Il ragazzo dai pantaloni rosa supera i 3 milioni di euro: la scommessa vinta di Roberto Proia
L'anno scorso il produttore si sbilanciò sulle pagine di Badtaste: "Se non farà 3 milioni avrò fallito". Un traguardo raggiunto in due settimane
C'è molto da festeggiare in Eagle Pictures in questo lunedì mattina di metà novembre: i primi due film nella classifica del weekend sono infatti distribuiti dalla compagnia di Tarak Ben Ammar.
Iniziammo a parlare di questo progetto un anno fa, quando Francesco Alò intervistò il suo sceneggiatore e produttore Roberto Proia (che è anche Executive Director Theatrical Distibution and Productions in Eagle), che sulle nostre pagine si sbilanciò, dichiarando "Se non farà 3 milioni avrò fallito". All'epoca le riprese non erano ancora iniziate, e quella dichiarazione fu presa come un azzardo. Nei mesi successivi il film è stato girato, le prime clip sono state presentate al Giffoni Film Festival, successivamente è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma dove ha fatto molto parlare di sè. Infine, nei tre giorni precedenti l'uscita in tutta Italia si sono svolte delle anteprime per le scuole.
Fammi capire una cosa: come fate a prevedere che incassi farà il vostro film?
Prevedere un successo al botteghino è il gioco che facciamo da quando abbiamo messo piede in questo ambiente. Per alcuni di noi anche da molto prima. È difficile ma ci sono vari indicatori che ti aiutano. Quello che ultimamente è stato riscoperto è il mitico passaparola, ovvero quando i tuoi spettatori si fanno inconsapevoli ambasciatori del tuo film e lo portano avanti per settimane. È successo per C'è ancora domani e sta succedendo per Il ragazzo dai pantaloni rosa.
Ma come ha fatto il film a intercettare il pubblico di mamme, papà e figli?
Perché ci sono dei genitori che hanno capito che, oltre a intrattenere, il film si fa portatore di un messaggio importante. Quel tipo di genitore porta i figli al cinema la domenica per poi intavolare una chiacchierata, una discussione su questi temi. Una persona che lavora nella nostra industria mi ha detto che suo figlio di 11 anni gli ha chiesto di andare a vederlo insieme, e si è anche dipinto il ciuffo di capelli di rosa per andare a scuola. Cioè, voleva andare a vedere proprio quel film...
Domenica scorsa è perfino finito in testa alla classifica.
Eh sì, esatto. Si è comportato appunto come un family. O meglio, anche come un family altrimenti non farebbe i dati infrasettimanali che sta facendo e che solo per il 5-8% sono condizionati dalle mattinate delle scuole. Prende tutti: dai 10 agli 85 anni. È la sua grande forza.
Come ha fatto Il ragazzo dai pantaloni rosa a generare questo passaparola nel pubblico così giovane?
Io credo che sia dovuto all’approccio che già c’è stato in fase di scrittura. Il film non è giudicante, non vuole mettere al rogo il bullo, ma si propone di fare una fotografia di ciò che avvenne e con delicatezza fare un passo indietro e lasciare che tutti possano trarre le loro conclusioni. Forse il fatto che il film non voglia fare la lezioncina a nessuno è stato particolarmente apprezzato dai ragazzi. Altro fattore sui ragazzi è il fatto che abbiamo organizzato le anteprime con le scuole, che finora sono state viste da 60 mila studenti. Quindi abbiamo avuto 60 mila ambasciatori del film che lo raccontano, che lo promuovono spontaneamente sui social media in maniera organica. E poi il film piace, è quello che gli americani chiamano crowdpleaser.
Se pensi che qualche mese fa temevi che quei 3 milioni fossero un azzardo...
La giornata di oggi è importante. Quell’affermazone un po' improvvida [ride] di un anno fa si è realizzata e non era affatto scontato con un film atipico come questo. D’altronde ricordiamoci che film italiani che hanno superato i 3 milioni quest’anno sono stati solo 5.
Scelsi io di evidenziare quell'affermazione nel titolo. Conoscevo la tematica del film e conoscevo la tua esperienza passata e la capacità di intercettare un certo tipo di pubblico, e così mi sono detto: se ci lavorano bene con le scuole, potrebbe andare bene anche negli infrasettimanali, non è una cifra da escludere.
Allora complimenti perché Badtaste porta bene. Con i dati che abbiamo oggi, il film chiuderà oltre i 7 milioni... quanto oltre però è difficile prevederlo.
Questa è un'industria fatta di scommesse vinte e perse, questa vittoria può rappresentare una bella opportunità per tutto il cinema italiano. In questo senso, quanto è stato utile secondo te partecipare al Giffoni Film Festival?
Tantissimo, tantissimo. Un po' perché ci ha fatto capire che già solo mostrando tre clip stavamo scoperchiando un vaso di Pandora. E un po' perché, oltre alla reazione dei ragazzi, ci ha colpito quella dei media: alcuni sono venuti al Giffoni solo per il nostro film. Ci ha permesso di capire che avevamo in mano qualcosa di forte su cui puntare. Anche perché quando sei dentro a un progetto per un anno e mezzo fatichi a mantenerti lucido.
Avete fatto dei test screening prima dell'uscita?
Non proprio. Uno è stato involontario: l'ho fatto vedere a dei compratori francesi e lì ho capito che andava ulteriormente tagliato. E quindi io e Tarak Ben Ammar ci siamo messi lì e abbiamo suggerito un taglio di ben 14 minuti dai primi due atti. Ora fila molto meglio. Eravamo convinti che il film fosse pronto, ma non lo era ancora quindi abbiamo riaperto il montaggio.
Che appeal internazionale può avere Il ragazzo dai pantaloni rosa a tuo avviso?
Non esiste un film al mondo che parli di bullismo e cyberbullismo che ha portato un minore a togliersi la vita. Non era mai stato fatto. In alcuni film c'è questo tema, ma nessuno lo ha messo al cuore della storia. E la piaga del bullismo e cyberbullismo è gigantesca. Vogliamo assolutamente che il film sbarchi negli Stati Uniti. Non abbiamo ancora venduto i diritti: abbiamo deciso di vedere prima cosa sarebbe successo al botteghino italiano. Ora, forti del successo, cercheremo un venditore che ci segua.
Arisa: l'idea di coinvolgerla è stata tua?
Sì. Era una mia conoscente, e con questo film siamo diventati ancora più amici. Le dissi se voleva leggere la sceneggiatura, e lei aveva già un pezzo pronto che ha deciso di donarci. Era un brano scritto nel 2012, l'anno della morte di Andrea. Io quando l'ho sentito non credevo alle mie orecchie. Lei mi ha detto: se vuoi cambiamo il titolo, cambiamo il testo. E io le ho detto: no, no, è perfetto così. Arrangiamolo un minimo, aggiungiamo degli archi e poi andiamo avanti. E così è nata un brano che è quasi un manifesto del film.
Un'ultima domanda. In queste settimane pesa molto il confronto con gli incassi di C'è ancora domani. Ma trovo interessante il fatto che ci sia una certa diversificazione tra Parthenope, Berlinguer e poi questo film.
Il cinema italiano gode di ottima salute al momento. PANTALONI sta dando il suo contributo.
Beh, gode di ottima salute nel senso che rispetto a un Parthenope, a un Berlinguer... il vostro film è la vera novità, secondo me. È un prodotto che non viene fatto abbastanza in Italia.
Diciamo che Berlinguer e Sorrentino sono dei "brand", mentre il nostro film è più un underdog. E va benissimo. È importante che questi tre film siano piaciuti e abbiano riavvicinato il pubblico al cinema italiano. Nel nostro caso addirittura portandoci i bambini. Quindi meglio di così... Insomma, l'importante è che la gente vada al cinema a vedere i film italiani. E quindi il de profundis del cinema italiano mi sentirei di rimandarlo. Dobbiamo imparare che bisogna dare al pubblico un motivo per darti questi nove euro. E io ho notato che il prodotto a sfondo sociale può essere un'opportunità: Mio fratello rincorre i dinosauri, It Ends With Us - Siamo noi a dire basta, C'è ancora domani... Non dobbiamo ignorare mai quello che ci sta dicendo il pubblico.