Intervista a Gary Frank: dai supereroi DC a Eddie a tutto gas!
A Lucca Comics & Games abbiamo incontrato Gary Frank, disegnatore con cui abbiamo parlato di DC Comics ma anche della sua opera per bambini
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Nella Storia del Fumetto, sono tanti i sodalizi artistici divenuti iconici: partendo da Stan Lee e Jack Kirby - i padri (insieme a Steve Ditko) della rivoluzione supereroistica Marvel - per giungere in epoche più recenti a Brian Michael Bendis e Mark Bagley (Ultimate Spider-Man), Scott Snyder e Greg Capullo (Batman) o Mark Waid e Chris Samnee (Daredevil). In questa rapida carrellata, però, non possiamo non citare Geoff Johns e Gary Frank, autori di alcune delle saghe più avvincenti targate DC Comics: Superman: Secret Origins, il rilancio di Shazam e la maxi-serie Doomsday Clock sono solo alcuni dei titoli che hanno reso celebre questo team creativo.
Ciao, Gary e bentrovato su BadTaste.it. Siamo tornati a vivere una fiera dedicata ai fumetti dopo un periodo estremamente complicato dovuto dal Covid. Come hai vissuto questa esperienza e in che modo ti sei relazionato con i fan?
La tua risposta a questo periodo così delicato è stata la pubblicazione di Eddie a tutto gas! La sorprendente battaglia contro i marziani? Com’è nata quest’opera che ti vede in veste di autore completo?
In realtà, non è stata una risposta all’emergenza sanitaria in quanto si tratta di un progetto che risale a molti anni fa, quando mio figlio – oggi sedicenne – era ancora un bambino. Come tutti i genitori, gli leggevo delle favole la sera per farlo addormentare; a un certo punto, decisi che era arrivato il momento di iniziare a inventare delle storie con lui, visto che non potevo comprare sempre libri. Gli chiedevo cosa gli piacesse ascoltare, quali elementi dovessero esserci, e così ho sviluppato diversi racconti. Ho realizzato prima i testi e poi sono passato a realizzare alcuni schizzi con degli alieni. Il tutto è nato per noi, per la mia famiglia, non immaginavo che potesse diventare un libro da pubblicare.
Circa tre o quattro anni fa, mi sono reso conto che avevo accumulato tante storie e mi chiedevo se non fosse il caso di presentare a qualche editore tutto questo materiale. Purtroppo, il mio lavoro con la DC Comics non mi permetteva di dedicarmi completamente a questa fase. Fino a quando non ho incontrato Barbara Gozzi di Book on a tree per un’iniziativa non connessa al mio lavoro. Durante una chiacchierata, è uscito fuori che io avevo una serie di racconti illustrati ed è stata la spinta necessaria per concludere il tutto e giungere alla pubblicazione di Eddie a tutto gas.
Guardando queste illustrazioni è evidente il contrasto con lo stile cupo, oscuro, sporco che ti ha reso famoso. Com’è stato lavorare su queste illustrazioni?
Per me, non si è trattato di lavoro. Era un modo per divertirmi, per rilassarmi durante le pause che avevo dalla mia collaborazione con Geoff Johns. Ti ripeto, è stato tutto molto leggero perché, soprattutto nella prima fase, non lo vivevo come un lavoro.
Nel corso della tua carriera, hai avuto modo di collaborare con autori del calibro di J. M. Straczynski (Midnight Nation) e dello stesso Johns (Superman: Secret Origin, Batman: Earth One, Doomsday Clock) che citavi prima. Nonostante la differente natura dei vostri lavori, c’è qualcosa di quelle storie che hai portato in Eddie a tutto gas?
È difficile per me trovare una connessione tra quelle storie ed Eddie a tutto gas perché quello che ho fatto con Straczynski o Johns è lavoro, mentre le altre sono storie che ho scritto per mio figlio, per divertimento. Se proprio dovessi cercare qualcosa che le accomuni, posso dire che ieri ho realizzato che in Eddie a tutto gas le scorregge sono un potere, quindi si tratta di un super eroe. [Ride]
La tua carriera è caratterizzata dalla collaborazione con pochi autori. Da dove nasce questa scelta?
Non è stata una scelta nata a priori. La fortuna è stata trovare un’ottima intesa con Geoff [Johns] sin dall’inizio, visto che condividiamo la stessa idea di storie che vogliamo realizzare. Ci accomuna la volontà di concentrarci principalmente sui personaggi e le loro emozioni piuttosto che realizzare lunghe sequenze action. Amo realizzare personaggi che siano veri, con i quali è facile creare una connessione emotiva e questo lega me e Geoff.
Se con Straczynski è stato tutto molto meccanico - ovvero ho ricevuto la sceneggiatura e realizzato le tavole della storia - con Geoff e Peter David, invece, ho avuto modo di confrontarmi molto, di parlare del lavoro che stavamo realizzando. In questo senso, Geoff è molto aperto al dialogo. Lui non usa il metodo Marvel ma scrive una sceneggiatura più aperta, concedendomi molta libertà di manovra, offrendomi la possibilità di cambiare anche qualcosa. Naturalmente, se il cambiamento è notevole, lo chiamo e ci confrontiamo. Generalmente, è molto disponibile; se dice di no è perché c’è qualche motivazione legata alla storia che si rischierebbe di perdere.
Passando al tuo stile di disegno, come credi che sia cambiato negli anni? Sei contento di ciò che stai realizzando o pensi che tu possa migliorare in alcuni aspetti? Quali?
Nella prima fase della mia carriera, univo nel mio stile molte influenze, prese soprattutto da fumettisti italiani. Con il passare degli anni, ho iniziato a prediligere una linea pulita, era il periodo in cui la mia attenzione di artista si è spostata su Javier Hernandez o Alan Davis. Mi sono reso conto, però, che questa scelta era una forzatura, un qualcosa che mi imponevo, mentre io volevo sporcare la linea, usare più tratteggi. In quel momento, ho capito che non c’era bisogno di assomigliare a qualcun altro e mi sono lasciato andare, a fare ciò che volevo.
Non sono mai soddisfatto del mio lavoro, è chiaro, e questo credo sia sano nel nostro lavoro. Oggi, riesco a guadare altri fumettisti, trovare qualcosa che mi piace nel loro stile, ma resto sempre fedele alla mia idea di disegno, ovvero una visione organica della tavola in cui anche le piccole imperfezioni concorrono alla riuscita delle vignette. Oggi, ammiro Mike Mignola, Art Adams, che resta il mio preferito, o Alex Raymond, ma li osservo per il semplice piacere di godere della loro arte. Per il resto, porto avanti il mio stile.
Da qualche anno, mi sto occupando anche delle chine e ho capito che, nella fase in cui disegno a matita, non devo entrare troppo nel dettaglio del tratteggio, preferisco occuparmene dopo con la china, così da non ripetere semplicemente qualcosa di già fatto ma di poter rendere tutto ancora più immediato, reale, vivo.
Hai detto che sei molto critico con il tuo lavoro. Nel 2000, hai pubblicato per Top Cow Kin: Descent of Man. Guardandolo dopo vent’anni, cosa ne pensi di quell’opera?
Onestamente, ho difficoltà a guardare i miei lavori più recenti mentre non mi crea fastidio rivedere vecchie opere. Oggi, a esempio, mi hanno portato un albo di Hulk per farmelo autografare e, rivisto dopo 28 anni, lo guardavo con distacco, senza pensare troppo a cosa avrei potuto fare diversamente o aggiustare.
Se ricevessi da un’etichetta l’offerta di realizzare un tuo fumetto, senza restrizioni o imposizioni, quale storia vorresti raccontare?
Non so dirti cosa farei in una situazione del genere. Visto il mio stretto contatto con Geoff, tutto quello che sto disegnando rispecchia quello che vorrei fare. L’essere coinvolto nello sviluppo delle storie fa sì che non senta la necessità di scrivere qualcosa di mio. Inoltre, quando ho realizzato Kin per Top Cow, è stato un lavoraccio, davvero difficile. Tutti possiamo avere un’idea per una storia, ma poi? Da cosa si comincia? Sincero, sono molto impaurito da questa cosa. Quindi, preferisco concentrarmi sul disegno.
A cosa stai lavorando in questo periodo?
Attualmente, sto lavorando a Geiger, in particolare a una storia incentrata su uno dei protagonisti della storia. Altri progetti ci sono ma sono ancora tutti in fase di sviluppo e non ne posso ancora parlare.
Grazie, Gary!
Ringraziamo l’ufficio stampa di Panini Comics per la disponibilità dimostrata.