Incontro con Nicolas Winding Refn, il tranquillo amante della violenza

Subito dopo Cannes Nicolas Winding Refn è Roma: lo abbiamo incontrato per parlare dell’accoglienza di Solo Dio Perdona al festival e del suo odio per l’autorità...

Critico e giornalista cinematografico


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E’ tranquillo, ben vestito, con occhiali da nerd, risposte pronte e decise ma sempre calme, eppure Nicolas Winding Refn coltiva un odio per l’autorità e definisce il buon gusto come “il nemico della creatività”.

Arrivato a Roma per il suo nuovo film da poco passato a Cannes, Solo Dio perdona, Refn si presenta come due anni fa, quando portò Drive, vestito quasi alla stessa maniera e con quasi le medesime risposte, bisogna scavare un po’ per sentirsi dire qualcosa di nuovo.

Eppure il danese appare come uno dei registi più competenti sulla propria opera e più interessati a discutere i meccanismi dietro la genesi dei propri film.

C’è ad ogni modo una sottile componente di furbizia nelle sue risposte quiete. Non accondiscende mai ma sembra rispondere quello che vogliamo sentire, come quando sostiene di amare tutti i cineasti “gli italiani e gli asiatici, da Ozu a Kurosawa ma non ricordo mai bene i nomi”. La sensazione è che dietro l’aria da nerd spaurito ci sia una personalità decisa, ferma e per nulla impaurita. Quello che è chiaro invece, perchè lo ripete da anni, è che un appassionato dell’iperrealismo degli spaghetti western, che però, a differenza di Tarantino, non vorrebbe mai realizzare perchè “non sono italiano e non posso andare in Spagna a girare. Infatti sono andato in Thailandia”.

L’unico film che consiglia e su cui si sbilancia è Le lacrime della tigre nera, thai western iperpittorico del 2000.

La sua vera passione però è la violenza anche se, a detta sua, gli interesserebbe di più fare film sulle donne:

Non mi piacciono gli uomini nè mi piace fare le cose da uomo, non vado negli stripbar, non gioco a poker e non bevo birra. Amo le donne, mi piace tutto di loro ma poi faccio film su uomini con atteggiamenti violenti. Non so perchè. Credo che sostanzialmente quel che sogno sia un film sulle donne e un giorno credo che lo farò, per il momento mi diverto con le figure maschili.

Solo Dio perdona finisce con una dedica a Jodorowsky e a Cannes è passato anche un documentario, Jodorowsky’s Dune, con una sua testimonianza in cui si capisce che è in rapporti stretti con il regista messicano. Cosa c’è di quel cinema nel suo?

Jodorowsky assieme a Godard, Dreyer o Kenneth Anger è uno dei cineasti più influenti tra quelli che non vengono mai citati o a cui questo non viene riconosciuto. Io in particolare ho un rapporto maniacale con il suo cinema perchè negli anni ‘90 i film si vedevano su VHS, specie quelli più strani, e le cassette di Jodorowsky erano introvabili. Tanto tanto El Topo, che si poteva rimediare da qualche amico americano, ma La montagna sacra era un miraggio. Sono cresciuto quindi con questo mito di un cinema diverso da tutti gli altri dirompente che spacca tutto, e quando poi li ho visti quei film ho capito che quello era il punk rock, ciò che volevo fare, e tuttora credo che questo sia il modo vero in cui vadano fatti i film.

In Solo Dio perdona ho replicato la struttura dei film di Jodorowsky, non lineare e indipendente da una trama. E’ come entrare nella testa di qualcuno e vedere delle immagini, se non le vedi tutte non riesci a comprendere il disegno più grande.

Solo Dio perdona non somiglia per nulla a Drive, da dove è venuta l’idea?

La prima cosa che mi è venuta in mente nel pensare il film è stata l’immagine di un uomo che guarda le proprie mani chiuse a pugno davanti a sè, non sapevo cosa significasse ma credevo che potesse essere una bella immagine che abbia a che vedere con la violenza. Sono abbastanza ossessionato dalle mani, penso che l’essenza violenta venga da lì. Se ad un uomo levi le mani non è più pericoloso e il suo istinto violento cessa di battere. Le mani sono come un prolungamento del sesso maschile e tagliarle è come una castrazione.

Unendo queste due componenti credo che l’instinto fondamentale di ogni uomo, cioè tornare nel ventre materno, sia ben rappresentato dalla scena tra Gosling e Kirstin Scott Thomas che coinvolge le mani.

Ad ogni modo a Cannes il film non è stato accolto bene.

Quando ho visto la violenza della reazione estrema tra amore e odio che il film aveva suscitato, per la prima volta ho sentito di aver fatto la cosa giusta. L'arte è l'espressione delle emozioni e il cinema è un arte in lotta perchè è lucrativa. La maniera migliore di fare soldi è quindi essere sicuro che lo spettatore sia passivo, perchè la passività non coinvolge e quindi consente di consumare di più e più velocemente, evitando la partecipazione. Io penso che spesso il cinema debba essere contro tutto ciò e per esserlo devi penetrare lo spettatore e scioccarlo, lo devi colpire con violenza con la tua arte e penetrarlo in modo che il film stia con lui a lungo. Anche un odio feroce è importante, perchè non ti lascerà.

Quindi anche il prossimo progetto sarà così?

Non lo so, io mi ritengo fortunato perchè ho sempre avuto libertà creativa. Ogni volta che vado vicino a fare un film con uno studio americano mi tiro indietro perchè avrei più soldi ma non voglio perde la libertà creativa, non ne vale la pena, almeno per ora. Sono sicuro che poi un giorno mi arriverà una proposta per la quale sarò pronto a sacrificarla.

Ma la libertà creativa è anche qualcosa che ti prendi. Devi essere molto forte perchè la gente cerca di influenzarti o cambiarti o farti fare quel che vogliono. Avere la libertà creativa è come andare in guerra.

Il prossimo progetto sarà Barbarella, la serie tv e poi davvero davvero davvero vorrei fare un horror. O una commedia.

 

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