Il Nome Della Rosa e lo strano ruolo di John Turturro: "Ero l'avvocato di Eco". Le nostre interviste al cast

Il nostro incontro con Giacomo Battiato, Greta Scarano, Fabrizio Bentivoglio e John Turturro per Il Nome della Rosa

Critico e giornalista cinematografico


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Se c’è una cosa che evidentemente ha caratterizzato la lavorazione di Il Nome Della Rosa è stata la preparazione di John Turturro. Non conosceva il romanzo, né aveva visto il film, ma quando gli è stato proposto il ruolo l’ha letto (prima di accettare), l’ha riletto e l’ha riletto ancora, ha voluto vedere la sceneggiatura (sempre prima di accettare), ha cominciato a discutere le discrepanze e a contrattare un suo lavoro sulla stessa sceneggiatura (e ancora non aveva accettato). Dopo aver messo mano a due episodi, dopo aver preso diverse lezioni di dizione per l’accento britannico di Guglielmo da Baskerville alla fine ha firmato.

È stato un processo inusuale e strano, che ha portato su un set un attore con una preparazione non comune sul testo di partenza e la capacità e il ruolo per influire sulla sceneggiatura. È che semplicemente John Turturro è diventato un maniaco di Il Nome Della Rosa, se n’è appassionato in maniera talmente genuina da averlo poi riletto ancora e ancora: “Di certo siamo nel campo a due cifre” dice scherzando al riguardo e sembra di capire che non sia lontano dalla realtà.

Io non avevo mai visto un attore protagonista di una serie tv avere anche il credit come sceneggiatore….

“Io ho scritto tante cose in vita mia senza risultare come sceneggiatore, ho fatto il ghost writer di diversi progetti cui ho partecipato come ad esempio la miniserie The Bronx Is Burning. Qui invece ho chiesto di averlo perché sono stato l’avvocato di Umberto Eco”.

In che senso?

“Sai spesso quando si fa un adattamento si prende la trama e si butta via l’autore. Io invece fin dalle prime stesure ho chiesto che fossimo molto più aderenti al libro.

Nelle prime bozze Guglielmo da Baskerville era un superuomo, invece nel libro era pieno di nuances, aveva la gioia e il dolore della scoperta oltre alle contraddizioni di un uomo di azione e pensiero, di fede e scienza, uno che ha torturato e ha rinunciato a torturare, uno che ha avuto esperienze passate al di là dell’essere un frate, uno che parla di lussuria!

Alla fine avevo una confidenza tale che sapevo subito se una battuta non era stata scritta da Eco e per me volevo solo le parole sue o di San Francesco”.

Ma quindi sei stato nella writer’s room?

“No. Non ho mai parlato con gli sceneggiatori, nessuna interazione. Ho parlato con Giacomo Battiato [il regista ndr] e gli ho detto che questa cosa la potevano fare loro o la potevamo fare noi e lui è stato d’accordo nel farla insieme. Sia chiaro, non ho scritto nemmeno una parola, ho solo fatto in modo che i personaggi fossero più vicini al libro. Ma non solo Guglielmo, anche molti dei personaggi che gli stanno intorno ho cercato di fare in modo che avessero le nuances del libro. E ho messo un po’ di bocca nel casting. Ad esempio Michael Emerson era un attore che avevo suggerito io, perché l’abate è un vero giocatore di scacchi e visto che, seguendo il libro, Guglielmo avrebbe anche dovuto perdere contro di lui, cosa che lo rende un vero grande personaggio, allora serviva un attore come lui”.

Eri l’unico ad avere questa propensione?

“No anche Damian [Hardung, l’attore che interpreta l’apprendista Adso ndr] era un maniaco del testo originale, spesso ci consultavamo per capire se certe cose filassero, fossero in linea con quel che accade nel libro o avessero anche solo il tono giusto. Gli ho anche dato molte mie battute, perché faceva bene alle scene ed era più semplice recitare con un po’ di botta e risposta invece di lunghi monologhi.

Il punto è che io non volevo che questa mini-serie fosse facile per il pubblico, perché dovrebbe esserlo? Un’amicizia funziona quando qualcuno ti affascina e ti sorprende di continuo.

Certo non deve per forza essere sempre così, ad esempio in The Night Of nessuno ha mai toccato la sceneggiatura, ma lì non c’era un libro dietro”.

Ti sei sentito come Roger Moore a prendere i panni di Connery?

“No perché non avevo visto il film prima e non l’ho visto dopo. Quindi non era un problema”.

Ma ora lo vedrai?

“No, perché dovrei? Prima non pensavo mi aiutasse e ora non ci sono ragioni. È come con mia moglie, ha avuto altri uomini prima di me ma non mi riguarda, perché dovrei interessarmene?

Forse un giorno mi ubriacherò e lo guarderò ma davvero non so perché dovrei farlo. Poi ora che conosco così bene il libro davvero non sarebbe soddisfacente”.

Sei cattolico ma hai avuto un’educazione cattolica?

“No l’ho scampata. Mi ha sempre messo paura il mondo della Chiesa Cattolica da piccolo. Non mi sono mai sentito a mio agio con un uomo in una cabina, mi faceva paura, c’è una parete bucherellata che ti scherma e devi confessarti.... Però mi affascina.

Ad oggi non so a che dogmi credo, non so se Cristo fosse il figlio di Dio, di certo era un profeta, un pensatore libero e un rivoluzionario. Oggi lui e San Francesco protesterebbero contro i cambiamenti climatici. Poi com’è nella natura delle persone tutto è trasformato in storie, è la maniera in cui diamo un senso al mondo, quindi o credi a quello o nei narratori”.

Qual è la parte difficile di interpretare Guglielmo da Baskerville?

“È il fatto che per la maggior parte del tempo scopre cose, un tipo di emozione difficile da recitare. Essere arrabbiato o emozionato è più semplice, invece stare sempre in quello stato in cui sei appena stato folgorato da una scoperta o un’intuizione è complicatissimo. Io almeno ci ho provato”.

E non era più complicato bilanciare la parte di detective e quella di filosofo di Guglielmo?

“No perché per quello mi sono rifatto ad Eco, ho cercato di replicare il bilanciamento che lui aveva trovato. Certo c’è molto di Sherlock Holmes e del resto anche Sherlock ha un che di filosofico, almeno nell’incarnazione di Basil Rathbone, ma non ho letto molto di Conan Doyle. Ho preso da Eco anche perché lui era un gigantesco lettore e questa roba l’ha insegnata per 25 anni, la conosceva a menadito.

In generale non mi baso mai su altri film per le mie interpretazioni. Incontro persone e le intervisto, gli faccio leggere delle cose ma non guardo altri film come ispirazione, non mi aiuta proprio. Se devo fare qualcosa la faccio alla mia maniera e magari, se mi dice bene, in questo processo riesco a perdermi. E se succede e ho fatto bene il lavoro più duro (sapere le parole, lavorare sull’accento, conoscere i personaggi…) allora finisco da qualche parte inattesa. Ma la maggior parte delle volte non accade”.

Qui sopra potete vedere la nostra videointervista con Giacomo Battiato, Greta Scarano e Fabrizio Bentivoglio.

Il Nome della Rosa andrà in onda in quattro appuntamenti su Rai 1 a partire da stasera.

I protagonisti sono John Turturro e Rupert Everett, rispettivamente nei ruolo di Guglielmo da Baskerville e dell’inquisitore Bernardo Gui, e nel cast ci saranno anche Michael Emerson Sebastian KochJames CosmoRichard SammelFabrizio BentivoglioGreta ScaranoStefano Fresi e Piotr Adamczyk.

La storia è ambientata nell’Italia del 1327 e segue quello che accade al frate francescano Gugliemo da Baskerville e al novizio benedettino Adso da Melk, parte affidata a Damien Hardung, che indagano su una serie di omicidi avvenuti in un monastero che si trova nelle Alpi.

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