Intervista al maestro Norihiro Yagi: dagli esordi ai successi di Claymore e Ariadne in the Blue Sky

Il nostro incontro con Norihiro Yagi, che ci ha parlato della sua carriera dagli esordi ai successi di Claymore e Ariadne in the Blue Sky

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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L’ultima Lucca Comics & Games ha avuto tra i suoi ospiti d’onore un nome del calibro di Norihiro Yagi, mangaka conosciuto in tutto il mondo per “Claymore”, (fumetto da cui è stato tratto un anime altrettanto popolare, attualmente facente parte del catalogo di Amazon Prime) di cui è stato presentato alla fiera il volume numero 1 della New Edition, da parte di Star Comics. Il sensei è attualmente al lavoro su di un altro shounen di successo, “Ariadne in the Blue Sky”, attualmente in corso di pubblicazione in patria da parte di Shogakukan e in Italia sempre da Star Comics che ha portato in anteprima alla kermesse toscana la ristampa del primo tankobon con copertina variant, realizzata dallo stesso Yagi.
Qui di seguito vi proponiamo l’imperdibile intervista con il maestro, ringraziando per la consueta disponibilità e supporto la casa editrice Star Comics e la traduttrice Mari Nakagawa.

Prima di tutto porgiamo al maestro Norihiro Yagi il nostro benvenuto su BadTaste.it. Come prima domanda vorremmo ci raccontasse come si è appassionato al mondo del disegno e quindi del Fumetto.

Grazie a BadTaste.it per l’ospitalità.

In realtà leggo e amo i manga fin da quando ero molto piccolo. Non saprei dire a che età ho iniziato ad appassionarmi al disegno e al Fumetto, perché questo mondo fa parte di me da sempre.

Quando ha deciso di diventare un mangaka professionista e com’è iniziata la sua carriera?

Anche qui mi è difficile dire quando. La mia passione per i manga mi ha portato da subito a disegnare e a volerlo farlo diventare il mio mestiere da grande. Al liceo e all’università avevo poco tempo libero per applicarmici con continuità, ma già lavoravo a un fumetto tutto mio. Dopo la laurea, finalmente, ho cominciato a dedicarmi al mio progetto a tempo pieno. Sono riuscito a realizzare un one shot che ho inviato a un contest, organizzato da Shogakukan, e che è arrivato fino alla selezione finale ma non ho avuto fortuna. In seguito, ho partecipato a un altro concorso, ma anche quella volta è andata male.

Dopo questi due fallimenti, mi sono concesso una pausa. Ho preso tempo e fatto altro, per cercare di essere il più obbiettivo possibile sui miei lavori e avere la possibilità di analizzare a sangue freddo dove sbagliavo. Nei due precedenti one shot avevo messo tutto il mio cuore, ma doveva esserci qualcosa che non andava bene, altrimenti avrebbero avuto successo: dovevo capire che errori avevo commesso nella maniera più serena e distaccata che conoscessi.

Ci voleva, prima di tutto, un’idea fresca e totalmente originale, rispetto alle precedenti. Mi sono messo al lavoro con tutto me stesso sul manga che sarebbe divenuto “Undeadman”, la mia opera di debutto nel mondo professionale. È un fumetto horror, con decisi elementi splatter ma anche gag umoristiche, un tipo di genere, allora, poco utilizzato negli shounen, ed ero convinto che potesse incuriosire la giuria. È stato davvero così e ho vinto il concorso!

Ci sono dei maestri del Fumetto giapponese e/o internazionale a cui si è ispirato per il suo stile o che l’hanno particolarmente influenzata agli esordi?

Sicuramente uno su tutti è il sensei Fujio Fujiko, il creatore di “Doraemon”. Io sono stato un suo appassionato lettore fin da bambino, e, crescendo, ho apprezzato non solo questo suo grande successo internazionale, ma anche il resto della sua produzione. Sono stati diversi, tuttavia, i maestri che mi hanno influenzato e che ho amato particolarmente, come Akira Toriyama, Katsuhiro Otomo, Rumiko Takahashi, e altri ancora.

Quanto è dura divenire un affermato mangaka come lei e che consigli darebbe a un giovane autore con aspirazioni professionali in questo mondo?

Il percorso professionale per diventare mangaka non è per nulla facile e non basta solo il talento, ma duro lavoro. Si comincia da giovani, creando un proprio one shot da presentare a un concorso. Bisogna vincere quel concorso. Quindi, bisogna subito rimboccarsi le maniche e gettarsi su di un’altra opera che sarà pubblicata da una delle riviste appartenenti alla casa editrice che ha indetto il contest che hai vinto. La serializzazione su di un magazine richiede grande impegno e sacrifici. Una volta concluso quel fumetto, è già tempo di pensare a qualcosa di inedito e ributtarsi anima e corpo su di un nuovo progetto. Non c’è riposo né un punto di arrivo per un mangaka professionista! Dipende comunque dalle tue aspirazioni e dalle tue ambizioni.

Il consiglio che posso dare a un autore in erba – visto che mi capita di far parte della giuria per giovani talenti - è quello di non lasciarsi troppo trascinare dal proprio mangaka preferito o dall’opera che ama di più, per non rischiare di creare un fumetto che alla fine risulta solo un’emulazione ed è povera di personalità e iniziativa. So molto bene che non è facile ma bisogna sempre cercare di dar vita a qualcosa di originale, che nessuno ha mai letto prima.

Il pubblico italiano l’ha conosciuta grazie all’opera “Claymore”, pubblicata da Star Comics ormai quasi venti anni fa. Come le è nata l’idea di questo shounen?

Prima di “Claymore”, sempre per Shueisha, avevo realizzato “Angel Densetsu” [inedito in Italia – NdR], contenente anche evidenti elementi di comicità. Volevo perciò creare qualcosa di totalmente diverso, con protagoniste femminili davvero cool e mostri, con in quali non mi ci ero mai veramente cimentato. Da questo mix credo sia nata l’idea di “Claymore”.

I riferimenti in “Claymore” all'Europa medioevale sono evidenti, anche se si tratta di un’ambientazione dark fantasy, ma indubbi sono gli echi del folclore e dell’immenso immaginario mostruoso della cultura giapponese. È d’accordo con questa affermazione e, se sì, quanto hanno contribuito entrambe queste culture nella formazione del soggetto del suo manga?

Prima di iniziare “Claymore” ho visitato la Francia e sono rimasto molto suggestionato da quel viaggio; l’ambientazione medioevale di stile europea è certamente legata alle cose che ho visto in quel paese. Per quanto riguarda mostri e yokai della nostra tradizione e del nostro folclore, posso rispondere che faccia semplicemente parte del mio DNA.

Ci incuriosisce sapere tra le guerriere Claymore qual è la sua preferita e perché?

Non è risposta facile. Amo tutti i miei personaggi, ma se proprio devo sceglierne uno, direi Teresa, perché il suo character design mi è venuto immediatamente spontaneo ed è un personaggio con cui mi sono trovato subito a mio agio nel farla muovere e recitare. Non voglio fare spoiler per i nuovi lettori, ma ci sono scene così commoventi tra Teresa e Claire che mi hanno toccato profondamente: mentre le disegnavo, lo confesso, mi sono ritrovato a piangere io stesso su quelle tavole.

Veniamo alla sua opera attualmente in corso sia in patria che in Italia: “Ariadne In The Blue Sky”. Il genere fantasy rimane ma si mescola alla fantascienza. Quali sono le suggestioni e gli spunti che l’hanno portata a creare questa nuova serie per Shogakukan?

Il soggetto di “Ariadne In The Blue Sky” è sempre dettato dai miei propositi di dare ai lettori qualcosa di inconsueto. All’epoca non erano molti i manga spiccatamente fantascientifici e ammetto onestamente che conoscevo poco anch’io questo genere. Mi sono messo a leggere vari romanzi di fantascienza e sono rimasto molto colpito da “I Canti di Hyperion” [“The Hyperion Cantos – NdR], dell’americano Dan Simmons. I personaggi principali di “Endymion” - terzo capitolo della saga - il loro lungo peregrinare nello spazio e nel tempo, credo mi abbiano molto influenzato nella creazione di “Ariadne In The Blue Sky”.

Nella storia di “Ariadne In The Blue Sky” un ragazzo di umili origini incontra una principessa che viene dal cielo. Possono essere diverse le chiavi di lettura della storia e dei suoi sviluppi; lei ne ha in mente una in particolare da suggerire ai suoi lettori?

Dipende molto da ogni lettore, fino a che punto del manga è giunto: non voglio fare spoiler, ovviamente. Posso solo dire di stare molto attenti dall’inizio ai dettagli, alle frasi dette da Leana, la protagonista, durante i vari capitoli, a tutto ciò che può apparire come una piccolezza o un elemento del racconto di secondo piano. Pian piano questi indizi, queste tracce misteriose, si faranno più chiari e il pubblico comincerà a capire e ad avere un quadro più nitido dell’intera vicenda.

Parliamo proprio del futuro di Lacyl e di Leana. Ha già concepito la conclusione di “Ariadne In The Blue Sky” e a che punto siamo della trama, può rivelarcelo?

Sì. Certamente. Ho sempre avuto il suo finale in mente mentre realizzavo la storia. Posso anticiparti che la trama è quasi giunta a conclusione, mancano davvero pochi capitoli.

Terminiamo con una nostra domanda di rito: ha uno o più titoli di altri autori che ama in particolare e che vorrebbe suggerire ai nostri lettori?

A giudicare dai padiglioni e dai manifesti che ho visto qui a Lucca, devo complimentarmi con voi italiani, perché conoscete e leggete davvero tanti fumetti provenienti dal mio paese. È dura per me, quindi, darvi un consiglio.

Posso rifarmi al mio autore preferito, al sensei Fujio Fujiko, e a un titolo che non so se è stato tradotto in italiano, ma che lo meriterebbe: “Mojakou” [inedito in Italia – NdR].

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