EXCL - Smetto Quando Voglio - Masterclass, abbiamo intervistato il grande villain della saga!
La nostra intervista esclusiva al villain di Smetto Quando Voglio - Masterclass, Luigi Locascio
Ci sono pochi dubbi sul fatto che la comparsa del villain di Smetto Quando Voglio - Masterclass (e poi anche del successivo terzo film) farà impressione, perché per interpretarlo è stato scelto uno dei volti più noti del cinema italiano ma anche più lontani da questo tipo di film: Luigi Locascio.
Molto più truce e spietato del Murena di Neri Marcorè, soprattutto molto più potente e pesante, dotato di un vero e proprio piano da attuare, motivazioni e interessi che incrociano se non proprio contrastano con quelli della banda dei ricercatori, la riuscita del suo villain costituisce uno dei punti interrogativi più interessanti di questo film.
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Già solo il lessico tramite il quale ce l’ha spiegato è indicativo della distanza (ammessa e mai nascosta) di questo attore dal cinema che usa i villain e dà vita a contrasti fortissimi. Il mix tra le due cose è già incredibile in un’intervista e potrebbe dar vita ad una figura davvero unica.
Appena ho capito di che si trattava, subito il tuo mi è sembrato un personaggio con pochi precedenti nel cinema italiano recente, non tiro fuori il film di genere anni ’60 e ’70, mi limito a quello degli ultimi anni e un cattivo così sopra le righe non mi sembra di averlo visto...
LL: Non so, posso dirti di certo che a me suona nuovo. Del resto le intenzioni di una storia come quella di Smetto Quando Voglio suonano nuove ed è logico quindi che anche gli elementi che la compongono se non altro cerchino di essere inediti. Senza voler scoprire niente eh!
Pensa che io volevo tantissimo essere in un film come questo fin da quando l’ho visto e quando Matteo Rovere e Sydney Sibilia mi hanno chiesto e potevamo incontrarci io ero felice di poter entrare con un personaggio come quelli che avevo visto. Invece è il contrario, quello che mi si chiede è di essere l’antagonista di tutto questo, motivo e di trovare quindi le caratteristiche giuste per un villain di queste persone. Di certo, essendo una saga dovrà avere dell’epico e dell’accentato.
Cosa ti era piaciuto subito e così tanto di quei personaggi del primo film?
LL: Ancora prima dei bravissimi attori mi aveva colpito era la scrittura, perché appena entrano in scena uno li conosce e da quel momento non li dimentica più. Il divertimento è già lì, nella loro corda espressiva, nel loro modo di pronunciarsi e farsi vedere.
Oggi ho visto che tu entri in scena... con il vento nei capelli. Una cosa già epica. Direi che ci siamo con l’entrata in scena che da sola spiega tutto.
LL: Beh si. Già nel primo i personaggi hanno qualcosa di eroico, in come si muovono, come camminano insieme e se deve essere un cattivo che gli si frappone, allora deve avere qualcosa di spiccato che si faccia notare anche lui. Da qui un ingresso simile, come un sipario che si apre e lui entra in scena.
Pensi che il fatto che abbiano scelto proprio te per questo ruolo abbia un valore aggiunto? Che l’immagine che nel tempo ti sei costruito agli occhi del pubblico genererà una sorpresa in questo contesto? Insomma che a un certo punto si aprirà la porta del camioncino, uscirai tu e tutti penseranno “Oddio ma è Luigi Locascio!!”?
LL: (ride d’imbarazzo) Mi auguro sinceramente non che dicano che c’è Locascio ma che dicano “Chi è questo essere strano?”, cioè che proprio il mio background di attore e quel che faccio di solito venga dimenticato subito quando si apre quello sportello, quasi come non mi avessero mai visto, perché non mi hanno mai visto così. Se invece lo spettatore dovesse pensare “Ma che ci fa Locascio qui?”, se ancora mette in relazione persona e personaggio, vuol dire che partiamo da una condizione sfavorevole che spero di recuperare nelle altre scene. Preferirei si partisse subito con: “Ma chi è questo vestito di nero, che centra ora? E perché guarda male il protagonista?? Che ci fa lì? Cosa succederà ora???”.
Tornando alla stranezza di questo tipo di personaggio per la nostra tradizione, c’è qualcosa del passato del cinema italiano cui hai guardato, anche solo per iniziare a lavorarci sopra?
LL: C’è una cosa che Sydney mi dice sempre: “Potrai essere bravissimo ma non supererai ma il più grande villain del cinema italiano: il geometra Calboni di Fantozzi”, me lo dicono continuamente per tenermi umile. [ride ndr]
Io invece avevo pensato più che altro a figure come Adolfo Celi in 007 Operazione Thunderball…
LL: Il fatto è che io ho cominciato a vedere film molto tardi. Il mio amore e la mia passione sono teatrali, casualmente ho fatto I Cento Passi. Pensa che era il mio primo provino di cinema e non ero nemmeno mai stato davanti ad una macchina da presa, anche se ero attore da 7-8 anni e aveva fatto l’Accademia. Non amavo il cinema come ora e lo conoscevo poco. A parte i grandi maestri, tutto il cinema che ho visto l’ho recuperato dopo, in questi 15 anni. Ho visto tutto Kubrick, Herzog e Lynch ma molto l’ho guardato di pari passo con il cinema fatto in questi anni, per me i film sono soprattutto quelli fatti dal 2000 in poi. Non ho mai esplorato per dire il cinema di genere né quello americano d’azione, quello mi manca e sono vergine in questo senso.
Quindi quando ti parlano di “villain” tu a cosa pensi?
LL: I fumetti letti da bambino, supereroi come Black, il Comandante Mark, I Fantastici 4 o Zagor, che poi è la stessa sorgente da cui viene il cinema americano d’azione di adesso. Considera inoltre che la parola villain la usa anche Shakespeare. Ci sono dei colossi del negativo anche nei suoi testi ed è appropriato al caso specifico perché il conflitto che ha con la banda dei ricercatori non è qualcosa di piccolo e ridotto ma ha una consistenza abbastanza ambiziosa, almeno dal punto di vista del disegno del male. Quindi ci si può ispirare ai colossi shakespeariani.
Quando hai letto per la prima volta il copione completo quali scene più ti hanno messo la voglia di girarle? Più quelle cui sei meno abituato, d’azione o più quelle più canoniche, quelle molto dialogate e d’interno?
LL: Gli attori hanno sempre la tentazione di giocare a guardie e ladri e fare inseguimenti. C’è una vera e propria fascinazione per i momenti d’azione. Tuttavia più che altro avevo voglia di avere il piacere di lavorare con loro, sono tutti attori che conosco, alcuni proprio personalmente e li stimo parecchio. L’idea di ritrovarmi con loro sul set anche se in forte conflitto, mi attraeva più di tutto.
Tu sarai in entrambi i film giusto?
LL: Sì e sono molto diversi l’uno dall’altro, non saranno fotocopie. Il terzo sarà un salto totale, quindi posso assicurare al pubblico che vedranno cose che hanno tratti di somiglianza ma anche di grande sorpresa. Uno insomma potrebbe accontentarsi di tendere a personaggi che somigliano un po’ a pupazzi e invece la conquista di Sydney sta in come lavora con gli attori, come li cura. Cioè per dire i supereroi hanno tratti scolpiti con l’accetta, invece qui c’è la statuarietà dell’epica e dell’eroe ma dall’altro lato poi tiene conto molto di certe sfumature e sottigliezze dal punto di vista sentimentale ed espressivo.
Ti ho visto lavorare oggi tutto il giorno e c’era solo azione, eri in ogni inquadratura ma avrai detto forse una battuta sola. Ti mette in difficoltà questo oppure capita anche sugli altri set?
LL: Ma guarda io lo preferisco: meno si parla, meno si sbaglia [ride ndr]. Se regista o sceneggiatore pensano che la situazione parli per sé, che la scena già racconti qualcosa anche senza battute allora va bene così e se andrà male non difficilmente sarà colpa dell’attore.
Immagino poi sia molto una questione di recitare col corpo. A tal proposito c’è un attore che ti piace per come sa gestire il corpo. Solitamente si nominano in questo caso i vari Jackie Chan o Harrison Ford, tu hai preferenze?
LL: Beh io ti direi Bruce Lee.
Ma un attore come te, con la tua carriera e i ruoli che solitamente interpreta, cosa impara da uno come Bruce Lee?
LL: Non so se lo imparo ma quello che mi dà quando lo vedo è un senso di meraviglia e stupore, è proprio il silenzio e la capacità nell’immediato di passare da una condizione di calma e apparente inerzia al gesto che impegna tutto il corpo contemporaneamente, con una grandissima misura senza nessuno spreco, senza nulla fuori posto, fino a diventare tutto gesto, fino a che la figura diventa un unico punto che si muove inaspettatamente in maniera bruciante ed esplosiva fino a poi tornare in una condizione di quiete. Qualcosa che ha a che vedere con la danza o con la misura e l’essenzialità di certe composizioni musicali.
Sempre oggi vedendoti lavorare notavo che riguardi volentieri te stesso nel monitor. Una cosa che non tutti fanno. È per esigenze tecniche o ti serve?
LL: Alle volte mi riguardo semplicemente per dei raccordi, per capire cosa ho fatto prima e non essere incoerente nella scena successiva. So che alcuni non si piacciono e si paralizzano nel rivedersi, invece io lo uso come strumento di studio. Non so davvero come si facesse quando non c’erano i monitor sul set e si guardavano i giornalieri ogni sera, quando la scena ormai era fatta. Dovevano avere una gran percezione di sé. Io molte volte solo guardandomi colgo cosa potrei fare meglio.
Ecco la sinossi ufficiale:
La banda dei ricercatori è tornata. Anzi, non è mai andata via.
Se per sopravvivere Pietro Zinni e i suoi colleghi avevano lavorato alla creazione di una straordinaria droga legale diventando poi dei criminali, adesso è proprio la legge ad aver bisogno di loro. Sarà infatti l’ispettore Paola Coletti a chiedere al detenuto Zinni di rimettere su la banda, creando una task force al suo servizio che entri in azione e fermi il dilagare delle smart drugs. Agire nell’ombra per ottenere la fedina penale pulita: questo è il patto. Il neurobiologo, il chimico, l’economista, l’archeologo, l’antropologo e i latinisti si ritroveranno loro malgrado dall’altra parte della barricata, ma per portare a termine questa nuova missione dovranno rinforzarsi, riportando in Italia nuove reclute tra i tanti “cervelli in fuga” scappati all’estero.
La banda criminale più colta di sempre si troverà ad affrontare molteplici imprevisti e nemici sempre più cattivi tra incidenti, inseguimenti, esplosioni, assalti e rocambolesche situazioni come al solito… “stupefacenti”.
Scritto da Sydney Sibilia con Francesca Manieri e Luigi Di Capua, Smetto quando voglio – La Trilogia è una produzione Groenlandia, Fandango con Rai Cinema prodotto da Domenico Procacci e Matteo Rovere. La fotografia è di Vladan Radovic, il montaggio di Gianni Vezzosi, le scene di Alessandro Vannucci, i costumi di Patrizia Mazzon e il suono di Angelo Bonanni.
Il primo dei due film uscirà in sala il 2 febbraio 2017 distribuito da 01 Distribution.