Intervista a Clod: da Tiramolla a Le avventure del Mirmillodonte
A Rapalloonia 2017 abbiamo intervistato per voi Clod, un pezzo di storia del Fumetto italiano
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Ciao, Clod e benvenuto su BadComics.it!
La tua carriera è prossima a festeggiare i cinquant'anni. Sei un pezzo di Storia del Fumetto italiano, ti capita di pensarci ogni tanto?Sì, sono quarantotto anni per la precisione, quasi mezzo secolo. Se ci penso? No, non ci penso. Spero di andare avanti ancora. Forse sono un pezzo di Storia, ma dimenticato. [ride]
Il tema di Rapalloonia di quest'anno è “Pennelli in fuga”. Le nuove tecnologie rendono tutto più vicino e immediato. È davvero più facile lavorare all’estero, o per l'estero, nel tuo caso?
Assolutamente sì, è molto più facile, basta un clic. Una volta dovevi andare in giro per mostrare i tuoi lavori oppure spedirli sperando non andassero rovinati e che ti rispondessero. Adesso puoi digitalizzarli per spedirli ovunque e conservarli in maniera più sicura.A proposito di digitale, tu lavori ancora con gli strumenti tradizionali oppure sei passato alla tavoletta grafica?
Uso ancora carta e matita, ma non nascondo che mi affido al digitale per tutto quel che riguarda la finalizzazione, dove puoi aggiungere livelli, ingrandire, rimpicciolire, girare e spostare soggetti nella tavola a tuo piacimento.
Hai collaborato fino a pochi anno or sono con "Il Giornalino", per il quale hai lanciato recentemente "Le avventure del Mirmillodonte". Sappiamo che il periodico delle Edizioni San Paolo non sta attraversando un buon momento, almeno fumettisticamente parlando...
Le avventure del Mirmillodonte sono uscite fino a quest'anno. Purtroppo, come dicevi tu, le cose sono cambiate ultimamente sul settimanale più longevo d'Europa. Dopo novantadue anni di vita editoriale ininterrotta, lo scorso anno, in primavera, sono arrivati la cassa integrazione per la redazione, il taglio dei collaboratori esterni e il dimezzamento della foliazione dedicata ai fumetti. Non so da chi dipenda questa decisione, ma su sessantaquattro pagine complessive, sono meno di una quindicina quelle dedicate ai fumetti, una miseria!
Inoltre, per quanto riguarda il materiale italiano, non vi è nulla di inedito ma solo riproposte degli anni addietro. Io negli ultimi dodici mesi ho ripubblicato poco meno di venticinque tavole.
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La situazione che descrivi de "Il Giornalino" sembra riflettere una condizione generale e cronica della letteratura disegnata per ragazzi. Si può ancora parlare di Fumetto per ragazzi oggi in Italia? Oppure, per avere la coscienza a posto, basta dire che i più giovani leggono poco?
In Italia l'offerta è davvero ridotta, tolto Disney, direi. Oggi non vi è nulla di paragonabile al "Corriere dei ragazzi" o per andare più indietro, a "Il Vittorioso", che poi ha passato il testimone a "Il Giornalino". Indubbiamente i più giovani leggono poco - e non solo i fumetti - questo non si può negare, ma sono cambiati anche i tempi: finita la scuola, i programmi TV per i ragazzi degli anni 50 e 60 erano ridotti a una mezz'ora al giorno. I canali erano due e in bianco e nero. Le trasmissioni iniziavano più o meno intorno alle 17:00. Noi ragazzi, quando c'era bel tempo, uscivamo fuori a giocare e quando era brutto o veniva l'inverno, passavamo diverse ore sui fumetti, li leggevamo e ce li scambiavano. Non c'era nient'altro!
I ragazzi di oggi hanno mille modi di impegnare il proprio tempo libero con una tecnologia fantascientifica, se paragonata a quella dei miei tempi. E poi escono di meno, stanno meno all'aperto; sicuramente le città e i paesi sono meno sicuri, oggi, ma è un vero peccato, a mio parere, che non si godano una bella giornata di sole a giocare, a stare insieme, a gironzolare con una bici, a sbucciarsi le ginocchia come facevamo noi.
Cosa ti appassiona e affascina di più nel fare letteratura disegnata per ragazzi?
Creare storie. Se se ne scrivo i testi è sempre molto emozionante! Non voglio dire che ti senti come un dio, ma in un certo senso hai potere di vita, morte e resurrezione su tutti i personaggi, l’ambiente e la storia. Non a caso il mio vero nome è ClauDio! [ride]
Per non parlare della parte grafica! Ah! Lì si che ci si sguazza, c’è la vera “Creazione”, nel senso che si rende partecipi gli altri delle tue visioni, di come vedi e vuoi che siano le cose! È quello che mi accade quando guardo il lavoro di un collega che mi fa piacevolmente viaggiare con la fantasia al punto di arrivare a pensare: "Ecco! Lui dentro è così!". Spero che chi mi legge, nei testi e nelle immagini, abbia la stessa reazione!
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Sei nato come collaboratore di Bonvi. A quale dei suoi personaggi sei più legato professionalmente e affettivamente?
Se parliamo da un punto di vista professionale, sicuramente ai personaggi che apparivano sulla rivista "Tiramolla". Io lavoravo su Capitan Posapiano e Silver su Cattivik, di cui poi Bonvi gli regalò i diritti. Un personaggio che amo molto è Nick Carter, per il quale ho anche firmato due storie della mitica serie TV "SuperGulp". Però, se devo essere sincero, il mio preferito è Cattivik, per il quale ho realizzate tre fumetti per la serie omonima.
Hai un aneddoto curioso, considerando la tua lunga carriera di autore, da raccontare al pubblico di BadComics.it?
Ce ne sarebbero tanti. Quello che mi viene in mente adesso, visto che abbiamo parlato di Bonvi, è a proposito delle Sturmtruppen, dopo che lui ci aveva già lasciato, nel 1995. Ci trovammo in redazione de "Il Giornalino", Silver, Leo [Ortolani] e io. L'intenzione, come poi avvenne, era di riprendere e proseguire la serie. Leo avrebbe curato i testi e io i disegni. Ricordo che il direttore di allora esordì in questo modo: “Mi piacerebbe che in questo nuovo progetto, le Sturmtruppen diventassero una forza di pace”. Al che, Leo si girò verso Silver e verso di me, dicendoci: “Se siete d'accordo, ditemelo subito che mi alzo e vado via!” [ride].
Il direttore dovette rassegnarsi, alla fine, ma fu dura. Dovemmo, comunque, rinunciare a ogni scena vagamente violenta e con riferimenti sessuali. Nelle Sturmtruppen originali, in quel periodo, apparivano di tanto in tanto pistolini a destra e manca! [ride] Essendo una testata cattolica, la censura era forte, pesante, come negli anni 50 e 60. Spesso però, otteneva il risultato contrario. Quando il lettore non pensava all'allusione, la censura lo costringeva pensarci. Faccio un esempio: quando Leo abbandonò il suo ruolo di sceneggiatore passando il testimone - anzi, la penna - a me, io ideai un "supereroen". Lo avevo chiamato Supertrupp, il paladino dei "kameraden", saltellante a balzi sopra le trincee. La mia idea era quella di presentarlo ogni volta facendo il verso a Superman: “Guardate! Su nel cielen! È un uccellen? È un aereo? Nein, è Supertrupp!”. Ebbene, mi fecero sostituire la parola “uccellen”, con “volatilen”. Che tristezza!
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Qual è l’insegnamento più prezioso che hai avuto da Bonvi? E cosa ci manca di più di lui oggi?
Bonvi aveva una capacità unica nell'immaginare e realizzare una scena e trasportarla con una apparente semplicità sul foglio. Gli bastavano pochi tratti, quasi uno schizzo, e la vignetta era già pronta. La sequenzialità della tavola era un altro capolavoro. Bastava seguire con un colpo d'occhio le strisce e tutto aveva una fluidità straordinaria. I testi, inoltre, erano essenziali, minimali, con qualche onomatopea che spesso inventava lui, ma colpivano sempre nel segno; è una qualità strepitosa, un dono di natura.
L'apice credo sia proprio il suo "Cattivik", senza nulla togliere a quello di Silver, più dettagliato, raffinato, perché Bonvi aveva un segno più grossolano di quello di Silver. Apro una parentesi: io e Silver dedicavamo molto tempo alla cura e alla rifinitura delle tavole, secondo Bonvi troppo. Una mattina trovammo attaccate alle nostre lampade, in ufficio, due pagine di un personaggio realizzato da un altro artista, nostro collega, dal tratto molto più sbrigativo del nostro; sotto c'era un foglietto, con scritto: “Lui viene pagato come voi”. [ride]
Cosa ci manca oggi di più di lui oggi? Forse quella sua follia positiva e geniale. Lui era davvero un gioioso “pazzoide”! Certo recitava anche, si era creato un personaggio, ma possedeva davvero quella follia che hanno i geni. Scriveva tutto a mano, non usava la macchina da scrivere. Nelle sue sceneggiature non descriveva la scena, se non era strettamente necessario, né c'era un'indicazione di inquadratura, primo piano, piano lungo, dettaglio ecc.. C'erano solo i dialoghi. La cosa incredibile è che ti bastava leggere quelli per capire cosa succedeva e cosa disegnare. La spiegazione era nei dialoghi, un modo di raccontare eccezionale, credo impossibile da imitare.
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Vorremmo chiudere con una domanda su un'altra tua grande passione: il Teatro. Ti definisci un “DisegnAttore”. Solitamente la similitudine è tra Fumetto e Cinema; esistono secondo te affinità tra Fumetto e Teatro?
Quando recito sono molto estremo, plateale. Nel fumetto sono più contenuto, non arrivo alla smorfia o alla caricatura, per cui qui non ci sono similitudini per me. Tuttavia lo studio del movimento al fotogramma che impari disegnando, nella regia della tavole, è molto importante, così come il concetto di ritmo e tempi; credo che per un fumettista sia più facile e immediato entrare in questi meccanismi.
In Teatro, rispetto al Cinema, sei sempre in diretta. In sostanza, non esiste il concetto di inquadratura, è solo una questione di tempi - come dicevo prima - e di intesa tra gli attori. Non puoi sbagliare o dimenticare una battuta, non si cancella e si rigira o ridisegna la scena. Se capita l’errore devi sapere esser pronto e abile a metterci una pezza, e questo viene solo con l'esperienza, anche se i più fortunati l’hanno già nel loro DNA.