Intervista a Barbara Baraldi: “Vi racconto com’è nata quest’idea e com'è il mio Dylan Dog”
Il nostro incontro con Barbara Baraldi, nuova responsabile editoriale di una vera e propria icona del Fumetto italiano: Dylan Dog
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
All’ultima edizione di Lucca Comics & Games 2023 abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare colei che da pochi mesi è la nuova responsabile editoriale di una vera e propria icona del Fumetto italiano: Dylan Dog.
Quella che potete leggere qui sotto e solo un primo assaggio di una chiacchierata più ampia e corposa che faremo presto, in diretta online, su BadComics, il nostro canale Twitch di BadTaste.it.
Baraldi – Vi ringrazio molto per la vostra ospitalità. Hai ragione, è una gravissima perdita per tutti coloro che amano il Fumetto. La cosa pazzesca è che il giorno prima avevo riletto “Margherite” [testi di Tiziano Sclavi e Carlo Ambrosini, disegni di Carlo Ambrosini, “Dylan Dog Gigante 2”, dicembre 1993 – NdR]; io ho bisogno continuamente di rileggere storie di Dylan che mi hanno formato, che mi sono rimaste dentro, e “Margherite” è una di quelle. È una storia poco conosciuta, con dei disegni fantastici, perché Carlo come artista parlava attraverso i disegni, era capace di tradurre in immagini qualunque emozione. Io e tanti altri autori, “dylaniati” o meno”, dobbiamo tanto della nostra formazione a un maestro come Carlo Ambrosini. In pochi mesi abbiamo perso Luigi Piccatto, Giuseppe Montanari e ora Carlo. Ho saputo di Carlo mercoledì, il giorno prima di partire per Lucca, e ho ringraziato il cielo di non essere stata a Lucca, perché è stato un giorno di lacrime e nostalgia. Mi consola il fatto – sembra quasi che Carlo lo abbia fatto apposta – che in questo momento è in edicola il “Dylan Dog Old Boy 21”, che contiene un racconto scritto e illustrato proprio da Carlo: “I supplizianti”. È un fumetto che parla di morte e parla di amore, è un pezzo di eredità che ci lascia Carlo, sembra quasi un suo testamento.
Stiamo tutti male ma siamo tutti uniti. Voglio raccontarvi a questo proposito un fatto accaduto una decina di giorni fa. Avevo chiesto a Carlo una storia particolarmente folle; Carlo era e resterà un maestro quando si tratta di ambientazioni oniriche, surreali. Volevo dunque un racconto ardito, fuori dagli schemi, non solo per il soggetto ma anche per i disegni – il suo tratto è estremamente elegante - che volevo ospitare su “Dylan Dog Color Fest”, dove si possono osare cose che sulla testata regolare non è possibile fare. Ebbene, Carlo l’ha realizzata in questi dieci giorni e la metteremo in produzione il prima possibile, così come ci tengo ad anticiparvi che a gennaio prossimo leggerete un altro suo lavoro. Prima di salutarci ha voluto regalarci tanto. Resterà sempre qui con noi e ho voluto ricordare ai miei collaboratori di tornare a rileggere le sue storie, perché non puoi scrivere “Dylan Dog” se non hai fatto tuoi quei titoli indimenticabili che ha firmato Carlo.
Barbara, veniamo dunque a parlare del motivo principale di questa intervista: sei la nuova curatrice di “Dylan Dog”, un’icona della Sergio Bonelli Editore e un patrimonio del Fumetto italiano. Quando e com’è avvenuto il passaggio di consegne con Roberto Recchioni e come ti sei sentita nel dover ricoprire un ruolo così prestigioso ma al contempo di grande responsabilità?
Baraldi – La cosa assolutamente particolare è che io non l’ho saputo molto prima di voi. A pochissimi giorni dall’uscita della notizia ufficiale sono stata contattata da Franco Busatta [curatore della testata “Dylan Dog OldBoy” – NdR], che mi ha chiamato e saluto così: "Ciao Barbara, dove sei? Sono qui insieme a Michele [Michele Masiero, direttore editoriale di Sergio Bonelli Editore – NdR]. Puoi raggiungerci il prima possibile in redazione? Non possiamo dirti nulla al telefono". Potete immaginare la mia reazione, tra lo stupore e l’agitazione. Io ero a Torino per una presentazione; appena terminata, ho mollato tutto e mi sono precipitata subito a Milano.
Arrivo in Bonelli e senza tanti fronzoli, Franco, insieme a Michele, mi dice: "Sia noi che Tiziano abbiamo pensato a te come la nuova curatrice di Dylan Dog. Te la senti?" Io, senza pensarci un attimo, ho subito risposto di sì, un sì dettato dal cuore, e loro hanno immediatamente aggiunto: "Splendido! Preparaci un piano editoriale in tre giorni". Tre giorni per un piano editoriale sono nulla, ma io, vi stupirete, lo avevo già. Da giorni giravano nomi illustri per un possibile successore di Roberto Recchioni. Anche se non ho mai pensato potessi venir presa in considerazione per quel ruolo, immaginavo tra me e me come avrei voluto il mio Dylan, perché, prima di tutto, ci tengo sempre a sottolinearlo, sono una lettrice di “Dylan Dog”. Così, ho preparato nei tempi prestabiliti il piano editoriale sul “Dylan Dog” che avrei voluto leggere. È piaciuto a Tiziano e alla casa editrice e sono stata richiamata a Milano, dove sono stata insignita ufficialmente e dove mi è stato chiesto di dare l’annuncio pubblicamente. Ero così impreparata alla cosa che, se avete notato nel video girato per l’occasione, indossavo una maglietta con scritto sopra “XANAXX”, semi nascosta dalla giacca con cui si è sposato il mio babbo.
La cosa che mi ha aiutato di più nel calarmi nel ruolo di curatrice ed editor di Dylan Dog - che implica un sacco di responsabilità, dalla scelta delle storie da proporre alle copertine degli albi, dall’editoriale all’editing, ecc. – è che sono da sempre una “dylaniata”. Dylan Dog per me non è un personaggio, ma una persona con cui sono cresciuta e che mi ha aiutato a crescere. C’è tanto lavoro da fare, faccio le ore piccole, tirando fino a tarda sera, ma non mi pesa per nulla, anzi, è una gioia: Dylan è la mia vita.
La cosiddetta “trilogia del ritorno” è uscita pochi mesi prima del tuo nuovo incarico quale curatrice di Dylan Dog. È una trilogia fondamentale, che ricompone e risolve lo sconvolgimento narrativo portato dalla gestione Recchioni nell’universo del personaggio. Parliamo degli albi 435, 436 e 437 della serie regolare, che sono essenzialmente un unico soggetto tripartito, firmato da Claudio Lanzoni. Claudio non è soltanto un tuo collaboratore ma è anche tuo compagno nella vita. Com’è nata questa trilogia e com’è entrato Claudio a far parte dello staff di Dylan?
Baraldi – In effetti, col senno di poi, credo che quella trilogia sia stata una sorta di prova per me, per il futuro ruolo che mi attendeva, perché Tiziano e Claudio avevano voluto proprio me, insieme a Roberto – che si è occupato del primo albo - come sceneggiatrice.
Per raccontarvi come è andata devo rivelarvi un gossip che risale a diversi anni fa, quando scrissi “Gli anni selvaggi” [Dylan Dog 364, dicembre 2016 – NdR]. Questa storia è piaciuta così tanto a Tiziano Sclavi e sua moglie Cristina, che hanno voluto conoscermi. Ero stata invitata a un evento organizzato dal Fondo Sclavi, un fondo nato grazie alla sua generosità, perché pochi sanno che Tiziano ha regalato oltre 6.000 libri alla biblioteca di Venegono Superiore. Arrivata sul posto, l’organizzatrice – io, premetto, non sapevo nulla – mi ha detto che c’era una persona che mi voleva conoscere e presso la quale a lei era stato chiesto di accompagnarmi. Sono salita in auto con questa signora che ha cominciato ad allontanarsi dal centro abitato e a inoltrarsi nel bosco. Io che vivo di horror, vi confesso, ho pensato: "Qua vogliono farmi a pezzi!" In realtà siamo giunti a casa di Tiziano e di sua moglie, che mi hanno accolto insieme ai loro amati cani. È stato un momento davvero emozionante per me e soprattutto un vero onore, perché è una cosa assai rara poter incontrare di persona Tiziano; figuratevi venire invitati a casa sua! Da quel momento sono nate una bella amicizia e la consuetudine di andare a trovare una volta l’anno Tiziano e Cristina, insieme al mio compagno Claudio.
Durante uno di questi incontri, Tiziano ha introdotto la questione di riportare l’universo di Dylan Dog così com’era sostanzialmente agli albori, sottolineando che non si trattava per nulla di una cosa semplice. Claudio, tuttavia, è intervenuto e ha detto molto candidamente: " In realtà, io un’idea l’avrei". Claudio, va detto, è un dylaniato della prima ora, che in quel lontano settembre del 1986, ha acquistato al primo giorno d’uscita l’ormai mitico albo d’esordio “L’alba dei morti viventi”. Ha scritto il suo primo fumetto alle superiori, vendendolo nei corridoi delle scuole, e poi ha sempre lavorato nel mondo dell’editoria, ma dietro le quinte, come ghostwriter e come editor; è un tipo molto riservato, schivo: non ha neppure profili social.
Tornando a noi, Tiziano, che stima molto Claudio, si è subito dimostrato disponibile: "Bene! Hai un’idea?! OK! Buttami giù un progetto!" Il progetto, che è diventato, come dicevi tu, “la trilogia del ritorno”, prevedeva lo sviluppo in due episodi. È piaciuto subito molto a Tiziano, tant’è che ha voluto che il nome di Claudio comparisse nei credits - che si prendesse il giusto merito - perché Claudio voleva semplicemente regalarglielo. Il mio compagno ha così scritto il soggetto che ho sceneggiato io, mentre, da un brainstorming tra Tiziano, Roberto e Claudio, si è convenuto che due albi non fossero sufficienti, che fosse necessario un episodio introduttivo, che Claudio ha scritto pensando proprio a Roberto come sceneggiatore.
Il primo redazionale da te firmato è apparso sull’albo dello scorso giugno, “Frammenti”. È da quel momento che possiamo dire che abbia preso inizio ufficialmente il tuo nuovo incarico?
Baraldi – Esattamente. Quello è stato il mio primo albo, interamente curato da me, dal redazionale all’idea della copertina.
Quando cominceremo a vedere in edicola l’attuazione del tuo piano editoriale?
Baraldi – Da adesso. Dalla mia storia di novembre, “L’altro lato dello specchio”, disegnata da Davide Furnò, Nicola Mari, Marco Nizzoli, e concepita proprio sotto questa nuova curatela. Il compito di un editor è particolare e tutt’altro che semplice. La sua mano, la sua presenza, a mio parere, devono essere quasi invisibili, ma, al contempo, il suo lavoro e la linea editoriale che ha in testa e che vuole imprimere al personaggio devono essere percepibili al lettore.
Parlaci dunque del progetto: qual è la linea editoriale che hai pensato per il tuo Dylan Dog?
Baraldi – A “L’altro lato dello specchio” seguiranno “Hazel la morta”, scritto insieme a Rita Porretto e Silvia Mericone che curano anche la sceneggiatura mentre le matite sono di Antonio Marinetti, e “Anatomia dell’anima”, i cui testi sono di Alessandro Russo e le illustrazioni di Sergio Gerasi. Sono tre albi autoconclusivi che costituisco però un miniciclo, imperniato su di un argomento specifico: l’intelligenza artificiale. Sarà così anche dopo: brevi cicli di tre episodi, ognuno di essi con il suo finale, godibile di per sé, ma legato agli altri due dalla stessa tematica, interpretata in tre modi diversi, sotto tre sfumature diverse di horror, a seconda delle caratteristiche e della sensibilità degli autori a cui viene di volta in volta affidata la storia.
La mia intenzione è di fare in modo che il lettore venga sempre spiazzato dal prossimo fumetto che leggerà; Dylan Dog è sempre stato imprevedibile, questo deve essere il suo registro, la caratteristica che lo deve distinguere da tutti gli altri. Offrendo non una ma tre storie su di un soggetto centrale, voglio mostrare al nostro pubblico cosa abbiamo in mente per il nostro Dylan e anche come intendiamo farlo divertire, divertendoci noi stessi a coniugare tutte le sfumature dell’orrore, dallo splatter allo psicanalitico e via dicendo.
Concludiamo con una domanda che vuole essere uno spunto da approfondire nella chiacchierata che avremo poi con te online: c’è qualcosa che vuoi portare nella tua gestione delle peculiarità che hanno caratterizzato quella di Roberto Recchioni e cosa ci sarà di veramente diverso dalla precedente curatela nel tuo Dylan Dog?
Baraldi – Una delle cose che più mi sono piaciute, e di cui sono grande fan, della gestione di Roberto, è la trasformazione della collana “Dylan Dog Color Fest” in un grande laboratorio di sperimentazione, di assoluta libertà creativa, che ha visto la collaborazione di scrittori e disegnatori assolutamente fantastici. Il “Color Fest” rimarrà così come l’ha concepito Roberto e non ho alcuna intenzione di modificarlo; funziona e lo voglio sempre più color, sempre più folle, assolutamente.
Nella mia gestione ci saranno sicuramente novità editoriali. Non posso anticiparvi molto per ora, ma posso svelarvi che i numeri “bis” diventeranno dei “what if”, all’americana: vedrete Dylan Dog e i comprimari della serie regolare vestire altri panni, vivere altri tempi e avventure. L’idea del “what if” è stata di Tiziano Sclavi, la mia quella di portarlo sul “bis”, in modo da caratterizzare in maniera specifica questi numeri “anomali” della serie regolare. Il primo, del prossimo giugno, posso rivelarvi, sarà scritto da Bruno Enna e disegnato da una new entry assoluta – che ho voluto personalmente io perché è bravissima – che si chiama Silvia Califano. Il fumetto è ambientato in Antartide, nel 1800, su una nave da carico il cui comandante è Bloch, che rimane incagliata tra i ghiacci. È una storia incredibile e che altro posso aggiungere? Sono carica a palla per questo nuovo corso!