Ira Sachs ci racconta come è nato Passages e perché non lavora per le corporation
Non è solo Passages ma tutto il cinema di Ira Sachs che può funzionare solo così e non alle dipendenze di un grande studio, dice il regista
Ira Sachs non lavora per le corporation, non lo ha fatto per Passages e non lo farà. Non fa proprio film per gli studios, non fa film per le piattaforme “Non sarebbe cinema indipendente”, dice giustamente. I suoi sono progetti non proprio economici ma di certo nemmeno costosi, ha un pubblico e ha trovato un posizionamento che gli consente di avere un’ottima libertà creativa “e a quest’età non voglio certo darla via, semmai voglio tenermela stretta”. Nell’intervista che gli abbiamo fatto in occasione dell’uscita italiana del suo ultimo apprezzato film, Passages, questo è stato il momento più difficile, quello in cui è emerso come Sachs volesse sia chiarire un punto e professare la propria aderenza ad un certo tipo di cinema, ma anche fosse comprensibilmente restio a inimicarsi inutilmente qualcuno o gettare discredito su altri.
LEGGI - La recensione
MUBI ha comprato i diritti di questo film dopo che era stato terminato. Una volta quando si faceva una coproduzione occorreva prendere un attore per ogni paese che produceva…
“Non è proprio il mio caso”
“No, non penso sia un vantaggio, inglese e americani dominano per via della lingua, dominano su tutto. E poi non credo i miei siano quel tipo di film, non sono tipo Airport ‘77!”
Visto che il film sarà su MUBI in esclusiva immagino che la tua posizione sulle piattaforme non sia drastica ma aperta. Sbaglio?
“MUBI ha una strategia unica che si basa sul passaggio in sala, che è un grande aiuto per i cinema viste le sfide odierne”.
Cosa pensi delle altre strategie?
“Quali altre?”
Quella di Netflix per esempio: produrre film che siano solo per la piattaforma.
“Produrre per le piattaforme vuol dire collaborare con le corporation e questo non è cinema indipendente, che è quel che faccio, e mi dà una libertà non comune”.
Eppure molti registi che hanno lavorato per Netflix mi hanno detto di non essere mai stati tanto liberi quanto quando hanno lavorato per Netflix…
“Penso che parlino in senso relativo, Netflix non è la compagnia che si è presa il rischio di fare questo film, per esempio. Quello che dico è che non è nella natura della mia carriera questo tipo di collaborazione e che quando vai a letto con qualcuno ti devi adattare. Dunque è importante con chi vai a letto”.
Davvero scegli così i tuoi produttori? Cioè immagino sia già complicato mettere insieme la produzione per un nuovo film, in più tu ci aggiungi questa variabile?
“Per forza. Se Passages è un film così libero (che era proprio uno degli impulsi che lo ha fatto nascere) è perché ci sono i partner giusti”.
Il tuo è nome importante oggi. Hai ricevuto offerte importanti di film grandi che hai rifiutato?
“Guarda sono onesto: non sarei bravo a fare quei film. Io faccio partire tutti i miei progetti e li scrivo con il mio sceneggiatore, non ho quel tipo di interesse o mestiere necessari per avere successo come regista dipendente. In più sono appassionato di un certo tipo di film indipendenti in cui il regista rivela parte di sé”.
Eppure sappiamo che da sempre nei film dei grandi studios i registi rivelavano parte di sé.
“Certo è la storia del cinema classico dei grandi studios, che adoro. Ma non credo sia vero oggi”.
Io penso che sia ancora vero.
“Fammi un esempio di un film degli studios degli ultimi anni in cui il regista rivela parte di sé”
Quelli della Marvel
“Quelli della Marvel???”
Io li ho visti tutti, sono molto diversi tra loro, e puoi identificare molto chiaramente le ossessioni dei singoli registi e quali aspetti decidono di sottolineare di volta in volta, come era per i western: storie molto formulaiche in cui ogni variazione rivela qualcosa.
“Interessante….”
Venendo a Passages, mi ha impressionato la scena iniziale, sembra slegata dalla trama, ma è molto dettagliata e ossessiva. Pensi che questo film avrebbe il medesimo senso se il protagonista non fosse un regista?
“No è essenziale. Non puoi separare una persona dal suo lavoro”.
Immagini sempre i tuoi personaggi a partire o includendo il loro lavoro, anche quando il film non lo menziona?
“Dipende. Per il personaggio di Ben Whishaw per esempio ho deciso che lavoro facesse dopo aver scoperto quel printing studio di Parigi, quello mi ha fatto pensare come potesse essere arrivato in città. Dipende da come arrivo al film, dalla mia esperienza. Renoir diceva “Quando fai un film lascia le finestre aperte per fare entrare il mondo” e cerco di farlo sempre. I miei film sono storie di finzione costruite con gli strumenti del documentario, devo passare del tempo nel mondo che il film propone per maturare un grado di profondità di conoscenza che fa sì che io diventi il regista giusto per girarlo. La mia relazione con il mondo di ogni personaggio è profonda tanto quanto lo sono io. Ad ispirarmi è stata l’idea di raccontare un uomo di potere che vuole di più”.
Da lì è partito il film per te, il desiderio di volere più di qualsiasi cosa?
“Esattamente, ed è una cosa vera anche per gli altri personaggi. Franz non è l’unico dominante che mette se stesso prima degli altri. Pensa ad Agathe [Adele Exarchopoulos ndr] che scopre una coppia sposata e non esita a mettersi in mezzo, una donna in un mondo di uomini che quindi tara il suo atteggiamento sulla violenza degli uomini”.
In questo caso specifico, tu conosci bene la vita di un regista…
“Ho 30 anni esperienza!”
…quindi su cosa ti sei dovuto documentare?
“La scena iniziale è stata quella più difficile da capire come fare. Come potevo in un tempo breve descrivere la cocenza di quel mestiere per questa storia e anche come avrebbe definito il posto nella società del personaggio. Quel film che il protagonista gira non esiste, dovevo immaginarmelo bene per renderlo reale. Era abbastanza una sfida”.
Lo hai immaginato tutto?
“No non tutto, diciamo più o meno la storia, il suo mondo e i personaggi ma senza rispondere a ogni domanda. Serve più a cominciare a conoscere le persone con cui faccio il film. Ad esempio il finale in cui Franz Rogowski va in bici esiste perché ho notato che ciclista kamikaze sia nella realtà. Quello è diventato parte del film. Veramente in pochi possono girare quella scena, sono ore e ore di girato pedalando molto veloce.