Venezia 71 - Intervista: Tsukamoto non parla di vittoria ma solo di pace

Arrivato a una fase nuova del suo cinema da qualche anno Shinya Tsukamoto racconta il suo primo film di guerra tratto da un romanzo

Critico e giornalista cinematografico


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Dimesso, minimalista, con un po’ di barbetta, pantaloni larghi e fuorimisura più una t-shirt scura e trasandata, Shinya Tsukamoto riceve per interviste in un appartamentino tristissimo in un primo piano, ad un tavolo di formica. Nonostante sia per la prima volta in concorso non sembra proprio un regista di primo piano ma un esordiente sconosciuto e forse non smetterà mai di avere quest’apparenza. Il suo film invece è di nuovo un capolavoro di sovrumana furia e violenza, un delirio di sound design che il regista considera un lavoro mainstream, più generalista e quindi buono per un pubblico più ampio (la cosa un po’ fa sorridere).

Di fatto questa è la prima volta che Tsukamoto potrebbe ambire al massimo premio, un riconoscimento che lo proietterebbe (giustamente e finalmente) nel posto che merita. Tuttavia non ci vuole pensare nemmeno se pressato.

Fires on the plain è audace ed estremo come è suo solito, crede che possa piacere alla giuria?

Non faccio film per prendere premi, ma perchè mi interessa farli

Tuttavia, ora che il film è fatto e finito come vuole lei, sta in una competizione qui a Venezia e forse può vincere il massimo premio, non ci pensa nemmeno?

Quando vengo ad un festival so che può accadere, quindi ci penso e voglio essere pronto ma non mi aspetto troppo.

Perchè non crede che un film così audace possa vincere?

Davvero non faccio film per i premi dunque non vedo il punto di parlarne

Va bene. Il film si ispira ad un libro che già aveva dato vita ad una pellicola (Fuochi nella pianura di Kon Ichikawa), ha preso ispirazione da entrambi?

No in realtà solo dal racconto. Rispetto molto il film originale ma è stata la lettura del libro a colpirmi. Inoltre come sempre nei miei film il protagonista deve vivere alla fine, non mi piace chiudere con la morte dell’eroe, perchè sia che finisca bene sia che finisca male deve convivere con quel che è successo. Devo essere di certo fedele al romanzo ma ancora di più ai miei principi.
Mi sembra inoltre che la società oggi vada sempre di più nella direzione della guerra e mi piacerebbe che tutto questo finisse, dunque ho fatto un film come questo.

É di nuovo lei ad interpretare il protagonista qualcosa che non capita sempre, come sceglie quali film interpretare e perchè in questo l’ha fatto?

Mi piace recitare nei miei film ma visto che questo film lo volevo fare per un pubblico più ampio e generalista avevo cercato delle star. Purtroppo non mi sono rimasti soldi a sufficienza e quindi ho recitato io.

Ancora una volta il protagonista è il corpo ma non come in passato...

Mi interessa molto il corpo umano e solitamente le mie storie raccontano di uomini che vivono in un mondo in cui arriva qualcosa di esterno che entra nel loro corpo trasformandoli fino a creare qualcosa di nuovo. Qui invece il messaggio è “Fermiamo la guerra” dunque non c’è trasformazione.

Sembra più che altro che affermi la fragilità del corpo, in ogni inquadratura si ha paura che si smembri o venga dilaniato anche dal più semplice degli incidenti…

Normalmente penso che sia interessante la mutazione del corpo ma penso che sia anche come dici tu. Il corpo umano mi appare fragilissimo rispetto a tutto il mondo esterno.

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