Hélène Louvart dopo l'Orso d'argento per Disco Boy ci parla di neon, Le pupille e il Super16mm

La storia di Helen Louvart e il cinema italiano passa da Alice Rohrwacher e molte collaborazioni per arrivare ai neon di Disco Boy

Critico e giornalista cinematografico


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Da poco ha vinto l’Orso d’argento per il miglior contributo tecnico, è una delle direttrici della fotografie più ricercate d’Europa, ha lavorato con i più grandi di ieri (Wim Wenders, in Pina) e ha formato un sodalizio estremamente proficuo con Alice Rohrwacher, e ora Hélène Louvart è la direttrice della fotografia di Disco Boy, al cinema da giovedì 9 marzo.

È questo il film per il quale è stata premiata a Berlino e con il quale ha lavorato insieme al regista Giacomo Abbruzzese per crea una dimensione tra l’estremamente realistico e, come dice lei, il “fashion-ish” in cui raccontare le vicissitudini di un immigrato in Francia e dei pesi che porta con sé.

È impossibile non notare che ad un certo punto Disco Boy opera proprio un salto visivo in un’altra dimensione e lo fa tramite le luci al neon di una discoteca. È la prima che lavoravi così tanto e in così tanti modi diversi con quel tipo di colori e luci?

“È un tipo di illuminazione che viene dalla trama. Con Giacomo Abbruzzese abbiamo parlato moltissimo dei colori da ottenere e usare la loro forza per stimolare il tipo di sensazioni che servono al film. Non avevamo paura di un risultato molto netto, cioè momenti visivi molto forti che però non schiacciassero la storia”.

E come si fa a ottenere entrambe le cose?

“Bisogna essere molto precisi con i colori, e stare attenti che ogni scelta serva alla storia”.

È anche vero che da un certo punto in poi nel film i colori raccontano una storia tutta loro, non ti pare?

“Forse sì, ma diciamo che la cosa è più limitata alla memoria e alla discoteca. Perché per il resto i colori del film sono normali, non è troppo colorato. È quando inizia ad avere dei momenti quasi fantasmatici che diventa colorato”.

I colori al neon è da qualche anno che al cinema sono molto usati e vanno di moda. Era proprio quella l’intenzione? Lavorare sul modaiolo?

“Sì diciamo sul fashion-ish, ma del resto un terzo del film è ambientato in questa discoteca che si trova in una chiesa. È un’unione che ci consente di raggiungere qualcosa di mistico e aumentare l’idea di uno spazio strano. Quello è il posto in cui la vita del protagonista cambia, il luogo da cui è attratto e dove sente di dover prendere il posto del suo amico defunto”.

È un film molto pianificato?

“Tutto pianificato precisamente, specialmente i colori. Le musiche sono di Vitalic e non so se hai presente quel che lui fa sul palco, ma anche lì c’è un uso preciso dei colori. Abbiamo lavorato quindi con lui su un concept che stesse tra musica e color code. Ecco perché era tutto pianificato in anticipo”.

Hai lavorato con Giacomo Abbruzzese con Leonardo Di Costanzo, Alice Rohrwacher e Carlo Lavagna. Trovi che ci sia un modo di lavorare peculiare degli italiani?

“Non so, di certo si lavora sempre in modi creativi. Per esempio per Arianna [il film di Carlo Lavagna ndr] andavamo in cerca di qualcosa senza sapere esattamente cosa, ci interessava arrivare a qualcosa di visivamente divertente e non noioso, un feeling artistico al quale accordarci”.

In base a cosa decidi i film a cui prendere parte?

“In base alla sceneggiatura prima di tutto, mi deve piacere. Non ho mai fatto un film con una sceneggiatura che non amassi, perché puoi fare quel che ti pare ma la sceneggiatura è tutto, è quello che dici e quello di cui parli. Devo sentire che lo storytelling è importante e può portare ad altro e anche che il regista è legato a quella storia, che non ha un atteggiamento falso”.

Tempo fa in un’intervista a Juho Kuosmanen, regista di Scompartimento n.6, lui ha raccontato di essere rimasto molto colpito dal transfer digitale di Le meraviglie. L’aveva visto proiettato in digitale e gli pareva fosse proiettato in 35mm, così dice di aver parlato con voi e aver imparato da voi come fare per Scompartimento n.6, come girare in analogico e poi fare il trasferimento in digitale senza perdere le qualità della pellicola. È vero?

“In realtà io non l’ho mai incontrato, è Alice che ha parlato con lui. Però Scompartimento n.6 mi è piaciuto moltissimo.

Ad ogni modo i nostri film è vero che hanno quel feeling analogico e non lo dobbiamo simulare più di tanto, giriamo in Super16mm proprio per questo! Bisogna solo fare attenzione al transfer. Con Alice abbiamo sempre girato in Super16mm tranne che per i due episodi di L’amica geniale perché dovevamo adeguarci al resto delle puntate”.

Come mai?

“È una volontà che nasce da Alice, il Super16 l’ha voluto da subito e io l’ho seguita. A lei piace il feeling organico e soprattutto le piace essere sorpresa da quel che gira. Sai quando giriamo guardiamo con gli occhi, poi quando rivedi i giornalieri scopri in realtà cosa hai girato davvero. Ci sono molte sorprese e quest’idea di non controllare tutto è ciò di cui Alice va in cerca. Quando lavoro con lei anche io voglio essere sorpresa. Alle volte sbagliamo anche e ci accorgiamo degli errori solo durante i giornalieri ma se ci piacciono li teniamo. È un modo di fare che ti tiene sveglio perché devi reagire a queste sorprese che scopri dai giornalieri”.

Mi sai fare degli esempi?

“Alle volte girando di notte ci pare di stare ottenendo un risultato fantastico ma poi nei giornalieri scopriamo che è tutto un po’ più scuro del previsto e questo scuro dà una sensazione più intima e focalizzata sul soggetto. Oppure quando girando in interno ricreiamo il sole artificialmente può capitare che dalle finestre entri una luce che sovraespone e che si creino dei bagliori lenticolari che ovviamente ad occhio nudo non puoi vedere. Ma sono belli!”

Ora sei in nomination per un Oscar con Le Pupille di Alice Rohrwacher. Quando l’avete girato già sapevi che sarebbe stata una cosa così grossa?

“No, quando con Alice abbiamo deciso di farlo era solo una produzione di Alfonso Cuaron che aveva chiesto ad Alice di scrivere un corto. Disney+ è entrato dopo, poco prima che iniziassero le riprese. Il nostro obiettivo in realtà era solo e unicamente sentirci libere creativamente e goderci questa libertà, quindi nonostante fosse entrato Disney non abbiamo cambiato niente. La storia era fantastica con bambini e suore, ci siamo proprio dette: “Godiamocela!” e così abbiamo fatto un film piacevole e gioioso, proprio piacevole da fare. È una favola in un mondo un po’ magico, girata in 35mm con un art department fantastico”.

Hai appena detto che con Alice Rohrwacher lavorate sempre in Super16 invece Le pupille è girato in 35mm? Come mai?

“Alice aveva voglia di cambiare. Voleva testare il 35mm per avere un nuovo strumento con cui giocare anche nei film successivi”.

Quindi La chimera, il film che avete girato adesso e che deve ancora uscire di cui tu hai curato la fotografia, è in 35mm?

“È stato girato su diversi supporti, 16mm, Super16 e 35mm”.

Disco Boy esce al cinema il 9 marzo, l’8 marzo alle 21 al cinema Troisi di Roma presenteremo il film con un Q&A con il regista e i protagonisti.

Trovate tutte le informazioni su Disco Boy nella nostra scheda.

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