In Space We Brawl: l'intervista con Alessandro Mazzega, di Forge Reply
BadGames.it incontra Alessandro Mazzega, di Forge Reply, per un'intervista su In Space We Brawl e sul team di sviluppo italiano
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
BadGames: Quando e come è nata Forge Reply?
BG: In Space We Brawl rappresenta l’esordio di Forge Reply nel mondo delle console. Quali difficoltà avete incontrato, dopo tanti progetti per iOS e Android? Perché avete deciso che questo gioco avrebbe dovuto vedere la luce su PlayStation 3 e PlayStation 4?
[caption id="attachment_136856" align="aligncenter" width="600"] I ragazzi di Forge Reply dietro In Space We Brawl[/caption]
BG: Dove nasce il concept del gioco? Come vi è venuto in mente, nel 2014, nell’era di internet, di creare un gioco multiplayer esclusivamente in locale?
AM: Nell’ultimo anno ci sono stati svariati esempi di titoli dedicati al multiplayer locale che hanno avuto successo, due dei quali proprio su piattaforme PlayStation: TowerFall Ascension e SportsFriends. Abbiamo quindi pensato di seguirne le tracce, mantenendo le dimensioni contenute del progetto e focalizzandoci su aspetti quali la personalizzazione e la profondità del sistema di combattimento. Il concept è nato in una maniera abbastanza peculiare: due membri del team erano su un volo aereo in procinto di decollare e uno dei due ha paura di volare. Ne è quindi nata una sessione di brainstorming spontanea, in modo da non pensare al volo trovando un argomento al quale dedicare attenzione ed energie. Prendendo appunti e facendo schemi e disegni su un tovagliolo, l’idea che avrebbe portato a In Space We Brawl ha preso vita, unendo quindi feature quali i controlli twin stick, la possibilità di configurare il proprio mezzo e le varie mappe nel quale ambientare gli scontri.
BG: Quali sono, se ce ne sono, i videogiochi o altre opere artistiche che hanno ispirato la creazione di In Space We Brawl?
AM: Sicuramente TowerFall, per il suo gameplay semplice e profondo, che trae il massimo vantaggio dall’avere quattro giocatori seduti sullo stesso divano. È stato un titolo che ha riacceso in noi l’interesse per la competizione diretta, quella in cui ci si lascia andare a urla, schiamazzi e gesti che poco hanno a che fare con il fairplay. Guardando indietro, ci sono una moltitudine di titoli arcade del passato che hanno lasciato un segno nella nostra infanzia di videogiocatori, partendo da Asteroids fino ad arrivare agli ultimi esponenti di un genere, quello degli shoot ’em ‘up, che purtroppo non è più fortemente rappresentato.
BG: Qual è la feature di In Space We Brawl di cui andare più fieri?
AM: Sicuramente la configurabilità dei mezzi. Avendo a disposizione 11 astronavi e 11 armi, abbiamo speso tantissimo tempo a bilanciare le oltre cento combinazioni possibili. Il bilanciamento, a dire il vero, è attualmente ancora in corso, in quanto monitoriamo giornalmente le partite degli utenti, grazie ad uno strumento di tracciamento, e possiamo intervenire in tempo reale su moltissimi parametri del gioco, quali le statistiche delle astronavi o il danno provocato dalle varie tipologie di proiettili. Tali dati sono salvati sui server di Sony e in questo modo possiamo intervenire senza dover pubblicare alcuna patch, in quanto ad ogni avvio il gioco scarica la versione più recente del file di configurazione.
[caption id="attachment_136599" align="aligncenter" width="600"] In Space We Brawl - screenshot[/caption]
BG: Sono previsti porting anche per altre piattaforme? La prima console che ci viene in mente è Wii U: vendite scarse, ma più di ogni altro produttore hardware, Nintendo ha da sempre spinto sul tipo di esperienza multiplayer di cui In Space We Brawl si fa portatore.
AM: Il gioco è un’esclusiva temporale per PlayStation 4 e PlayStation 3, ma stiamo già pensando sia all’aggiunta di nuovi contenuti, come astronavi ed armi inedite, sia al porting su altre piattaforme. Non possiamo ancora confermare nulla, ma Wii U è esattamente una delle piattaforme che abbiamo in mente, proprio perché Nintendo ha sempre proposto titoli nei quali la componente multiplayer locale era predominante. Speriamo di poter svelare i nostri piani molto presto, quindi tenete d’occhio il sito ufficiale e il dev blog.
BG: A proposito del sito internet: visitandolo ci si imbatte in un divertentissimo video in cui fate testare il vostro prodotto, improvvisando postazioni di gioco in alcune piazze d’Italia e invitando i passanti a giocare. Iniziative come queste vi sono servite per ricevere feedback e adattare il gameplay anche a chi, magari, non è solito intrattenersi con i videogiochi?
AM: Sì, assolutamente! Il gioco è cambiato molto dopo le varie sessioni di quello che noi chiamiamo Street Playtesting e siamo in costante discussione tra i membri del team su come migliorare l’esperienza di gioco. Quegli eventi sono sempre stati molto spontanei, aperti ma a loro modo inusuali, quindi hanno attirato la curiosità di tantissime persone diverse: dal classico videogiocatore al ragazzino molto giovane, fino ad arrivare ad adulti e persone di tutte le età. Siamo quindi intervenuti sui controlli, rendendoli più fluidi, e soprattutto sulla grafica e sui feedback visivi, per esempio aggiungendo una piccola freccia davanti alla bocca di fuoco della propria arma in modo da avere sempre sott’occhio la direzione in cui si sta mirando. Tali interventi hanno sicuramente reso l’azione più leggibile, aspetto fondamentale in un titolo inizialmente così caotico ma profondo come In Space We Brawl.
BG: Qual è stato l’elemento di gameplay più difficile da affinare nel corso dello sviluppo?
AM: In termini di puro gameplay, il feedback di guida delle varie astronavi e di sparo delle armi. Inizialmente i mezzi erano più simili tra loro mentre ora sono molto diversi, non solo grazie a velocità differenti ma proprio in termini di guida pura: alcuni si muovono con effetti peculiari come un moto ondulatorio o a scatti casuali. Sempre per rimanere nell’ambito dei controlli, anche lo spazio e il tempo necessario a cambiare rotta è stato adattato in modo da rendere tutte le navi più dinamiche, facendo comunque percepire il peso e la massa di quelle più corazzate. Le armi hanno subito lo stesso trattamento e abbiamo aggiunto moltissimi feedback visivi, in modo da rendere, per esempio, il Mass Driver, il nostro fucile da cecchino, un piacere da utilizzare, permettendo spettacolari kill dalla lunga distanza. Lo stesso si può dire del Tesla Spike, un’arma che utilizza scosse elettriche per rubare energia agli avversari.
[caption id="attachment_136601" align="aligncenter" width="600"] In Space We Brawl - screenshot[/caption]
BG: Un po’ ovunque, nel mondo e in Europa, i governi iniziano a rendersi conto che investire nell’industria videoludica è vantaggioso, crea occupazione e fa girare l’economia. In Italia, al momento, non si percepisce la stessa attenzione. Avete ricevuto aiuti statali? La legislazione e la burocrazia italiana rendono più difficoltosa la sopravvivenza di un piccolo, ma coraggioso team come il vostro?
AM: Sì, noi come altri studi in Italia abbiamo partecipato ad alcune fiere internazionali grazie ad un supporto economico fornito dall’Istituto per il Commercio Estero (ICE) con la supervisione di AESVI, l’associazione che riunisce sviluppatori e publisher di videogiochi italiani. AESVI ci sta dando un grande aiuto, non solo supportando iniziative come queste ma anche cercando di sensibilizzare le istituzioni verso l’attività di sviluppo di videogiochi. L’obiettivo è quello di far crescere l’industria italiana stessa non solo da un punto di vista prettamente commerciale, ma anche di riuscire finalmente ad emergere per quanto riguarda la produzione. La nascita, evoluzione e conferma di un evento come Games Week, con la sua sezione dedicata agli sviluppatori IGDS, è sicuramente un segnale importante.
BG: Quale consiglio ti sentiresti di dare a tutti coloro che sognano di vivere creando videogiochi?
AM: Rispetto a qualche anno fa esistono molti più strumenti che permettono di semplificare il processo di sviluppo di un videogioco ed engine come Unity sono diventati discretamente semplici da utilizzare e non particolarmente costosi. Il mercato mobile ha poi abbassato le barriere e virtualmente chiunque può pubblicare un gioco su dispositivi quali smartphone e tablet. Anche le console sono ora più accessibili quindi sembra essere il momento migliore per provare a sviluppare un videogioco. D’altro canto, la produzione media è cresciuta moltissimo, quindi è diventato difficile emergere, farsi notare. In ogni caso, il consiglio per iniziare è partecipare alle jam, sperimentare, provare a produrre prototipi mettendo a frutto le proprie idee, magari fondando un team indipendente e mettendo insieme le forze con un obiettivo comune. In questo modo è possibile muovere i primi passi e confrontarsi direttamente con le sfide poste dallo sviluppo.
BG: Quali sono i prossimi obbiettivi che si pone Forge Reply? Riutilizzerete uno dei vostri brand, magari quello di Lone Wolf, o punterete su una nuova IP?
AM: Abbiamo parecchie idee interessanti per il prossimo anno ma non possiamo ancora annunciare nulla di preciso. Continuate a seguirci perché il 2015 sarà un anno molto importante per noi!