Hleb Papou ci racconta com'è riuscito a girare Il legionario, il miglior esordio italiano del 2021
Al festival di Locarno Hleb Papou è in gara con il suo primo lungometraggio, Il legionario, girato in 19 giorni per non essere come gli altri film italiani
LEGGI: la recensione
È stato in Italia che Hleb Papou ha cominciato ad appassionarsi seriamente al cinema, anche se era in Bielorussia, a 8 anni nel cortile del condominio, che rifaceva le scene d’azione dei film americani con i fucili soft-air e la videocamera VHS di un amico. Ora ha girato un film come di solito non si fanno: un poliziotto del reparto mobile ha nascosto a tutti che la sua famiglia d’origine, africana, vive nello stabile occupato che gli hanno appena ordinato di sgomberare. Da una parte suo fratello è alla testa degli occupanti e sua madre non vuole andarsene; dall'altra i suoi colleghi pretendono che ci sia anche lui ad aiutarli nella complicata e violenta incursione. Tutto il film è la preparazione a questo sconto e il tormento delle due anime di Daniel.
Qual è stato il primo germe di questa storia?
“È nata nel 2015 con un’immagine, quella di un celerino nero. Doveva essere nero perché così è subito riconoscibile e inquadrabile, è un elemento che rompe gli schemi ed è interessante. Per la trama poteva pure essere sudamericano, asiatico o dell’Europa dell’est, ma visivamente nero è molto più forte. Partendo da quell’immagine abbiamo costruito la sceneggiatura”.
Qual era l’obiettivo della sceneggiatura?
“Parlare dell’Italia di oggi ma senza gli stereotipi, raccontare due mondi (quello degli occupanti e quello dei poliziotti) che siano vivi e complicati, entrambi sia nei pregi che nei difetti e poi porre la domanda fondamentale: se l’umanità supera la legge chi ha ragione? Certo la legge va rispettata ma quando l’umano va oltre, come ci si deve comportare? Io non lo so e nemmeno Giuseppe Brigante e Emanuele Mochi che hanno sceneggiato con me prima il corto e poi il lungo”.
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Nel corto c’era già tutta la storia del film dall’inizio alla fine, solo compressa, è stato complicato aggiungere altri 74 minuti di storia?
“Abbiamo fatto ricerca sul campo, sia al reparto mobile di Roma che nella casa occupata dove abbiamo girato il film e dove abbiamo fatto un’esperienza di vita. Volevamo vedere com’è per essere il più onesti possibile. Non volevamo fare gli sceneggiatori da salotto. Questo ci è servito per ampliare, costruire e definire certi aspetti della sceneggiatura. Senza quell’esperienza non ci sarebbe il film così com’è”.
Avete lavorato con la polizia?
“Ci avevamo provato per il corto, avevano anche deciso di supportarlo ma poi dopo aver letto la sceneggiatura e visto il corto finito il Ministero dell’interno non l’ha approvato. Non vogliono che esca l’immagine cameratesca e familiare del reparto mobile. Tuttavia è così, loro sono proprio così. Quindi non gli abbiamo chiesto aiuto per il lungo, per averlo avremmo dovuto far diventare il film una cosa più corretta e in linea con le loro idee. Ci siamo pagati tutto e basta”.
L’hai visto The Raid: Redemption?
“Il film indonesiano dici?”
Sì, quello con la stessa trama del tuo...
“Bellissimo, una chicca”.
Certo Il legionario non è un film di arti marziali, però ha in comune con quel tipo di cinema il fatto di non limitarsi a mostrare l’azione ma usarla, raccontare ciò che avviene spesso attraverso l’azione.
“Ecco, questo è esattamente il cinema che piace a me: raccontare qualcosa di attuale e sociale con l’intrattenimento. L’azione d’autore, che ti intrattenga e ti faccia ragionare. Tropa De Elite, Soldado o i film di Jacques Audiard”
Qual è il cinema italiano di adesso che ti piace?
“Non lo so ci devo pensare, non vorrei fare quello che si crede stocazzo…. Sollima per esempio è bravissimo, l’unico a fare genere con cognizione di causa in italia. Mi piacciono registi che vanno oltre gli stereotipi e cercano di dare una loro visione e raccontare qualcosa di nuovo al pubblico senza far sì che sia una rottura di coglioni”.
Ti dà fastidio se ti dico che il tuo film è molto italiano? Inteso come un complimento
“Ah ok, no come Stanis! A me basta solo non fare una cosa intellettualina capito? Voglio pormi delle domande su dove vada la società. In questo film non ci sono le spaghettate, le lenzuola bianche, il parlare romano sbiascicato da periferia... Cioè non c'è quell'idea di cinema italiano a cui non vorrei assomigliare”.
Il legionario piacerà ai poliziotti?
“Beh il corto è piaciuto sia a poliziotti che occupanti perché cerchiamo di non mettere etichette, non vogliamo dire che chi occupa è un comunista e chi sgombera è un fascista”.
Fin dall’inizio è chiaro che il conflitto del protagonista sia destinato ad esplodere, dovrà andare a fare lo sgombero e si troverà con i colleghi da aiutare e la famiglia da salvare. Una storia così è ha il problema di come finirla, quale sia l'esito dello scontro. Vi ci è voluto molto per scegliere la chiusa o ce l’avevate in testa fin dall’inizio?
“No, per niente ci sono voluti 3 anni per scrivere tutto. Di certo sapevamo che non volevamo fare un finale da PD, in cui tutti si abbracciano e vanno a bere sangria, festeggiando il giorno della memoria. L’obiettivo non è mai stato fare un film triste, con gente triste, tuttavia Daniel è un personaggio tragico quindi non ci potrà essere nemmeno un happy ending. Abbiamo cercato la complessità, come poi è la vita”
Che film vuoi fare ora?
“Voglio continuare con un action drama, ho in mente una cosa possibilmente mai raccontata in Italia. Qualcosa che è sempre su questo genere: Italia di oggi e tratto da notizie di cronaca”.
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