Gli autori di Vendetta: Guerra nell'antimafia spiegano il loro punto di vista
Da dove sono partiti i registi di Vendetta: guerra nell'antimafia, come hanno lavorato e l'oggettività che non può esistere
È il tipo di opposizione che anima anche una serie come Tiger King ma a tutto un altro livello di complessità e necessità di indagare la realtà e quella bestia così difficile da afferrare che è la verità.
Abbiamo incontrato due dei principali animatori del progetto, ovvero Davide Gambino e Ruggero Di Maggio (oltre a loro anche Nicola Moody, Jane Root, David Herman hanno scritto e diretto gli episodi) per capire come sia stato possibile questo progetto.
RUGGERO DI MAGGIO: “Tutto è iniziato nel 2005 quando sono tornato da un’esperienza in Francia e ho visto Pino Maniaci intervistato in televisione, ho capito il suo lavoro e la sua redazione e l’ho subito voluto incontrare”.
RDM: “Io sono figlio di un magistrato. Mia madre è stata presidente della corte penale di Palermo, si è occupata di mafia per tanto tempo e ha dato ergastoli importanti. Sono cresciuto nei tribunali, tanto che il mio primo lavoro, L’ultimo padrino, è un’altra storia di mafia e anche lì il tema era la caccia di Provenzano. Nel 1992 avevo 16 anni e ho partecipato alla marcia a piedi da Capaci a Palermo, che è stato un punto di svolta nella storia dell’antimafia. Conosco quell’ambiente e c’è stato un periodo in cui vi appartenevo”.
RDM: “Abbiamo seguito principalmente Pino Maniaci, abbiamo filmato ad esempio quelle scene dopo l’arresto di Provenzano. Ma ad un certo punto ci siamo fermati perché il personaggio si stava appiattendo su un’icona antimafia eroica e semplicistica”.
Quando avete ripreso?
RDM: “Nel 2015, quando anche Davide era entrato nel progetto e abbiamo creato la casa di produzione. Soprattutto Maniaci aveva iniziato le indagini sulle misure di prevenzione ed era stato arrestato. Quel twist ha ridato vita al progetto”.
DAVIDE GAMBINO: “Il punto è che Maniaci è molto particolare. Quello che gli è capitato nel 2015 ci ha fatto capire che a quel punto attraverso di lui potevamo comporre un racconto che non fosse solo fatto di santi e di eroi ma di personaggi tridimensionali. Quando abbiamo capito che il fuoco di tutto era l’antimafia la realtà si è disposta davanti ai nostri occhi”.
Inevitabilmente essendo un documentario che mette a confronto due persone reali che negli anni si sono accusate a vicenda, lo spettatore spera di avere una risposta, di sapere chi aveva ragione e chi torto, chi è il buono e chi il cattivo. Ma è anche chiaro che non è quello che vi interessa...
RDM: “No esatto. Spesso nei documentari l’approccio manicheo diventa centrale, come se i registi debbano prendere una posizione definita per dare senso al documentario”
DG: “Non volevamo affossare, condannare o assolvere ma ragionare su cosa è vero e cosa no, cosa bugia e cosa verità. Sono temi rilevanti e universali”
Eppure sappiamo tutti che è impossibile realizzare un prodotto audiovisivo che sia totalmente neutro.
RDM: “Quello è un discorso diverso. L’imparzialità è una chimera. Noi non prendiamo una parte ma questo non va confuso con la mancanza di un punto di vista, se non avessimo avuto un punto di vista non l’avremmo potuta raccontare questa storia. Mettici anche che è un lavoro collettivo, hanno partecipato alla scrittura strada facendo un gruppo importante di persone e anche molti assistenti più i registi stessi dei vari episodi. La struttura produttiva ha permesso di suddividere il peso della narrazione tra tante teste e questa moltiplicazione dei punti di vista, tenendo conto della linea editoriale che abbiamo cercato di dare, ha garantito una forma di imparzialità che, ripeto, non è mancanza di punto di vista”
DG: “La serie dichiara il fatto che è impensabile ambire all’oggettività, perché ogni sguardo si appoggia su una narrazione e ne trae le proprie conclusioni, abbiamo messo sulla tavolozza i colori della vicenda, report, atti e fatti e punti di vista dei protagonisti della vicenda. L’oggettività non esiste, il nostro è un racconto della complessità della realtà”.
Un esempio?
RDM: “Nella vicenda dell’uccisione dei cani abbiamo due momenti, quando Maniaci è vittima di una violenza e così viene raccontato fino alla telefonata di Renzi e poi più avanti nella serie escono fuori dettagli nuovi che cambiano la percezione dell’evento. In ogni caso noi facciamo sempre parlare il materiale d’archivio, i TG e il giornalismo”.
Alla fine cosa sperate che arrivi allo spettatore?
DG: “Vorremmo che ognuno si facesse la sua idea su temi delicati che ci obbligano ad esercitare il nostro spirito critico, riguardo storie che spesso sentiamo dagli organi di stampa ma che per ovvi motivi non possono essere indagate con sufficiente spazio in quelle sedi. Il messaggio, se uno ce n’è, è di esercitare spirito critico sulle storie dell’antimafia”.
RDM: “Nella serie c’è un pezzo d’archivio inedito, un’intervista fatta a Giovanni Falcone anni fa in cui dice una cosa riferita all’antimafia che ci ha sorpreso: “Molto spesso la lotta alla mafia diventa anche un alibi per nascondere sotto al tappeto determinate mancanze da parte delle istituzioni stesse”. È la sintesi di un senso importante che la serie ha, stiamo attenti perché il movimento antimafia va coltivato e curato ma non va sacralizzato perché potrebbe produrre fantasmi”.
DG: “E anche la posizione di questa frase all’interno della serie non è casuale”.
La storia non è finita e non finisce al termine della serie. La continuate a seguire?
RDM: “Dobbiamo capire l’iter giudiziario che piega prende prima di dare una risposta”.