Intervista: Jacques Audiard ci parla di Un Sapore di Ruggine e Ossa

Jacques Audiard ci parla del suo nuovo film: la scelta di che storia adattare e quella conseguente di Marion Cotillard per incarnare il corpo al centro della scena...

Critico e giornalista cinematografico


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Presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes e in uscita in Italia questo giovedì 4 ottobre, il nuovo film di Jacques Audiard affronta ancora una volta una storia di corpi e di brutalità messa a contatto con il proprio lato sentimentale.

Arrivato a Roma per promuoverlo Audiard è insolitamente ben disposto e verboso. Parla diffusamente delle origini del film e del ruolo degli attori in esso, senza eccedere nelle solite banalità promozionali.

Figlio d’arte (il padre ha scritto metà del miglior cinema francese) e ottimo scrittore prima che regista, forse è uno dei più grandi cineasti in attività, di certo uno dei più sottovalutati. Un sapore di ruggine e ossa è il suo sesto capolavoro.

Da dove viene Un sapore di ruggine ed ossa?
Da una raccolta di racconti di Craig Davidson intitolata “Rust and bones”, sono storie che parlano della barbarie dopo la crisi, individui sprovvisti di tutto che hanno solo il corpo come merce di scambio gli uni con gli altri e questo ovviamente si lega alla nascita di un amore e alla loro capacità di amarsi.
Certo detto così è molto semplice ma questa è proprio la difficoltà di adattare questi racconti, riuscire ad arrivare a questa semplicità da “boy meets girl”.

Siamo però lontani dalla brutalità di Il profeta?
Si quel film era un caso particolare, ma anche questo in un certo senso lo è. E’ vero che è più delicato ma la vera novità, almeno per me, è stato lavorare con un attrice su di un corpo femminile, avevo davvero la voglia di filmare un volto o un corpo di donna nell’universo di Davidson.

Non era capitato già in Sulle mie labbra?
E’ vero che nel mio cinema ci sono spesso personaggi cui manca qualcosa, eppure il parallelo con Sulle mie labbra io l’ho notato solo in sala di montaggio. E quando l’ho accennato alla mia montatrice lei mi ha risposto: “Ma sei cretino o cosa?? E’ evidente!”.

Aveva da subito in mente Marion Cotillard?
No. In realtà quando scrivo non penso agli attori che interpreteranno i ruoli, lo faccio solo quando finisco di scrivere. Non conoscevo molto il lavoro di Marion, ma di certo ci sono 2-3 momenti di La vie en rose che mi erano rimasti impressi e avevo creato in me l’interesse a lavorare con lei. Trovo sia un’attrice con un melange straordinario di virilità e femminilità. Quando la vedo recitare ha qualcosa che richiama le grandi attrici del cinema muto nella sua espressività.

Per questa ragione voleva lei per il ruolo di una donna mutilata che perde le gambe?
Quello della mutilazione e quindi della perdita effettiva e concreta di qualcosa nel corpo è un po’ un’espediente di scrittura. Era presente in uno dei racconti di Davidson ma era un uomo a subirlo e perdeva solo una gamba. Tuttavia in quest’idea ci ho visto immediatamente anche un forte valore erotico. Sapevo che quel corpo con quella mutilazione aveva una carica fortissima che sarebbe passata sullo schermo.

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