallavolo in acqua di Ti presento i miei con la famosa schiacciata in slo-mo di Ben Stiller perché abbiamo sentito il sottogenere “dramma sportivo” e quelli erano solo momenti, N.d.R.) No al momento non ne ho memoria. Ma perché la pallavolo ti interessa?
Perché non ti puoi toccare e perché è un gioco di squadra ma alla fine sei solo.