Il Campione, Leonardo D'Agostini e i modelli americani che una volta erano italiani

Il regista di Il Campione ci parla di cosa sia stato più difficile fare e quali fossero i suoi modelli tra Scialla! e Ogni Maledetta Domenica

Critico e giornalista cinematografico


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Leonardo D’Agostini fa il suo esordio nel lungometraggio di finzione con Il Campione. Il film è rigorosissimo e dimostra una grande padronanza di toni diversi e una capacità non comune di mescolare immagini di diverso tipo, da quelle ordinarie del set a quelle composte in computer grafica, fino agli espedienti di montaggio per far sembrare fluido e invisibile il mascheramento delle mancate abilità calcistiche di Andrea Carpenzano, che nella finzione è il campione del titolo.

Soprattutto Il Campione è un film con dei riferimenti più americani che italiani. È evidente ma ce l’ha ricordato lo stesso regista, incontrato assieme ai produttori Sydney Sibilia e Matteo Rovere (che abbiamo intervistato a parte ma che qui ci hanno tenuto a fare un intervento). Nonostante infatti la trama del film possa ricordare Scialla!, il suo svolgimento, i toni e la struttura sono decisamente più vicini a modelli statunitensi: “È semplicemente il cinema che mi piace di più” spiega lo stesso D’Agostinie se devo fare riferimento a qualcosa di certo sarà a quello che voglio guardare”.

La maniera in cui gestisci gli amici del protagonista è molto interessante. Quello è un tronco di storia in cui sembra che il referente sia il cinema di Spike Lee, addirittura lo citi anche con la sua inquadratura-firma, ma poi si capisce che il film va altrove...

LDA: “Guarda, come ti dicevo i miei riferimenti sono quelli, considera che il film che più mi commuove è School of Rock, è così perfetto che riesce sia a raccontarti una storia che a commuoverti. Per me è più facile trovare in quegli esempi ciò che voglio dal mio film. Capisco i paragoni con Scialla! ma io mi sento più vicino a quel cinema là. Non per questo però voglio fare l’esterofilo, so benissimo che questi film, con queste strutture e questi generi li facevamo anche noi. Non ci dovrebbe essere nessun bisogno di cercare modelli all’estero se non avessimo smesso di farli. Parlo del giallo, del western ecc. ecc.”.

Dei modelli americani hai anche una certa attenzione alla tecnica e all’immagine, ad esempio le partite di calcio sono molto ben filmate ed è il punto in cui sarebbero cascati il 99,9% dei registi italiani. I movimenti degli attori-giocatori erano coreografati? È stato difficile dirigerli?

LDA: “Quelle scene le abbiamo girate sul campo del Pisa calcio, una squadra di serie C [poi in post-produzione quel quadrato verde è stato sovraimposto al centro dello stadio Olimpico per far sembrare che si svolgesse tutto lì ndr] e anche i giocatori che vedi con le maglie di Sampdoria o Lazio o anche Roma sono quelli del Pisa. È complicatissimo avere la loro attenzione perché non sei il loro mister, devi ripetergli di continuo le cose, sono indisciplinati e non ti identificano come una figura autoritaria. Non prendono il film come una cosa seria, e li capisco, il loro lavoro è un altro”.

Come hai fatto allora?

LDA: “La soluzione è stata parlare con l’allenatore e farli riprendere da lui, che loro vedono come l’autorità. Quando le cose gliele dice lui diventano di colpo efficientissimi. Solo che per loro non è facile, li devi tenere a fare 100 volte la stessa cosa e loro non hanno ben chiaro il perché, cioè non sanno che magari hai cambiato una lente, ti serve un’altra angolatura… Sono proprio dinamiche che appartengono ad un altro lavoro, quello dell’attore. Magari gli devo correggere di poco la posizione perché ho cambiato inquadratura e di nuovo dobbiamo ripetere tutta la coreografia, che poi riescono a fare benissimo, sempre uguale e perfetta!

Qual è la scena più complicata in assoluto di questo film?

LDA: “Ti direi la scena 60, la partita di calcio in cui il protagonista segna e tutto va bene. È la più lunga e dura quasi 4 minuti
MATTEO ROVERE: “Per me è un’altra
LDA: “Già lo so quale dici….
MR: “Quella a casa di Alessia attorno al tavolo
SYDNEY SIBILIA: “Lo sapevo! E lì c’ero quando l’avete girata, mi ricordo!!
MR: “È molto molto emotiva e complicata e abbiamo lavorato tanto per montarla come si deve, per tirare fuori qualcosa di davvero emotivo
LDA: “Stavo per dirlo pure io, era quella con cui ero indeciso…
MR: “Non dimenticare la scena con il tiro della Fiorentina... È una controfigura quella che tira al posto di Carpenzano [in quel momento di spalle, si vede anche nel trailer ndr] e quell’uno-due l’avranno fatto un milione di volte”.
LDA: “Il pallone non è una scienza esatta, lo inquadriamo da dietro che tira e segna ma il pallone non fa sempre la stessa traiettoria e invece a me ne serve una precisa. Quello era uno dei motivi che rendeva complicato girare il calcio. Ma pure il cross del goal di testa, c’era un tizio di Bari che gioca nel Pisa che per 20 ciak diversi ogni volta l’ha messa all’altezza giusta, lo stesso è complicato che tutti gli altri movimenti di tutta la squadra vengano bene e che l’attaccante la prenda come serve a me”.
SS: “La mia preferita invece è la partita contro il Sassuolo, quella sotto la pioggia, perché quando me la fece vedere sugli storyboard dissi che non si poteva fare, e invece ce l’ha fatta. È un suo grande merito che sia venuta meglio di come l’aveva spiegata. Certo c’è da dire che lui davvero non sa spiegare le scene…

Ti sei riguardato la trilogia di film Goal? Nel secondo c’è una partita sotto la pioggia che è ottima…

LDA: “Pensavo più a quella sotto la pioggia di Ogni Maledetta Domenica. Per il calcio ho più come riferimento Il Maledetto United, il miglior film degli ultimi anni, anche se di calcio ce n’è pochissimo”.

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