James Townley di Banijay sul futuro della tv non scripted: "Sono gli ibridi tra proprietà intellettuali"
Da Banijay la produzione non scripted si sposta sempre di più sugli ibridi tra diverse proprietà intellettuali, almeno secondo James Townley
Dopo una carriera a Endemol Shine, James Townley è diventato Chief Content Officer, Development per le produzioni non scripted di Banijay, mega compagnia europea a proprietà francese che ha acquistato Endemol, è operativa in 16 paesi nel solo continente europeo (ma è presente anche in altri mercati cruciali come India e Australia), ha recentemente acquisito l’italiana Groenlandia di Sydney Sibilia e Matteo Rovere e da noi produce show non scripted come L’isola dei famosi, L’eredità, Pechino Express, Boomerissima, Dinner Club, The Ferragnez, 4 Matrimoni, 4 ristoranti e GialappaShow.
Quando parlo con chi si occupa di produzione scripted per la tv mi dicono che produrre per uno streamer o per canali generalisti porta a conversazioni diverse e un tipo di lavoro diverso. Voi notate la stessa differenza?
“No, anzi, sono proprio uguali. Nel mondo della tv non scripted non trovo quella tendenza di cui parlano le persone che lavorano nello scripted, cioè di fornire molti soldi e controllare poco. Sono anzi partnership molto forti in cui entrambi i lati lavorano molto sulle produzioni”.
“Sì è così. Le tv tradizionali hanno ormai tutte la catch up tv, cioè la possibilità di vedere on demand i programmi che ti sei perso, che poi sono interfacce quasi uguali alle piattaforme. E le piattaforme hanno il desiderio di soddisfare i medesimi appetiti delle tv generaliste. Proprio cercano e producono gli stessi programmi, spesso reality”.
Qual è il trend più forte che vedi in questo momento?
“Il reality”
Ancora? Dopo più di vent’anni!!?
"Pensa che Il grande fratello, che è il padre di tutti i reality, va ancora alla grande ovunque. Un po’ per la maniera in cui riflette la vita quotidiana e un po’ per il piacere di essere la mosca sul muro che guarda qualcosa che si riflette nella tua vita. E poi produttivamente ha senso: puoi avere serie lunghe con un alto volume produttivo che ti consente di abbassare i costi, senza rinunciare ad archi narrativi che aggancino il pubblico dal primo all’ultimo episodio”.
Non è però solo il fatto che si possono abbattere i costi, è proprio che i reality costano molto meno di altri tipi di programmi televisivi. Cosa stimola qualcuno come voi a inventare o cercare qualcosa di nuovo e di diverso quando il reality è una macchina costi/ricavi praticamente perfetta e continua ad avere successo?
“Considera che Banijay ha un portfolio ampio, certo il reality è in testa ma abbiamo i factual, abbiamo i survival, Hunted, Masterchef, Lego masters, The Bridge… E poi in Italia sviluppiamo benissimo i talent o i giochi, che è una cosa in cui siete bravissimi. Pensa a LOL su Prime Video o i Ferragnez o ancora Dinner Club”.
Ma LOL e Dinner Club sono l’opposto per quanto riguarda i costi. LOL si gira in 1 massimo 2 giorni con poca preparazione, Dinner Club sono viaggi di giorni, più la parte in studio.
“C’è un’altra cosa che devi considerare nei format che ideiamo ed esportiamo, la possibilità di scalarli a seconda dei paesi. Il loro segreto è che possiamo aumentare o diminuire episodi e livello produttivo senza snaturarli, assecondando quello che ha senso fare in ogni singolo territorio”.
Come pensate di portare avanti il reality?
“Con gli ibridi tra proprietà intellettuali. Facciamo sempre di più dei reality che mescolano sottogeneri, come The Summit che è un reality ma con un gioco, c’è l’avventura e c’è la strategia. È così anche Celebrity Hunted che in Italia fate benissimo. Ancora più centrato però è Deal Or No Deal Island, che prende un gioco a premi iconico [Deal Or No Deal ndr] e lo si sposta in esterna, su un’isola, come i survival. Per noi che abbiamo un catalogo di proprietà intellettuali molto ampio è una buona strategia mettere insieme brand diversi per crearne di nuovi”.