EXCL - Matteo Rovere ci svela tutti i segreti di Veloce come il Vento!
Matteo Rovere ci racconta nel dettaglio la terza regia, Veloce Come Il Vento. Dal finale misterioso, alla prova "pericolosa" di Accorsi, alla singolare lettura dell'epilogo da parte di Gianni Morandi
Siamo ad Imola dove l'ex pilota rally diventato tossico Loris De Martino (Stefano Accorsi) incontra dopo tanti anni la sorella più piccola Giulia (Matilda De Angelis), aiutandola a gareggiare dentro il campionato Gran Turismo dove lei, se non vince, si troverà non solo sconfitta ma costretta a cedere la casa di famiglia dove vive, orfana di padre e madre, in compagnia del fratellino Nico (Giulio Pugnaghi). L'intervista, realizzata negli uffici della casa di produzione romana di Matteo Rovere Ascent Film, è, in linea con gli incontri lunghi e approfonditi realizzati da BadTaste.it con Gabriele Mainetti e Paolo Genovese, particolarmente adatta a chi ha già visto il film, sia perché si entra nel dettaglio sia perché si discute, anche dialetticamente, riguardo il finale del film. Per cui attenzione se volete evitare spoiler. Per tutti gli altri, ovvero quelli che hanno contribuito in sala a far arrivare Veloce Come Il Vento a 2 milioni e mezzo di euro di incasso + anche i fan di Gianni Morandi... buona lettura!
È un momento in cui stiamo tornando alle quattro ruote anche perché esce Microbo e Gasolina di Gondry. Qual è il tuo rapporto con le macchine della tua vita e con la macchina in generale?
Il film ha varie partenze vicine alla mia vita. Quando avevo 15, 17 anni passavo molto tempo con mia nonna, la mamma di mio papà, la quale possedeva una Peugeout 205 1600 Diesel. Era una macchina geniale. Vecchissima. Ho imparato a guidare con quella macchina e devo essere sincero... anche prima dei 18 anni la rubavo spesso a mia nonna. Ci andavo in giro con mia sorella. L'elemento meccanico mi affascina e mi diverte. Il mondo delle macchine mi incuriosisce. Non tanto per una fascinazione per la velocità che possiamo definire quasi futurista, quanto piuttosto per l'idea della macchina come strumento di esaltazione. Soprattutto le macchine sportive.
Puoi essere più specifico?
In fondo sono oggetti inutili e fini a loro stessi o meglio finalizzati alla sola esperienza. Questo mi affascina. E poi ovviamente la base di Veloce Come Il Vento è mio papà che mi portava quando ero piccolo da questo meccanico di macchine d'epoca che si chiamava Gianni Sciullo, un personaggio veramente interessante. Passavamo con lui e la sua squadra degli interi weekend mentre li vedevamo riparare le macchine d'epoca. Prendevano delle macchine da 6-700 mila lire e le assemblavano pezzo per pezzo. Dalle 500 alla Lancia Flavia, Fulvia, tutte le Lancia in generale. A me, che in tutta sincerità me ne fregava relativamente di quella roba lì... vederli tanto appassionati mi ha lasciato qualcosa.
È un mondo che ti ha catturato?
Sì, perché c'è la passione vera quasi fine a se stessa. Questa passione della modifica del mezzo e della rielaborazione o della ricostruzione di un modello attraverso componenti esterni. Poi se ci pensi... ora questa cosa è completamente démodé...
E dunque perché questo interesse?
Io faccio film e in giovinezza mi sono sempre trovato esaltato da queste pellicole che avevano la macchina al centro. Da quelli più cheap tipo Taxxi (1998), prodotto da Besson, a Ronin (1998) di Frankenheimer e cioè tutto quel cinema che metteva in scena le auto in corsa. Ho rispolverato dopo anche il poliziottesco italiano perché io a quel genere sono arrivato tardi, diciamo dopo i 25 anni. Alla fine riflettendo... ho pensato che quel tipo di film con la macchina molto protagonista dentro i fotogrammi mancava al nostro cinema. Poi le aderenze familiari e le esperienze di vita che ti ho raccontato... mi hanno fatto venire definitivamente la voglia di farlo.
Come ha reagito l'esterno inizialmente a questa tua intuizione?
I miei sceneggiatori di fiducia sono tutti un po' intellettuali e quindi hanno reagito con una certa diffidenza. Domenico Procacci invece no. Procacci si è subito entusiasmato.
Perché?
Perché è un uomo che va in giro con una Bmw M3 e cioè una macchina un po' pazzoide.
Lui forse, da ragazzo classe 1960, ancora di più appartiene a una generazione meccanica e analogica...
Lui è uno da pista, da modifica. Domenico è quello da moto fuori dal bar. Forse questa roba è anche il senso della provincia rispetto a chi come me e te è cresciuto a Roma, città che ottura e ottunde. Questa idea della provincia d'Italia come luogo di elezione della meccanica e delle macchine è poi andata completamente a finire nel personaggio di Loris. L'odore di benzina, la sporcizia e il fatto che lui si appassioni così tanto alle macchine... è la vera droga. L'altra droga, il crack, è stata chiaramente trattata come metafora.
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E poi il mondo dei piloti. Dei cavalieri pazzi, no?
Una passione assoluta. Adesso c'è stato l'anniversario della morte di Ayrton Senna (1 maggio, N.d.R.) e ho visto dei personaggi così tanto pittoreschi e affascinanti da dover essere normalizzati davanti a una macchina da presa altrimenti il pubblico non ci crede.
Infatti il cinema ha sempre avuto difficoltà a raccontare la Formula Uno, ad esempio...
Siamo bombardati dalla realtà di immagini con una grammatica visiva del racconto della pista e delle gare ottima, oserei dire sublime. Dalla Formula Uno alla Moto Gp... è pazzesco. Mi sono dovuto veramente chiedere come riprendere qualcosa per il cinema che è già ripreso così bene per gli appassionati a casa davanti alla tv.
E come hai deciso di agire?
Ho pensato a due cose: a quello che mi veniva in mente mentre facevo gli altri film e quindi abbassare la macchina da presa all'altezza degli occhi degli spettatori. E poi il gioco di inventarsi degli strumenti, due in particolare, predisposti a far correre la macchina da presa insieme alle automobili. Sembra una banalità ma se ti vai a vedere tanto cinema automobilistico... c'è questa idea della soggettiva della macchina che sfreccia a tutta velocità che io ho sempre amato ma che ho cercato di traslare in una chiave più di dinamica esperienziale. Infatti il racconto sonoro non è mai didascalico ma fisico. Ti deve restituire quella parte che l'immagine non ti sa dare. Diciamo che tu sei un regista e stai lì con pochi soldi rispetto anche alla messa in scena di un gran premio che vedi in tv e che, ripeto, ha una regia pazzesca. Che fai? Tu nella regia televisiva del gran premio hai, sia per quanto riguarda macchine che moto, tutte le inquadrature del veicolo... compreso il culo di Valentino Rossi!
In cosa allora il cinema può distaccarsi?
Le macchine da presa altezza strada che seguono le ruote, le oggettive esterne in generale. Loro ovviamente questo... non lo possono fare.
Un trucco per me non male è stato anche quello di stare in fondo poco tempo in pista proprio per tutto quello che mi stai dicendo. Parliamo di sonoro. Suppongo che da cinema a cinema possa variare l'esperienza e infatti io ho l'ho visto due volte in due sale di Roma... e ho avuto due esperienze diverse. Anche in base a questa variabile di sala cinematografica, hai impostato il lavoro sul sonoro tenendo conto di un minimo comun denominatore?
Dunque... discorso complesso. In Italia la media di sale cinematografiche non è eccezionale e manca un'implementazione tecnica soprattuto nei centri cittadini. Questa cosa non è buona per chi cerca di fare quello che possiamo chiamare... cinema da sala cinema. Il mix del film è un mix molto difficile. Il film è come se... in dieci cinema diversi suonasse in modo diverso. È un'orchestra di composizione di montaggio del suono che non si fa quasi mai in Italia. Abbiamo costruito la pista svuotando tutto il suono e rimettendo da zero i motori. Nelle piste sonore ci sono suoni che costruiscono la massa del motore composti da ruggiti di leoni, un coro angelico di una chiesa, i suoni dei boiler industriali che vibrano e che siamo andati appositamente a incidere. C'è tanta costruzione sopra la pancia del motore. È dunque proprio vero che di sala in sala l'esperienza può cambiare diametralmente. Posso dire che all'Arcadia di Melzo a Milano e al Cinema Adriano a Roma il film ha suonato veramente bene. Anche al The Space Moderno, sempre di Roma.
Mi parli del missaggio?
È missato a 7.1, ovvero un tipo di mix non comunissimo. In Italia film italiani non fatti a 5.1... sono veramente pochi. C'è stato Youth fatto in Dolby Atmos e ovviamente in quel caso hai bisogno di una sala Atmos. Sale cinematografiche 7.1 che ti restituiscano perfettamente l'esperienza... sono veramente poche. Se uno vuole fare un'esperienza estrema con Veloce Come Il Vento, quando uscirà il dvd o blu-ray, sarà vedere Veloce in cuffia.
Perché?
Nel blu-ray avremo l'audio binaurale, una roba veramente pazzesca.È un mix apposito fatto per sentire il film in cuffia.
Ok... quindi mi vuoi dire che per il tipo di mix estremo che avete progettato... te la sei rischiata molto e dipende tutto da sala a sala?
Il mix è molto tirato. I punti veramente critici sono la comunicazione a distanza in cuffia tra Loris e Giulia durante la gara di Imola. Ci sono momenti in cui lei gli dice: “Non ti sento”. L'ho fatto apposta perché il mix lì è veramente al limite. In alcune sale dove la restituzione è massima... senti anche quella scena. C'è anche da dire che per i primi 10 giorni di programmazione abbiamo avuto sale fiche e poi, purtroppo come sempre capita con i film italiani, siamo andati in sale che possiamo chiamare di serie b... dove il film suona decisamente peggio.
La color correction mi sembra molto pensata. È vero?
Michele D'Attanasio è il d.o.p. mentre la colorist è l'espertissima di In House Post Rocio Valladares Alegria. Lei e Michele hanno fatto un lavoro che doveva mettere insieme tutti i sistemi di ripresa che abbiamo utilizzato. E ne abbiamo usati tanti: Red, Alexa, Blackmagic, Blackmagic Pocket Cinema, 2k, 4k e addirittura ci sono delle sequenze con i droni fatte con delle telecamere della Sony. Sei tipi di macchina da presa diverse. La Blackmagic Pocket Cinema è sì una macchina miniaturizzata ma non come le macchine con cui facevamo le web series dei The Pills come le Canon. Le Blackmagic sono delle macchine cinema minime che riprendono un po' il concetto delle vecchie Aaton Super 16mm di fabbricazione francese di quando io ero piccolo. Quelle macchine erano così piccole che le potevi alloggiare in luoghi impensabili. Le Blackmagic Pocket le puoi mettere dove la Alexa non può entrare ovvero dentro i nostri rig. Noi andavamo in giro con le automobili “riggate” ovvero circondate da costruzioni esterne che permettevano di mettere la macchina presa in alloggi vicini a Porsche che andavano a 220-240 km orari in pista.
Avete rotto qualche camera?
Sì.
Quante?
Tre. Abbiamo messo le micro camere sui dettagli delle ruote, ad esempio. Quindi, per tornare alla tua domanda sulla color, il primo lavoro da parte di Michele e Rocio è stato quello di "matchare", come diciamo in gergo, tutto questo materiale come ti ho detto girato con macchine diverse.
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Ok. Quindi prima si "matcha" e poi?
E poi si entra più nello specifico ovvero... che colore vuoi dare alle gare? Io non volevo annoiare. Il mio intento era quello di dare allo spettatore un racconto limitatamente sportivo e decisamente più emozionale e fisico ed è per questo che non ho scelto il villain per Giulia dentro le piste...
Non ci sono il Michael Rooker o il Cary Elwes di Giorni Di Tuono (1990) insomma...
Esatto. Lì in Giorni Di Tuono diventava quasi una cosa a due tra Rooker e Cruise. Sono altri i terreni di conflitto di Giulia. Volevo che l'esperienza di pista fosse sempre dal suo punto di vista. Soggettive sonore e soggettive cromatiche. Tutte le piste hanno una temperatura diversa. Il complimento migliore che mi arriva è dalle mie vecchie zie che fino a ieri non sapevano bene che lavoro facessi e che oggi mi dicono: “Non me ne frega niente delle macchine. Non mi sono mai annoiata”. Io spero che lo spettatore si goda la parte action sportiva di Veloce Come Il Vento senza sentirla mai troppo dominante. È un racconto emotivo attraverso il genere, idea che alla fine, per me, rappresenta un sistema di pensiero cinematografico che funziona sempre. Per tornare alla color correction... dovevamo anche fare in modo di avere alla fine una color che ci desse una resa visiva diversa da quei bellissimi gran premi che vedi in tv.
Passiamo al dialetto. Come mai Giulia ha un'inflessione dialettale minore rispetto a Loris?
Stefano Accorsi doveva accentuare il timbro perché mi sono sempre immaginato Loris come uno che ha studiato poco e parla naturalmente in dialetto.
E Giulia perché no?
Giulia l'ho sempre immaginata più istituzionalizzata e lontana dal mondo dei nonni, anche linguisticamente, rispetto al fratello Loris. E' una diciassettenne che va a scuola. Poi... oltre al tentativo di differenziarla da lui... c'è anche l'idea di non forzare una giovane attrice come Matilda De Angelis al suo primo film, mentre invece con Stefano siamo andati più in profondità perché è un veterano della recitazione. Lui forza e tira. Con Matilda... ho deciso di lasciarla libera e con la tempia azzurra... perché ho voluto trarre ispirazione dalla realtà visto che le donne pilote sono a volte variopinte e vivaci cosplayer di loro stesse, anche un po' "coattone", e quindi volevo che anche lei avesse un look tribale da amazzone dei motori.
Quindi non hai mai pensato, per esempio, di far esplodere Giulia con il dialetto in una scena?
Non ci ho mai pensato, devo essere sincero. Abbiamo tagliato scene in cui entriamo più nell'intimità di Giulia e abbiamo scelto di eliminare scene con il suo fidanzato. A volte mi dicono: “Ma Matteo... quelle scene avrebbero aiutato” e io invece penso che... non è vero... perché mi piace questo mondo dove lei è chiusa tra garage, scuola e badare al fratellino. È una scelta atipica che volevo tenere ma guarda che è atipica... più per noi che veniamo dalle città. Veloce Come Il Vento è un film a Roma visto ma nemmeno troppo... perché è uscito tanto dai grandi centri e questo mi sembra interessante e originale.
È vero. Il film non è romanocentrico o milanocentrico e quindi appartiene alla provincia ma soprattutto all'Emilia-Romagna, regione atipica perché epica e quotidiana insieme. E' un film loro?
È un film totalmente loro.
E loro... possiedono l'epos?
È una regione carica di epos. Imola è il tempio mondiale dell'automobilismo ma non solo perché lì c'è morto Ayrton Senna. Tu lì in un'area di 50 km hai Sant'Agata Bolognese dove hai la Lamborghini e poi Maranello dove c'è la Ferrari, per non parlare di tutti i designer di telai di cui la regione pullula. È una terra che ho studiato tanto perché mio nonno era di Imola. È veramente strano che l'Emilia-Romagna non abbia una film commission.
Tornando alla lingua e alla grandeur di una terra che ha prodotto italiani mondiali fanatici dell'espansionismo come Federico Fellini, Bernardo Bertolucci, Vasco Rossi e a suo modo anche Benito Mussolini... c'è un po' nel film il senso di un dialetto imolese che sa di elfico de Il Signore Degli Anelli?
Sì, certo. Dargli un linguaggio fantasy è essenziale perché è un mondo che ha una sua lingua, i suoi meccanismi e le Porsche sono nei granai. L'immagine della Porsche dentro l'officina agricola della famiglia De Martino mi piaceva tantissimo.
Anche Robert Duvall in Giorni Di Tuono viveva la sua vita tra piste e fienili, grano e pistoni, piste da bruciare e campi da arare. Un mondo, un ambiente, il feticismo... ma allo stesso tempo c'è Matteo Rovere che non vuole fare un film etnografico ma mainstream. Come hai bilanciato queste spinte?
Il tentativo era entrare dentro un'ossessione e poi frenare l'ossessione. È un film che tutti gli appassionati di macchine lo vedono e lo amano. Per ora. E quindi... ok. Abbiamo scritto con consulenze e voglia di realismo. La Terra di Mezzo di Tolkien da te evocata ha delle regole precise dentro Il Signore Degli Anelli di Peter Jackson ma io che mi chiamo Matteo Rovere e non sono un elfo o un hobbit... vedo il film e mi piace. Quindi per tornare al mio film... io volevo dire allo spettatore: “Ti prendo, ti porto dentro una macchina... e poi capirai tutto!”. Mi piace da spettatore quando i film mi trascinano fin dalla prima inquadratura in dei mondi ricchi di dettagli e sistemi di regole. Sono stato un po' largo e pop... perché non volevo ostacolare lo spettatore. Sono stato più facile rispetto ad altri film che ho fatto.
Molto più facile Matteo...
Volevo essere fedele alla semplicità di quel mondo lì. E poi con l'esperienza anche da produttore per The Pills e Sydney di Smetto Quando Voglio... io ormai mi sono annoiato dell'autorialità fine a se stessa e il fatto di essere produttore mi aiuta a cercare subito il cinema senza fronzoli. Ci sono mille autori americani indipendenti che ci dicono che si può fare un cinema ragionato senza dimenticare di essere larghi, appunto. Io ormai faccio una gag con il mio gruppo di sceneggiatori di fiducia.
Quale?
Faccio finta di essere quello più becero e bieco del gruppo. Per me il regista ha il dovere di avere il rapporto con la strada. L'autore, lo sceneggiatore, mi deve portare il tessuto e il vissuto, denso e potente, ma io poi sono lo spettatore e voglio mantenere questo ruolo, anche se poi faccio lo sceneggiatore pure io. Detto ciò non penso di essermi sottratto dall'elemento personale. Veloce Come Il Vento è un film però che fa parte della grammatica popolare. Rispetto ad altri miei lavori c'è la voglia di mettere la macchina da presa al servizio della storia conservando un elemento di racconto quasi fisico.
Ok. Io ce l'ho un po' con te perché quando Giulia arriva ubriaca con il vestito rosso e si produce in quel racconto di serata... ho pensato: “Ma perché Matteo non me l'ha fatta vedere?”. Perché?
È interessante quello che dici.
Che poi è la critica che mi permetto di farti anche uscendo da quella scena. Ho la sensazione che con il passare dei minuti il film si sposti inesorabilmente da Giulia & Loris a Loris soltanto. Ho il sospetto che ti sei affezionato molto di più a Loris e molto di meno a Giulia. È così?
Lui mi ha conquistato e forse, hai ragione, mi sono lasciato conquistare dal suo carisma gigione. Ma Giulia per me rimane la protagonista del film e lui, se vuoi, è il mentore.
Perché non vediamo Giulia che scopa? Sarebbe stato fondamentale...
Fondamentale non lo so. Interessante... può essere. Quello che ti posso dire è che secondo me quella scena con il vestito rosso... è talmente distonico quel momento rispetto a come l'hai vista sempre in mezzo al grasso dei motori... che tu penso abbia avuto voglia di vederla scopare proprio perché non la vedi scopare. Comunque... accetto la critica, nel senso che anche a me sarebbe piaciuto seguirla in quella serata particolare. Il racconto è comunque il racconto di loro due e quindi tutto quello che poteva uscire da quell'aspetto della sua vita più intima... poteva anche non essere importante. Ecco perché abbiamo tagliato quella scena al montaggio.
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Ammetti che parteggi tanto per Loris?
Un po' sì. Loris a un certo punto ci ha sedotti tutti e con tutti intendo anche lo stesso Accorsi. Loris aveva preso il sopravvento sulla narrazione e questo suo conquistare e vivere autonomamente da Stefano... ti teneva e ti tratteneva. È stato veramente esplosivo vederlo accadere durante le riprese.
Arriviamo al gran finale dopo l'Italian Race. Arriva un'ellissi temporale che ha rotto il mio legame emotivo con il film e mi sono chiesto: “Quanto tempo passa?”. Te lo chiedo. Quanto tempo passa?
Una piccola ellissi c'è. Ed è lampante. Mi sembrava giusto che Loris continuasse ad avere questo rapporto con la morte forte. Mi sembrava coerente con il suo racconto il fatto di apparentemente perderlo... ma poi trovarlo non al cimitero ma quasi. Capisco che è complicato. Il finale... per come lo interpreto io... a me risulta chiaro. Mi affascina molto che circa un 20-25% degli spettatori non sono giunti a una conclusione sull'esito dell'Italian Race. La domanda che mi è arrivata è stata: “Ma Loris... ha vinto o no?”. Per me è evidente che la vince perché Giulia alla fine tiene la casa.
Ma perché fare andare Loris al cimitero?
A me sembra lineare con il suo personaggio. È un gesto figlio del suo essere scappato dall'ospedale, in buona sostanza non si è sentito accettato e sente che ha fato pari e patta con la sorella vincendo per lei la gara. Nel finale Giulia va a trovarlo e scopre che non è morto. A me piace che lui stia lì perché è sempre stato in bilico con la morte e non dimentichiamoci che quello è il cimitero di Imola dove c'è suo papà seppellito. Poi lui, essendo un satiro pazzo, diventa dissacrante anche in quel luogo lì... solo due secondi dopo che vediamo l'inizio della scena. Quando la sorella lo avvista... lui rientra dentro la roulotte, lei pensa che lui si neghi ancora ma poi lui esce con la camicia rossa perché volva rendersi presentabile per lei. Quello è il momento in cui tutti e due hanno capito i loro limiti e poi c'è l'abbraccio per me molto importante. Inoltre Loris mi piace che rimanga il personaggio iniziale. Io non volevo che uscisse da quel luogo lì. È un uomo che vive dentro quel confine ma lo fa con il sorriso.
A me dà fastidio l'ellissi temporale. Cioè... non capisco e non credo al fatto che Giulia e Loris non abbiano avuto modo di potersi vedere prima di quella scena al cimitero visto che lui è tornato ad Imola e lei è riuscita a tenere la casa. Tutto qui.
Però guarda che il rapporto con Giulia si interrompe quando lui va via dall'ospedale e ti ricordo che da quel momento lui non la vede più. E poi guarda che lui non decide di andare all'Italian Race quando esce dall'ospedale ma solo dopo che Tonino gli porta la Peugeot alla roulotte.
Capisco. Tu hai voluto evitare che Loris facesse il viaggio dell'eroe completo e quindi non pensi che lui, dopo quella grande impresa, avesse la rilassatezza d'animo di andare subito da Giulia tornato dalla Matera dell'Italian Race per dirle: "Abbracciamoci"...
Esatto. Il cinema è bello perché è tutto molto soggettivo. Io capisco perfettamente perché tu, Francesco, ti sei sentito tradito emotivamente da quell'ellissi. Forse lì manca per te un appagamento emozionale che in un certo senso esigevi dal film per quello che il film ti aveva fatto vedere. Guarda che io non volevo essere punitivo... altrimenti non avrei messo l'abbraccio finale. Volevo però che bisognasse aspettare quell'abbraccio finale. Come se Loris dicesse a Giulia: “Ti ho danneggiata per colpa mia. Adesso vinco l'Italian Race per farti tenere la casa ma poi torno nella roulotte”. Comunque non sai quante letture bizzarre ho avuto del mio finale. Letture anche assurde... da celebrità.
Tipo?
Gianni Morandi mi telefona appena uscito dal film mentre ero a cena con la mia fidanzata. “Ma tu sei Rovere?" "Sì..." "Senti Rovere... il finale è un capolavoro assoluto con questa metafora del Paradiso!”.
E tu che gli hai detto?
Niente. Ero troppo colpito dalla telefonata per reagire. Questo per dire che tutti i film vengono vissuti soggettivamente e per quanto riguarda i finali... pure peggio! Tu Francesco volevi vedere Giulia scopare quella sera con il vestito rosso... ma se non avesse poi realmente scopato? Lo vedi come è soggettivo? Se avesse raccontato una balla al fratello?
Ah beh.. certamente. È il motivo per cui è così bello ma mai troppo definitivo... parlare e discutere attorno a un film. Pensa che io ho immaginato anche Annarella (la donna di Loris, N.d.R.) che faceva l'istruttrice di danza in quella scuola indicata fuggevolmente da Loris mentre scappano dai motociclisti Harley-Davidson...
Quella è una sfumatura che non ha colto nessuno. Bellissimo momento perché lui dice quella battuta con una punta di malinconia.
E ti fa pensare ai vuoti. Se ci pensiamo un film che sembra così pieno e largo come Veloce Come Il Vento è in realtà abitato da vuoti affascinanti. Il rapporto tra Loris e il padre? Perché hanno litigato? Il tutore? Quell'incidente fu veramente l'unico motivo? Il rancore? La mamma? Anche Annarella era una borghese con i denti bianchi che insegnava a danzare. Cosa cavolo è successo a questi qua negli anni? Questi vuoti sono un qualcosa che soprattutto alla seconda visione... mi hanno steso completamente.
Infatti Loris dice solamente: “Lì c'è una scuola di danza. Ci insegnava l'Annarella”.
Era tutto scritto? Anche questa importanza dei vuoti?
Sì. Scriviamo dei documenti di un paio di pagine sui personaggi che sono vere e proprie backstory. Io ho scritto la vita di Annarella per esempio e quella battuta là è stata figlia di quelle pagine. La laurea, i genitori, la danza, il dimagrimento. Su Loris avevamo scritto ancora di più e questo procedimento ti crea un tessuto che circonda il tuo racconto.
È una cosa che aiuta molto anche gli attori, no?
Certamente. Roberta Mattei è un'attrice pazzesca. Ha un realismo pasoliniano che si mischia a una tecnica profonda e un'emotività complessa. Roberta non separa la persona dalla messa in scena. Guarda che questi sono personaggi che se li affronti in questo modo... ti devastano. Roberta è stata malissimo.
E Stefano?
Pure. Sono personaggi che ti fanno anche un po' male se li affronti mettendo qualcosa di te dentro di loro. È il procedimento che prediligo ma devi avere la fortuna di avere attori... che rischiano.
Quel ricordo di Loris della scuola di danza di Annarella è il mio momento preferito. Il tuo qual è?
Un dialogo tra Loris e il piccolo Nico all'inizio del film. C'è un momento che mi emoziona sempre quando parlano della mamma. Loris fa: “Te la ricordi la mamma?”, Nico: “No, non me la ricordo” e Loris: “C'aveva un vestito giallo bellissimo e sorrideva sempre”. Questo è quello che si è inciso nella memoria di un tossico che non vedeva più questa madre da 15 anni.
Matteo, siamo in chiusura. La sensazione da esterno è che questo film ti abbia cambiato parecchio. Magari sbaglio e infatti è una sensazione di cui chiedo a te conferma o smentita. Che Matteo Rovere pensi che vedremo in futuro dopo Veloce Come Il Vento?
Guarda... Veloce mi ha un po' cambiato e un po' no. Il film è andato bene e quindi in quelle due settimane in cui il film incassa, ti chiamano tutti e ti propongono tanti soldi per fare delle storie completamente inadatte a te. Penso ci sia l'occasione con Sydney e Gabriele Mainetti di portare avanti qualcosa, ognuno con la sua sensibilità. Gabriele Mainetti fin dal suo corto Basette (2006) ha portato avanti un'idea molto coerente con un immaginario dietro potente, complesso e conturbato. La cosa mia... forse è cercare provocazioni che lo spettatore non si aspetti più di tanto. L'idea del mio cinema è proporti una cosa che un po' non devi avere mai visto. Io amo tantissimo il cinema, da Sideways (2004) di Payne a Moon (2009) di Jones. Noi in Italia facciamo troppi film che hanno il "pitch" deprimente. Io dico... spingiamo e proviamoci. È il momento per noi di spingere e pensare al piccolo estero vicino. Qual è il grande film horror italiano quest'anno?
Non esiste...
Appunto. Io non lo so fare l'horror. Perché non facciamo un film sui vampiri? Insomma... qualcosa si sta muovendo e c'è la voglia in alcuni di fare dei film che muovano le carte in tavola. A me dicevano un anno fa mentre stavo facendo Veloce con il titolo iniziale di lavorazione di Italian Race: “Fai un film sulle macchine??????????? Sei pazzo. Farà 300 mila euro oppure nemmeno uscirà in sala”. E invece no. A prescindere dall'incasso nel dettaglio... quello che voglio dirti in chiusura è... ora vedono il mio film e nessuno mi dice: “Non andava fatto”. Capisci che voglio dire?
Capisco. Mentre invece si continuano a produrre valanghe di film italiani inutili. Abbiamo un nuovo progetto?
Fino a che il film non esce in sala, io non penso ad altro. L'anno scorso in pre-montaggio alcuni mi chiedevano cosa volessi fare dopo... e io non riuscivo nemmeno a rispondere. Sono fatto così. Ora, dopo quasi un mese dall'uscita in sala, comincio a fare le prime riunioni e sono tornato in me stesso.
Suppongo che qualsiasi film sarà... non sarà un horror con i vampiri, no?
No! Però mi piacerebbe tanto vederlo da spettatore. Puoi dire tu a qualcuno di farlo?