Fabio e Damiano D'Innocenzo su America Latina, l'amore per la stortura e fare i produttori

Nel momento in cui esce in sala America Latina i fratelli D'Innocenzo riflettono, ci spiegano come lo hanno realizzato e cosa vogliono fare adesso

Critico e giornalista cinematografico


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Quest’intervista a Fabio e Damiano D’Innocenzo affronta anche il tema del rapporto dei due con i social media, ma è stata realizzata prima di alcuni eventi che hanno portato Fabio D’Innocenzo ad affrontarla meglio e più diffusamente in un post sul suo profilo instagram. Vi proponiamo lo stesso quella parte ma con l’avvertenza di considerarla antecedente alle più recenti polemiche, sulle quali abbiamo pubblicato una riflessione a parte.

Arrivato trafelato al festival di Venezia (il montaggio era terminato poco prima della presentazione) America Latina esce ora in sala (giovedì 13 gennaio) ed è di nuovo una sorpresa dai fratelli D’Innocenzo che hanno cambiato stile e registro. È un film che abbraccia la sua natura criptica, che lavora tantissimo di immagini, colori, geometrie e scenografie su un canovaccio essenziale. Qualcosa che il cinema italiano non fa mai e che appartiene più al cinema internazionale.

Non a caso forse l’idea del film non è stata partorita in Italia.

Avete diverse sceneggiature ai blocchi di partenza e molte idee che girano. Questa di America Latina da dove veniva e a quando risale?

FABIO: “È recente, è nata alla Berlinale, quando eravamo lì per Favolacce e c’era una strana aria di premio (che poi nessuno te lo dice mai ufficialmente fino a che non te lo danno), era un’aria strana anche perché io feci l’errore di abbracciare Luca Marinelli durante una cena, solo perché lo volevo abbraccià, tuttavia non si abbraccia un membro della giuria se sei in concorso, e per questo pensavamo che non ci avrebbero fatto vincere. Insomma era un momento un po’ strano, mettici pure che tornare in Italia era complicato, perché era febbraio 2020, stava arrivando il covid, così iniziammo a pensare a questa storia, come contrappunto alla coralità di Favolacce e anche alla sua gommosità. Ne volevamo una che andasse più dritta al punto e ci piaceva l’idea di essere vagamente frustranti, ci siamo lasciati sedurre dal fascino della cripticità in alcuni passaggi”.

L’idea iniziale qual era? Un uomo si sveglia un mattino e il mondo intorno a lui inizia a crollare?

F: “No era: un uomo che ha una famiglia esemplare, un lavoro ordinario e non vive in una periferia ma in un luogo lontano dai riflettori abbastanza abbiente che rappresenta il suo ideale di casa, un giorno scopre in cantina una bambina che non sa chi sia ma che lo incolpa o sembra incolparlo della sua prigionia. Quest’uomo vive una scissione, una situazione sopra da padre normale e una sotto da chissà chi. Molto straight e semplice”.

casa america latina

Siete affascinati dal criptico?

F: "È quello che ci ammalia da sempre come spettatori, il fatto che non esista un’unica lettura per quel che vedi. Che poi è il senso della vita. Uno potrebbe vedere la mia vita e dire che è soddisfacente ma io con le mie percezioni gradualmente potrei trasformarla in un incubo e questo mi affascina anche nei film. Il grande cinema non emana mai sentenze e non è mai uno statement, è sempre una somma di domande, e pensavamo che questo film potesse offrirne molte. È il tipo di cinema che amiamo e siamo predisposti a fare”.

È rarissimo vedere un film italiano che vuole parlare la lingua delle immagini, che fa una ricerca visiva di questo tipo più che una di scrittura, e poi come sempre nei vostri film c’è un lavoro di location incredibile, che di nuovo non è frequente nel nostro cinema che pare girato tutto negli stessi posti. Come fate? Vi appoggiate ai location scout?

DAMIANO: “Per La terra dell’abbastanza e Favolacce abbiamo lavorato su posti che conosciamo, abbiamo passato parte dell’infanzia sul litorale romano tra Anzio e Lavinio e conosciamo bene quei resti di vita, quelle vite con le ciabatte, non facciamo fatica a trovare un po’ di realtà e dell’interesse filmico. Pure i borghi di America Latina li conosciamo perché da quelle parti vivono i nostri genitori da circa 15 anni, conosciamo la tristezza di quelle vite e quegli orizzonti. Lo stesso i collaboratori sono importantissimi, per questo film ci siamo appoggiati ad un giovane regista, Alain Parroni, che esordirà quest’anno nel lungo con un suo film, è un grande conoscitore di quei luoghi e ha un occhio da regista. Per la serie che stiamo preparando invece abbiamo preso come location manager un reporter di guerra, per dire di quanto e come è importante de-linearizzare. Certo ci sono le film commission che ti propongono location comode ma spesso preferiamo location scomodissime dove è difficile girare, come la casa di America Latina. Lì sopra ci passano tantissimi aerei e non far entrare quell'audio rumoroso è complicato ma era troppo bella”.

E quindi come l’avete trovata?

D: “Avevamo un location manager che aveva segnato in verde le location buone, in giallo quelle meno buone e in rosso quelle non adatte. Quella aveva il bollino rosso e abbiamo voluto vederla subito, anche solo per capire chi ci vive”

E chi ci vive?

D: “Persone molto normali, almeno apparentemente. Siamo molto aperti a cose strane e iconiche anche nel loro orrore o sbaglio, siamo sempre attratti dagli orrori urbanistici perché siamo romani e ne siamo circondati”.

L’avete dovuta modificare?

D: “Moltissimo. Ci ha pensato Roberto De Angelis e la sua squadra. È una villa fatta di vetrate e per mantenere una coerenza tra una scena e l’altra bisogna spendere molto di illuminazione, così che non si veda che magari la posizione del sole non è la stessa o che è arrivata un nuvola… Ma era troppo aderente al film e nessun’altra sarebbe stata come questa, con quella forma non lineare e distorta.
Una cosa che non si dice mai abbastanza è che gli incubi non fanno solo paura, spesso sono goffi e quelli che mi fanno più paura sono quelli più goffi. E questo volevamo nel film qualcosa di un po’ goffo e ridanciano”.

Mi pare evidente che quel che vi appassiona nei film sono le cose e le persone storte e sbagliate.

D: “Io e Fabio ci sentiamo storti e spaiati e siamo attratti da qualcosa di simile per analizzare le nostre storture e i nostri sbagli, una ricerca per sentirsi meno soli nel mondo. Quando trovo del bello nello storto mi sento meno sbagliato e respiro meglio”.

America Latina famiglia

Sì ma di più, quelle storture viste come le inquadrate nei vostri film hanno del bello. C’è dell’amore nei loro confronti

F: “A prescindere da bellezza o bruttezza la componente della compassione ti fa apparire bello qualcosa che non lo è, se lo sguardo è partecipe non puoi che entrarci connessione e la differenza tra bello e brutto è che la bruttezza ti chiude una porta in faccia (bruttezza intesa come ignoranza o banalità)”.

America Latina è il terzo film che fate in cui la questione centrale è il rapporto padre/figli

F: “Tutte le tragedie nascono nella famiglia, vengono dall’educazione e dall’esigenza di affermare un’indipendenza di pensiero e quindi staccarsi dalla famiglia, è qualcosa sempre in tempesta, un nucleo nel quale i ruoli non cambiano mai (sei figlio anche a 80 anni se tuo padre ne ha 100). Se la famiglia l’hai vissuta male (e secondo me non esiste una famiglia veramente felice) quei fantasmi te li porti per sempre appresso. Poi noi siamo due fratelli quindi il tema che ci unisce è la famiglia e la fratellanza, anche il nostro prossimo film sarà sulla famiglia, anche se sarà una dark comedy (probabilmente eh, perché al momento stiamo scrivendo quello)”.

D: “Sicuramente non è un’operazione conscia, è parte delle questioni irrisolte che ci ficchiamo dentro. Se ci fai caso in tutti e tra i film c’è un compleanno che va male”.

C’è un compleanno pure alla fine di La ragazza ha volato, il film di Wilma Labate co-sceneggiato con voi

D: “In realtà la sceneggiatura di quel film è tutta nostra, molti hanno scritto che è nostra e sua, ma è solo nostra, nei pregi e nei difetti”.

L’hanno scritto perché era quello che dicevano i credit

D: “Sì è vero, infatti ora è cambiato, era stata una svista credo”.

State scrivendo una dark comedy, pensate di poter far ridere?

F: “Abbiamo un senso dell’umorismo abbastanza macabro o comunque siamo legati a certe storture che ci fanno ridere, quando abbiamo girato America Latina, che è un film teso, al monitor ridevamo e in certi casi dovevamo dare lo stop perché si sentivano le nostre risate, cioè Elio sentiva le risate e non riusciva a concentrarsi.
Poi noi siamo legati alla bibbia della comicità, cioè I Simpson, e dare libero sfogo a questo aspetto è fantastico”.

Eh infatti mi pareva che lo scantinato della casa di America Latina fosse uguale allo scantinato dei Simpson, con la scala da un lato e il tubo in mezzo. Poi si allaga pure ad un certo punto…

D: “Ma non è l’unica citazione, cerchiamo di mettercele sempre. Anche in Favolacce c’è la piscina come quella di Martin Prince, che infatti poi si buca ed esce tutta l'acqua.
Ad ogni modo non sappiamo come finirà con questo film, lo stiamo scrivendo, poi magari ne facciamo un altro o addirittura questo non la facciamo mai”.

simpson piscina martinAdesso dovrà uscire una vostra serie no?

F: “Sì la iniziamo a fine settembre, siamo nella fase di casting che è la più bella”

E poi c’è sempre il film che avete sviluppato al Sundance Lab con Paul Thomas Anderson. Che chiunque si sarebbe affrettato a fare mentre mi pare di capire sta ancora lì in un angolo

D: “Quello dobbiamo capire come farlo, ogni tanto ci proviamo a metterlo in piedi, l’abbiamo fatto prima di Favolacce e dopo America Latina ma produttivamente è difficile perché un certo tipo di western, sul mercato, statisticamente non va molto bene”.

Spesso nel leggere vostre interviste, noto che fate nomi di registi che stanno per esordire e che vi piacciono o di persone che forse potranno esordire e che a modo vostro sponsorizzate, fate un gran lavoro di promozione di giovani talenti che vi piacciono. Avete pensato a iniziare a produrre pure?

D: “Sì, decisamente sì. Il tempo è il problema, appena finito Favolacce eravamo ad un passo dal fare la nostra casa di produzione e ci siamo fermati perché ci vorrebbe una tripla vita. Non avendo una casa di produzione ora il meglio che possiamo fare quando notiamo qualcuno che ci appare valido è portarlo dal nostro agente Jean Paul Bosco. È successo con Alain Parroni e Simone Bozzelli che esordiranno quest’anno, ma è successo anche con un altro ragazzo, Secco Trash, che farà un film quest’anno scritto da noi per lui a partire da un suo soggetto. Si intitola Bassifondi.
Queste persone spesso ce le mettiamo sul set per respirare il tanfo dell’adolescenza, anche di quell’irruenza così creativa e maleducata che è necessaria nel cinema.
Io 'sta società di produzione la vorrei aprì ma voglio pure avere lo spazio per vivere, per stare con il mio cane o con la mia compagna, il mondo del cinema italiano è molto richiedente ha bisogno di grande energia, la bulimia creativa che abbiamo riuscivamo a farla entrare nella nostra dieta emotiva ma metterci poi un carico importante come quello della produzione è troppo. Meglio non essere produttore che essere un produttore che fa danni”.

È parte di un rapporto unico che avete con il pubblico, so anche che siete tra i pochissimi registi italiani affermati che rispondono a tutti quelli che gli scrivono.

F: “Io rispondo a tutti, anche a quelli che ti finiscono nelle richieste in attesa, se loro impiegano tempo per scrivermi io lo impiego a rispondere. Leggo tutti i commenti, anche se non è facile. Ci siamo passati e lo sappiamo che se vuoi debuttare provi a far leggere quel che hai scritto a chi stimi, ma poi pochi le leggono davvero. Io più che leggere una roba che arriva dalla nostra agenzia leggo quello che mi mandano altri ragazzi e non è che sono spietato, sono realistico, non voglio dire: “Ah carino, vai avanti”, sono critico come sarei critico con un copione di un amico vero. Cerco di comportarmi come avrei voluto che sì fossero comportati con me i grandi registi che ammiravo”.

america latina tavola

So da vari racconti di amici e colleghi che siete pure duri sui social…

D: “Io i social non ce li ho e quindi non so manco di che stiamo parlando ma se posso dare un consiglio a mio fratello è di levarsi anche lui dai social”.

F: “Ma a me non mi importa dell’apparenza, non voglio sacrificare una cosa così importante come aiutare un ragazzo. I maleducati però sono un’altra cosa. Il fatto che stai sui social non è che ti dà la possibilità di insultare, come non bisognerebbe insultare in un qualsiasi contesto pubblico, credo sia la normalità dei fatti. Guarda caso non mi è mai capitato che qualcuno faccia a faccia fosse offensivo, anche nel muovere critiche ai film. Io lo so bene poi che se rispondo l’errore è sempre mio eh, ma online esistono toni che nella vita vera nessuno si permette, e questo è universale, non solo in ambito artistico: se in una pizzeria non ti piace la pizza che ti hanno servito puoi farlo presente, ma non diresti mai ‘senti idiota la tua pizza è ignobile, fa vomitare come il tuo schifo di locale’".

D: “Alle volte penso che rappresentiamo un oggetto spurio, come se fossimo i simulacri di parte del pubblico, un simulacro che sta lì e fa film. La maniera polverosa e terra terra in cui parliamo dà l’idea che il cinema è raggiungibile rapidamente e senza grandi sforzi (idea confusa e non vera) e che quella casella l’abbiamo occupata noi e quindi non la possono occupare altri. Questo sento nell’aria. Io non sto sui social perché penso che ognuno possa elogiarci o romperci le palle ma non voglio saperlo. Temo che saperlo poi mi faccia diventare quello che odiamo, quelli che si siedono e non se ne vanno per 40 anni. Vorrei sempre sentirmi scomodo come se il film che sto facendo sia l’unico che ci faranno fare, sentirmi sempre un po’ come io e mio fratello contro il mondo con l’esigenza di proteggere il film e quindi dargli subito l’impronta nostra più forte possibile, perché non ce ne faranno fare mai più.
Io amo i critici e adoro leggere le recensioni ma non vado a leggermi le critiche dei miei film per questa ragione”.

Trovate tutte le informazioni su America Latina nella nostra scheda.

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