Howard: arriva su Disney+ la storia dell'artista che molti ignorano pur conoscendo a memoria le sue canzoni
Howard Ashman è stata una leggenda della Disney: ne abbiamo parlato con Don Han autore del documentario in arrivo il 7 agosto su Disney+
Basterebbero queste poche parole di Don Hahn presenti nei materiali stampa di Howard - La Vita, le parole per riassumere e introdurre la figura di Howard Ashman a chi, magari, non ha mai sentito il suo nome. Pur conoscendo a menadito ciò per cui ha ricevuto ben due premi Oscar (di cui uno postumo)
Inserito nel 2001 del pantheon delle Disney Legends, la Hall of Fame degli artisti che, con il loro genio, hanno contribuito a rendere la Disney quello che è, Howard Ashman è stato un gigante fra i giganti in attività alla Casa di Topolino. Un gigante che, purtroppo, se n'è andato troppo presto per colpa dell'AIDS, a marzo del 1991. Lo stesso anno che ci avrebbe privato di un altro gigante dell'arte come Freddie Mercury che, proprio come Ashman, ha sempre messo gli obblighi verso l'arte e verso il pubblico anche davanti alla sua stessa salute.
Ed è proprio con lui che abbiamo potuto parlare di questo indimenticabile artista che ha contribuito sia alla rinascita di uno studio che pareva aver perso da un po' il proprio smalto nonché a plasmare l'infanzia di tante persone.
C'è una cosa che ho particolarmente apprezzato di Howard, ovvero il modo in cui è strutturato. Ci sono un sacco di voice over su immagini statiche che mi hanno toccato molto dal punto vista emotivo perché finivo per essere concentrato al 100% su quello che veniva raccontato. È stata una scelta fatta proprio per ottenere questo effetto?
Assolutamente sì e, anzi, grazie per aver citato questa cosa. La mia intenzione era quella di trasportare lo spettatore indietro nel tempo, negli anni ottanta, nei novanta e far sì che le persone si sedessero davvero allo stesso tavolo dove si trovava Howard. Far sì che si trovassero nella medesima stanza con lui. Fondamentalmente perché Howard era un grandioso storyteller e lasciare che fosse lui a narrare la sua storia, avrebbe avuto un effetto più incisivo. Quello che poi di sicuro non volevo avere era un gruppo di persone in là con gli anni che ricordavano cose davanti alla macchina da presa perché poi ci sarebbe stato quest'effetto in stile “Casa di Riposo”. Questo è un altro tipo di documentario. Volevo usare interviste, vecchi video di repertorio pieni di graffi, tutto quello che potevo trovare per far sì che Howard narrasse la sua storia. La qualità stessa dei video che ho usato, talvolta molto bassa, viene giustificata dal pubblico perché viene trasportata dalle parole, o almeno questo è quello che spero. Lo spettatore lascia che sia Howard a parlare, a insegnare e si ritrova a ridere o a piangere con lui. Era questo il mio obbiettivo, più che parlare con qualche esperto di Broadway o piazzare dei contributi in alta definizione in cui qualcuno come me o altri che hanno lavorato con lui se ne sta a parlare ripreso da una videocamera. Non volevo che si parlasse di Howard dal 2020. Non era quello che m'interessava.
Quando penso al CV di Howard, a prescindere dal fatto che vestì i panni di Aladino da ragazzino, non mi viene automatico di pensare a un percorso che avrebbe potuto portare in Disney. Cioè è quello che ha lavorato sulla satira politica di Kurt Vonnegut, è quello che ha tirato fuori dal cilindro un musical sensazionale da un film di Roger Corman. Una roba che metto del tutto agli antipodi rispetto alla Disney. Perché secondo te il “matrimonio” fra Howard Ashman e la Disney era però in qualche modo scritto nelle stelle?
Penso che tu abbia perfettamente ragione. A lui interessava la satira e cose non proprio disneyane, ma amava tantissimo i film Disney e le fiabe. Quindi, per dire, portò l'idea di Aladdin allo studio perché lo amava. Credo fosse attratto più dalle storie che dalla Disney intesa come compagnia in sé. Jeffrey Katzenberg, che all'epoca era allo studio con lui, fu bravissimo nel permettergli di cementare questo percorso in cui poteva scrivere le parole delle canzoni, contribuire all'animazione... Howard, che arrivava da un cocente fallimento a Broadway, ebbe la possibilità effettiva di poter capire cosa avrebbe fatto, ovvero sia quello che amava fare, negli anni a venire. E noi siamo stati i beneficiari di tutto questo. Howard non dimostrò alcuna arroganza. Lavorava insieme a noi, era con noi alle riunioni, collaborava con tutti. E lo faceva non per via della targa Disney che stava sulla porta dell'ufficio, ma perché amava le persone che stavano al suo interno. L'avere la possibilità di lavorare con delle persone che erano ansiose e affamate delle sue creazioni, della sua conoscenza e della stessa idea di collaborare con un artista come lui. A quel punto della sua vita non poteva esserci benvenuto migliore.
Devo essere onesto. Quando ero un bambino e mi divertivo guardando La Sirenetta, La Bella e la Bestia o Aladdin, non ero per nulla consapevole della battaglia che Howard stava vivendo a livello personale.
Chiaro.
Crescendo, ho iniziato a studiare la sua carriera e la sua vita e mi sono spesso ritrovato a fare un parallelo con un artista come Freddie Mercury, scomparso anche lui per colpa dell'AIDS nel 1991, un altro genio che, proprio come Howard, fino all'ultimo ha messo i propri obblighi verso l'arte e il pubblico anche di fronte alla propria salute. Mi rendo conto che può quasi essere una domanda ai limiti dell'assurdo, ma possiamo dire che le sue creazioni sono così belle, toccanti e struggenti anche perché sono state il mezzo con cui, magari a livello inconscio, stava affrontando la sua situazione?
È una domanda bellissima e, in tutta onestà, credo che non lo sapremo mai. Osservando la cosa a 30 anni di distanza, c'è la sensazione che possa aver utilizzato tutto questo come una sorta di fuga dalla realtà di quello che stava succedendo nella sua vita. Ma anche per esprimere la realtà stessa della sua vita. Se pensi ai grandi pittori, artisti in generale, i musicisti, e in tal senso hai fatto un ottimo esempio citando Freddie Mercury, hanno tutti dovuto fare i conti con la sofferenza, come ogni persona su questa Terra d'altronde. Ognuno di noi poi lo esprime a suo modo. Howard Ashman lo esprimeva tramite quel mezzo, il teatro musicale, che destreggiava meglio di qualsiasi altro. Ergo, penso sia palese che mettesse la sua vita in quello che faceva a teatro. Ma era anche bravissimo a far sì che la sua vita si fermasse fuori dalla porta del suo lavoro perché per lui era fondamentale mettersi al servizio della storia che voleva raccontare. Poteva essere Aladdin, La piccola Bottega degli Orrori, qualsiasi cosa. Non voleva inserirsi nei suoi lavori a livello conscio, in maniera autobiografica per così dire. Se riosservo i suoi lavori dopo aver lavorato con lui al tempo, e penso che per te ora da adulto possa essere lo stesso, si riesce a osservare in maniera più distinta la complessità dei suoi lavori. Ricordo benissimo questa seduta di registrazione per La bella e la Bestia per il brano “Something There”, Howard aveva perso la voce e noi, dalla sala registrazione, tenevamo aperto il telefono con la cornetta sollevata affinché lui potesse ascoltare e, quando sentivamo cosa aveva da dire, ci diceva “un po' più forte, un po' più forte!”. Anche se stava male a letto, lui era lì a darci delle indicazioni su quello che dovevamo fare. Per lui il lavoro era importantissimo e lo aiutava a distanziarsi un po' dalla malattia dedicandosi a esso. E noi siamo stati incredibilmente fortunati a essere i beneficiari di questa collaborazione.
Ultima domanda. Collegata a un tuo vecchio film. Nell'attesa, si spera, di poter visitare un giorno Galaxy's Edge, le mie due ride preferite di Disneyland sono la Tower of Terror e il Phantom Manor. Visto che in passato hai prodotto il live action di La Casa dei Fantasmi, ti piacerebbe, un giorno, produrre un nuovo lungometraggio basato, magari, proprio sulla versione francese della ride che ha una backstory più articolata rispetto all'originale americana?
Assolutamente sì. Sai, la cosa grandiosa di Walt Disney e delle attrazioni situate nei parchi che portano il suo nome, è che si basa davvero tutto sul concetto di storytelling. I parchi a tema, le montagne russe, prese come elementi a sé stanti, non erano delle novità. La geniale intuizione di Walt Disney è stata quella di donare una storia a queste attrazioni. Anche il concept stesso di una Casa dei Fantasmi non è un’idea nuova, ma il dare una storia a Master Gracey e tutta la vicenda alle spalle di una ride, finisce per rendere davvero speciale quella che, altrimenti, finirebbe per essere una normale attrazione. Ed è questo il motivo per cui sia tu che io amiamo qualcosa come il Phantom Manor, La casa dei Fantasmi o come preferiamo chiamarla. Ed è esattamente la stessa ragione per cui risultano decisamente attraenti anche per i filmmaker. Non è un caso che ci siano così tanti film ispirati alle ride, pensa anche solo a Jungle Cruise in uscita il prossimo anno. Sono elementi narrativi già pronti da sfruttare, che stanno nei parchi Disney in attesa che qualcuno li trasformi in film. Quindi, riassumendo, sì, Qualsiasi filmmaker amerebbe mettere le proprie mani su storie come queste.
Diretto da Don Hahn (La Bella e la Bestia), Howard: la vita, le parole è la storia mai raccontata di Howard Ashman, il brillante paroliere dietro a classici Disney come Aladdin, La Bella e la Bestia, La Sirenetta e creatore di musical tra cui La piccola bottega degli orrori. Con materiale d’archivio mai visto prima, filmati e fotografie personali, nonché interviste con gli amici e la famiglia di Howard, il film getta uno sguardo intimo sulla vita della leggenda Disney, sulla sua sensibilità creativa e su tutto il processo dietro la sua musica. Dall’infanzia a Baltimora fino agli anni formativi a New York e la sua morte prematura a causa dell’AIDS, Howard: la vita, le parole approfondisce il viaggio che lo ha portato a diventare il paroliere dietro alcuni dei film classici per famiglie più amati e conosciuti al mondo.