Gale Anne Hurd sulla sua carriera: Terminator, The Walking Dead, Roger Corman ed essere stata tra le prime produttrici

Una delle produttrici più longeve e di successo di Hollywood, Gale Anne Hurd, viene premiata a Locarno e ci ha raccontato la sua carriera

Critico e giornalista cinematografico


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Gale Anne Hurd sulla sua carriera, Terminator, The Walking Dead, Roger Corman ed essere stata tra le prime produttrici

Il Best Producer Award di Locarno di quest’anno va a Gale Anne Hurd, pioniera della produzione al femminile, ha creato Terminator con l’ex marito James Cameron, ha prodotto alcuni dei film d’azione più importanti degli anni ‘90, è stata dietro i primi cinecomic come Hulk e poi è saltata nel mondo della produzione televisiva dando vita a The Walking Dead. Un’istituzione americana che ha iniziato la propria carriera con Roger Corman ed è passata attraverso tutte le rivoluzioni di Hollywood rimanendo sempre in sella.

Spesso quando intervistiamo registi o sceneggiatori loro ci raccontano storie di come i produttori abbiano messo i bastoni fra le ruote ad idee o film che poi hanno avuto grandissimo successo. Abbiamo insomma questa immagine dei produttori come gente poco lungimirante. Qual è la tua esperienza?

“E hanno ragione!! Però questa con cui mi fai la domanda è un’impostazione europea, da voi sono gli autori quelli che ideano i progetti, io invece ho ideato tutti i miei progetti o li ho fatti partire. Ho scelto gli sceneggiatori e scelto il regista, insomma sono io a fare la squadra e questo cambia tutto. Poi certo lo stesso non tutto funziona sempre, puoi parlarti quanto vuoi ma alla fine il cinema è audiovisivo, capita che arrivi sul set e tutto è diretto con shaky cam che non avresti voluto, oppure che ci siano conflitti sulla colonna sonora. Una volta ho dovuto licenziare un regista per conflitti sulla musica, l'ho buttato fuori e preso un altro. Penso di aver migliorato il film, ma se chiedi a lui ti dirà il contrario”.

Cosa è più difficile produrre: un film a basso budget in cui però sei libera o uno ad alto budget in cui ci sono molte voci a decidere?

“Ogni progetto ha le sue difficoltà, in un piccolo film c’è poco tempo ed è complicato affrontare i problemi perché non hai soldi. In un grande film invece i soldi risolvono molto e sei certo che verrà promosso bene, ma è una maratona e quando i problemi arrivano sono più grandi con conseguenze molto maggiori, senza contare che ognuno poi ha una sua idea di come dovrebbe venire e se non coincide con la tua devi ogni volta fare in modo di convincerli”.

Ci sono questioni da produttore su cui hai avuto grandi scontri?

“Si ad esempio sulla maniera migliore per cercare di affrontare un tema politico. Io credo che solo tramite il genere tu possa parlare ad un pubblico che magari quell'idea non la condivide, e non invece affrontandolo direttamente, parlandone apertamente. Quel tipo di film lì predicano ai convertiti, invece se usi il genere prendi tutti. La fantascienza per esempio è ottima per raccontare una storia politica in cui tuttavia, essendo di fantasia, il pubblico non sente di doversi schierare come farebbe nella vita reale, e lo stesso nella commedia”.

L’hai mai fatto in un tuo film?

“Certo! Con Terminator! Quella è una storia che mette in guardia sull’abuso della tecnologia. Ricordi il night club in cui c’è la sparatoria e vedi il puntino rosso comparire sulla testa di Sarah Connor? Sì chiama Tech Noir non a caso. Giusto l’altro ieri ho twittato la notizia che la Russia ha sviluppato dei robot killer che non dovranno obbedire alle regolamentazioni internazionali, esattamente quello di cui parla Terminator! Ma anche per l’intelligenza artificiale abbiamo visto come queste se lasciate a se stesse prendono i nostri difetti e diventano razziste e bigotte”.

Quello però era un film pensato e realizzato senza sapere cosa sarebbe diventato…

“Figurati! Per me quello era un film da 6 milioni di dollari con cui magari riuscire ad ottenere di poterne fare un altro. 99 compagnie di produzione diverse ci sbatterono la porta in faccia, e non è facile in quelle situazioni avere la forza per andare avanti. Pensa che anche quando stavamo per partire uno dei finanziatori ci chiama e ci dice: “C’è un problema, non ho capito da che pianeta vengono i personaggi” e quando gli diciamo che è una storia di viaggi nel tempo e non ci sono altri pianeti, comincia a sostenere che la sceneggiatura è scritta male e non si capisce niente. Nessuno credeva in quel film, addirittura quando lo finimmo il marketing era convinto che sarebbe stato un fallimento e saremmo stati derisi, non avevano nemmeno previsto un budget per il marketing del secondo weekend! Inoltre in quegli anni l’unico modo per far sapere che un film esiste erano le recensioni, e non lo volevano far vedere ai critici! Ci volle che uno degli agenti più famosi e importanti di Hollywood si imponesse per fare quella proiezione, li minacciò di non far lavorare più nessun suo artista con loro se non l’avessero fatto!”.

Nessuno aveva capito nemmeno il potenziale di Schwarzenegger?

“No, nemmeno noi (ride). Lui non fu un’idea nostra ma di Mike Medavoy, il capo della Orion che distribuì il film. Non eravamo convinti ma organizzò un pranzo allo Scandic un ristorante molto costoso di quegli anni proprio con Arnold. Ci impressionò perché non faceva che parlare del film, lo voleva davvero fare. Aveva capito una cosa cruciale, che il suo era il ruolo del titolo e che questa cosa l’avrebbe lanciato sicuramente. Insomma arriviamo alla fine di questo pranzo che è quasi fatta ma capiamo di non avere i soldi per pagare il conto, cosa che avrebbe deposto molto male. Cioè se non abbiamo i soldi per pagare il conto come potremo produrre bene questo film? Arnold capì tutto, disse che avrebbe pagato lui il conto e fatto il film, e questo nonostante ci vollero due anni per entrare in produzione perché lui aveva ancora un accordo di esclusiva con De Laurentiis per i sequel di Conan. Due anni in cui poteva accadere di tutto. E invece lo fece”.

Quando hai cominciato era complicato imporsi come produttrice? Era un mondo di uomini?

“Erano pochissime le donne produttrici all’epoca e quando in un settore ci sono poche persone a fare qualcosa queste si dividono in due categorie: quelle che cercano in tutti i modi di ostacolarti perché temono per la loro posizione e quelle che invece ti aiutano. Io ho trovato Debra Hill che mi ha aiutato e ispirato. La incontrai per Fuga da New York e capii che lei era la persona che avrebbe segnato il percorso che dovevo seguire. Da donna capiva i miei problemi. All’epoca gli uomini per prevalere cercavano in tutti i modi di farti piangere per poter dire: “Ecco è troppo emotiva, non è adatta!”. Oppure di farti arrabbiare per poter dire: “È isterica, non è affidabile!”. Invece ogni volta che avevo un meeting importante lei mi faceva da coach e insieme prevedevamo tutto quello che mi avrebbero potuto dire. Che donna!”

Tu però avevi cominciato con Roger Corman giusto?

“Sì lui e il suo approccio folle. Lui ti buttava in acqua e vedeva se sapevi nuotare. Un giorno mi disse “Da domani sei il capo del marketing” e non l’avevo mai fatto. Ma ho imparato. Aveva capito che potevo farlo. E quella conoscenza del marketing si è poi rivelata fondamentale per diventare una produttrice e avere a che fare con gli uffici marketing dei grandi studios.
Io davvero non credo sia mai esistito nessuno così direttamente responsabile per la stagione d’oro del cinema indipendente americano. Scorsese, Coppola, Jonathan Demme, Ron Howard, James Cameron…. Tutti hanno esordito grazie a lui, e il fatto di avere questo in comune fa sì che tutt’oggi chiunque di noi può alzare il telefono e chiamare l’altro senza problemi”.

Come vedi l’emergere delle piattaforme?

“È un momento incredibile per lo storytelling televisivo e non sarebbe così ottimo senza le piattaforme. Il binge watching e l’offerta on demand hanno dato forma alla produzione come la conosciamo. Ma credo anche che dobbiamo capire come tenere sale e studios in affari per evitare che nei cinema ci vadano solo i blockbuster. È una questione meramente economica, il cinema in sala sopravviverà se è sostenibile”.

Che ne pensi di quello che sta succedendo tra Scarlett Johansson e la Disney?

“Non credo sia di quelle situazioni in cui puoi schierarti e sostenere che uno ha ragione e uno ha torto. È una questione contrattuale e noi il contratto non lo possiamo leggere. Se c’è scritto che il film deve avere un’uscita solo in sala allora ha ragione lei, loro l’hanno violato e devono pagare. Fine”.

the walking dead slide

Hai prodotto tantissimo cinema d’azione, poi nei 2000 anche i primi cinecomic, dopo quelli però ti sei progressivamente allontanata da questo genere e hai cominciato a produrre altro, principalmente The Walking Dead. Sei cambiata tu o è cambiata l’azione?

“Entrambe le cose. L’azione e i blockbuster sono diventati sempre meno centrati sui personaggi e più sulle esplosioni o gli effetti visivi. Non era quello ciò che mi interessava, mi sono appassionata di più agli archi narrativi che si possono sviluppare in tv. E poi ai film stranieri, quelli che magari nemmeno arrivano in America”.

Qual è l’ultimo film straniero che hai amato?

“Collective”

Che è un documentario e tu stessa ne stai producendo diversi in questi anni ti sei appassionata?

“Guarda è il miglior cambiamento del mondo del cinema degli ultimi anni: il pubblico non ha più paura dei documentari e anzi ha capito che possono essere appassionanti come se non più della finzione”.

Ne stai preparando uno nuovo?

“Sì uno sulla nascita e l’influenza di YouTube con Alex Winter, l’autore di Zappa”.

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