Gabriele Muccino su premi, ispirazioni, "repeaters" e il finale di Gli anni più belli proposto da Favino | EXCL
In occasione del ritorno in sala di Gli Anni Più Belli dal 15 Luglio, Gabriele Muccino parla di film, carriera e dei colleghi che stima (e non)
C’è insomma a parere della distribuzione e dello stesso regista e sceneggiatore ancora una fetta di pubblico che voleva vederlo e non l’ha visto. La nuova uscita dà la possibilità di farlo. Anche se le speranza sugli incassi sono moderate.
GABRIELE MUCCINO: Beh l’estate non è mai stata una grande stagione per il cinema in italia ma anche se non ci sono tutte le sale aperte, ci sono più arene che mai e non ci sono concerti. Alla fine l’unico evento aggregativo dell’estate saranno le arene. Del resto come dice Jovanotti l’estate italiana è la più grande invenzione di sempre.
Non ho previsioni precise. Penso che se avesse fatto la sua corsa normalmente sarebbe potuto arrivare sicuro a 7 milioni, non ci arriveremo adesso, ma già l’idea che chi lo voleva vedere possa farlo, e sul grande schermo con una formula aggregativa mi piace. Del resto il film racconta di gente che si smarrisce e si ritrova, che è paradossalmente quel che abbiamo vissuto, penso che la gente reagirà in modi ancora più stratificata a quel che succede nel film.
Ho letto che hai scritto che è il tuo film più riuscito. Come valuti i tuoi film?
Ma questi sono dati, invece come lo vedi tu il film?
GM: Lo trovo molto onesto. C’è grande onestà in tutti e non hanno bisogno dell’isteria che io spesso uso come motore narrativo. Ne ho usato uno diverso, il tempo che li guida e li smarrisce. Infatti non sono personaggi nevrotici, sono infelici, sconfitti a tratti vinti ma non quello non c’è “l’isteria mucciniana”.
L’hai abbandonata?
GM: No magari nel prossimo film ce la metto, io ci sto bene nonostante quel che dicano i detrattori. Solo che sentivo che per questo film questo fosse il modo più giusto di procedere. Il perimetro del resto era chiaro dall’inizio, Una Vita Difficile o C’eravamo Tanto Amati ovviamente (del resto il secondo è chiaramente ispirato al primo, Sordi si triplica e diventa tre personaggi), è il perimetro del tempo come lo scandiva Sonego con i titoli di giornale.
A proposito come hai lavorato al remake?
GM: Abbiamo preso i diritti di C’eravamo tanto amati ma poi devo ammettere che scrivendolo, essendo gli anni miei quelli che racconto, tutto il giudizio morale sulla politica e sulla storia era costretto a lasciare la scena. Mi sono andato sempre di più ad infilare nella biografia e autobiografia di quella parte della mia generazione che non aveva ideologia politica perché gli era stata tolta dai padri e dai fratelli maggiori e non aveva un giudizio morale su ricchi e poveri come l’aveva invece l’ideologia comunista di Scola, Age e Scarpelli o il cinema di quegli anni. Per questo ero partito per fare una sorta di remake ma è diventato un film liberamente ispirato. Ma c’è anche Una vita difficile dentro come dicevo o Birdy di Alan Parker.
C’è una scena, quella in cui Micaela Ramazzotti sale le scale e ogni piano è diversa, che è sia qualcosa che non hai mai fatto prima (l’astrazione, il momento irreale) che la summa di tanti elementi che hanno contraddistinto la tua carriera (la foga, la corsa, i sentimenti e il tecnicismo). Tu ti vedi così?
GM: Io vedo i miei film come fatti da personaggi che corrono e pensano a cosa fare mentre corrono. Lo dissi pure a Will Smith che invece è il contrario, lui prima pensa e poi va. I miei personaggi sono così: impulsivi e distruttivi. In quella corsa probabilmente c’è la mia idea di cinema.
Da dove ti viene, di certo non dalla tradizione italiana…
GM: Credo che venga da Nato il 4 luglio, il momento in cui Tom Cruise va al prom correndo sotto la pioggia e bacia lei, proprio poco prima di partire per il Vietnam. Quel film lo vidi molto prima di fare il mio primo corto ma credo che abbia disegnato molto di come faccio certe scene. Poi ovviamente ci sono tante altri film che mi hanno formato eh….
Quando fai qualcosa come questa sei eccitato perché stai facendo qualcosa per te di nuovo o sei preoccupato perché stai andando fuori dal tuo seminato e non lo sai come reagirà il pubblico?
GM: Onestamente io sono un po’ spavaldo e non mi preoccupo se qualcosa piacerà o meno, o almeno me ne preoccupo il minimo sindacale per sopravvivere, ma tutto il resto ho capito che non lo puoi prevedere. Il pubblico, piange quando pensi che riderà o si annoia quando pensi che si ecciterà. Per questo mi considero autore, perché non ho la necessità di piacere anzi spesso quando faccio un film mi assicuro che sia scomodo che in qualche declinazione dia fastidio che non sia accomodante. Mi piacciono i finali di Ricordati di me o L’ultimo bacio, non concilianti.
Però è pure vero che molti dei tuoi film come La ricerca della felicità o questo finiscono in modi molto concilianti.
GM: Ammetto che stavolta è stato molto frutto del dialogo con Pierfrancesco Favino. Il finale sarebbe stato appena meno conciliante nella mia testa ma lui che ha una bella testa ed è un ottimo sparring partner, mi fece riflettere all’ipotesi del finale conciliante che abbiamo poi fatto.
E per arrivare a quel finale ho aggiunto una scena. Originariamente lui faceva capodanno con la sua famiglia, prigioniero della gabbia dorata, e Favino mi spiegò in modo molto incisivo e ben argomentato che bisognava che il film edificasse qualcosa in questo momento storico. Allora per giustificare quel ritorno ho aggiunto una scena, quella in cui tornano nella vecchia casa.
Incredibile! È bellissima quella scena, con lui che guarda il suo passato e indica dove dormiva. È proprio un classico nostalgico del tuo cinema, pensavo stesse lì dall’inizio...
GM: No no, è proprio la scuola del neorealismo, quella che mi ha fatto decidere di fare il regista. Io faccio il regista perché ho visto Ladri Di Biciclette e Umberto D., poi tanti altri film erto, ma senza quei due forse non l’avrei mai fatto. Quei film mi hanno detto: puoi fare questo mestiere per raccontare piccole storie di piccoli uomini e tramite essere raccontare tutti gli altri.
Questa te la devo chiedere visti i commenti degli ultimi giorni. Ma perché tieni così tanto ai premi? Io è dai primi anni 2000 che mi ricordo tue polemiche su premi mancati...
GM: Sì iniziò tutto nel 2003 quando presi 13 candidature ai David per Ricordati di me e lì, in sala durante la premiazione, sentivo proprio l’energia incattivita dietro di me
Sì ma questa energia incattivita non può che essere nella tua testa…
GM: Ma guarda che non c’era ai tempi di Come te nessuno mai, tutti dicevano “Che bravo questo giovane”, e anche con L’ultimo bacio, applausi e pacche sulle spalle.
Poi l’energia è cambiata e io non ho fatto nulla per andare incontro a quella parrocchia, mi sento distante. Poi ho pure fatto l’esperienza dei film americani che mi ha portato ancora più lontano, figurati….
Ma tu sai bene che anche registi cruciali per la storia del cinema non ne hanno presi di premi e dall’altro lato ci sono registi molto premiati che darebbero un braccio per incassare quel che incassi tu facendo i film che vuoi fare. Eppure si capisce che non riesci a tenertelo dentro.
GM: Certo i premi non sono importanti, lo so, ma quando fai un film comunque ti piacerebbe che ti riconoscessero il talento che sai di avere. Sennò nemmeno esisterebbero i premi!
Il punto è che mi dà fastidio perché mi dispiace per la categoria e per il paese.
Te lo dico in maniera abbastanza diretta io mi sento migliore di molti miei colleghi. Ce ne sono pochissimi che ammiro, rispetto e stimo, si contano su mezza mano, quelli che chiamo a casa quando fanno film che mi piacciono molto, saranno 3 o 4, siamo in quell’ordine di idee. Non sono geloso degli altri, sono dispiaciuto della mentalità provinciale che ho sentito molto quando ero in America. Lì ho visto chiaramente quanto è provinciale l’Italia.
Anche Luca Guadagnino spesso ha rimostranze simili alle tue, pensi che ci sia qualcosa che, in questo senso, vi unisce? Avete una caratteristica comune che non piace?
GM: Con tutto il rispetto io a differenza sua ho uno zoccolo molto duro in Italia e ho avuto anche dei successi da blockbuster in America, le proporzioni sono diverse. Ad oggi Guadagnino non ha un pubblico in Italia, è conosciuto ma non ha costruito un pubblico che sa cosa va a vedere anche senza poster. “Un film di Gabriele Muccino” dice già al pubblico cosa può trovare. Questa differenza fa sì che io non riesca a paragonare le nostre situazioni.
Ti posso dire un’altra cosa però, mi piace molto il modo che ha di raccontare Garrone, anche se non vado matto per Pinocchio (ma è perché amo molto quello di Comencini). Quando vedo i suoi film mi dico: “Beh ecco un cazzo di regista”. Quella è una cosa che mi fa bene. Il cinema bello mi fa sentire bene e quello brutto mi fa sentire mediocre e anche questi giochi da parrocchia mi fanno sentire che vivo in un campionato mediocre. Per questo me la prendo.
È che vorrei appartenere ad un paese più grande più ampio, in questi premi invece sì palesa il piccino picciò.