EXCL - Intervista a Emanuele Tenderini, tra passato e futuro di Wondercity
In occasione dell'uscita del cofanetto della prima stagione, Emanuele Tenderini ci parla del passato e del futuro di Wondercity
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Ciao, Emanuele! Ti ricordi la prima volta che hai sentito nominare "Wondercity"? Com’è nato il progetto e come sei stato coinvolto?
Me lo ricordo come fosse ieri! Avevo appena finito i tre anni della Scuola del Fumetto, quindi ero tornato a vivere nella mia città, Venezia, e stavo colorando il primo volume di “100 anime”, fumetto edito in Francia da Delcourt, a tutti gli effetti il mio primo lavoro da professionista.Avendo vissuto per tre anni a Milano e conoscendo molto bene tutto il network professionale in cui mi avevano introdotto i miei professori, conoscevo Giovanni e Stefano perché si era andati assieme ad Angoulême. Ricevetti “semplicemente” una telefonata da Giovanni Gualdoni, che mi raccontò a grandi linee l’idea del progetto, inviandomi via mail la prima parte di “bibbia” che era già stata realizzata. Mi chiese di fare due tavole di prova, e da lì in poi iniziammo a lavorare.
Cosa ha rappresentato “Wondercity” per la tua crescita artistica e per il tuo modo di fare Fumetto?
Come ti dicevo poco fa, il mio primo lavoro professionale da colorista fu “100 anime”, iniziato pochi mesi prima della collaborazione su "Wondercity", per cui posso considerare anche quest’ultimo, un po’, una “prima esperienza” professionale. Di sicuro fondamentale dal punto di vista stilistico: “100 anime” aveva uno stile realistico, con atmosfere e situazioni horror e ritmi da serie TV. "Wondercity", invece, segnò il mio primo passo nel mondo della “stilizzazione” specificatamente disneyana.
Dopo aver passato tre anni, alla Scuola del Fumetto, a studiare per diventare un disegnatore e colorista realistico, questo progetto mi fece fin da subito cambiare rotta. Dovetti ricalibrare la testa e il metodo per lo sviluppo di un codice cromatico più semplificato, ma avendo ancora nelle mani le atmosferizzazioni che stavo adottando negli altri lavori, e con un po’ di incoscienza delle prime armi, sviluppai l’idea di dover rendere “verosimiglianti” le luci e gli ambienti emotivi delle scene. Non più, quindi, uno stile Disney con colori “grafico-decorativi”, ma atmosfere vere e tagli di luce drammatici.
Da lì in poi capii chiaramente quali fossero, quindi, le potenzialità narrative del colore (e del lavoro creativo sui fumetti) e, inoltre, mi confrontai subito con la necessità di coordinare squadre di professionisti: a un certo punto, il team di colorazione da me capitanato contava una ventina di coloristi, numeri mastodontici (sommati al gruppo dei disegnatori e sceneggiatori) per un piccolissimo gruppo di fumettisti indipendenti.
Puoi raccontarci un ricordo legato a “Wondercity” che ha ancora il super potere di farti sorridere?
Sicuramente tutti gli aneddoti che sfociarono poi nell’episodio “L’ultimo Doge”, il sesto numero. La Angoulême precedente all’uscita di quel numero fu veramente divertentissima. Passammo dei giorni con Gualdoni, Turconi e gli altri della combriccola italiana di disegnatori a ridere e scherzare su aneddoti storici riguardanti Venezia, la mia città. Noi veneziani siamo molto campanilisti (a ragione!) e ci piace raccontare della supremazia storica della nostra Serenissima Repubblica contro il resto del mondo! Ci sono tante storie che si possono raccontare, tra cui quella del Bucintoro, la nave dorata che accompagnava il Doge allo sposalizio del mare nel bacino San Marco. Era un pretesto per ideare episodi e situazioni da inserire in "Wondercity" (e così è stato!). Il climax del divertimento? Vedere che il character di “L’ultimo Doge”, nel sesto episodio, sono a tutti gli effetti io. :-D
Ricordo che all’epoca lo staff di "Wondercity" aveva annunciato un primo ciclo narrativo composto da sei episodi, poi diventati dodici e infine ridotti nove. Come sappiamo, la serie è stata purtroppo interrotta al sesto albo. Come avete reagito alla chiusura? In questi anni ci sono stati altri tentativi di farla proseguire?
Nessun tentativo, no, di farla proseguire. E, devo confessarti, nessuna reazione “particolare”, se non un grande dispiacere iniziale. Era un’epoca, quella di dieci, quindici anni fa, in cui soprattutto noi dello “studio 7 mondi” avevano quintalate e quintalate di lavoro. Non c’era quasi il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo. Io stesso, tra Italia, Francia e America portavo avanti venti o trenta progetti contemporaneamente, più la produzione bimestrale di "Wondercity". Era un flusso continuo e veloce, una valanga di scadenze, contratti e coordinamenti. Non mi resi veramente conto di cosa stava accadendo e quanto ci tenessi a quel progetto.
Solo un paio d’anni più tardi, probabilmente, maturai il rimpianto di non aver concluso la serie, anche perché il pubblico continuava a richiederne a gran voce la prosecuzione, o perlomeno una chiusura che soddisfacesse. Dopo anni e anni e anni di richieste, una volta creata Tatai Lab, cominciai a riconsiderare l’idea che, al momento giusto, sarei stato pronto per riprendere la pubblicazione di "Wondercity".
É stato merito delle insistenti richieste del pubblico, che lo ha letto e amato, e della mia assoluta volontà di non lasciare, in vita, alcun mio progetto “incompiuto”. Ho creato Tatai Lab per farmi letteralmente i “fatti (creativi) miei”, spinto da una missione (anche troppo idealista) di tenere a galla un certo modo di fare fumetti e prodotti di intrattenimento. Devo ancora capire del tutto se sia un’idea stupida o se abbia un senso, ma finché avrò forza ci proverò.
Quali pensi siano i principali punti di forza della serie?
"Wondercity" concentra in sé tante caratteristiche estetico-narrative di epoche e prodotti differenti. Uno steam-punk africano con spruzzata di super poteri e avventure alla Indiana Jones. Se ci guardiamo attorno, tra serie TV, Cinema e soprattutto videogiochi, direi che è la sintesi perfetta di ciò che ci circonda in questo momento!
"Wondercity, ora come all’epoca, è un grido (disperato, sì) di rivalsa, di indipendenza creativa e di libertà."E poi, anche a livello estetico, è contemporaneo, forse addirittura ancora all’avanguardia: il disegno di Stefano è talmente bello da essere senza tempo e, per fortuna, anche la mia colorazione applicata a uno stile disneyano, concorre a elevare il prodotto a qualcosa di decontestualizzato da mode e ondate stilistiche.
"Wondercity" è “forte” e “potente” perché ha una personalità ben definita e chiara. Già all’epoca era un messaggio deciso di indipendenza contro-corrente, il prodotto di autori che volevano fare le cose “in un certo modo”. E poi possiamo stare qui a parlare ore del world-building, dei personaggi, degli intrecci, delle idee e delle intuizioni.
Quale impatto pensi possa assumere la ripresa di "Wondercity" e delle sue tematiche di apertura e diversità per la sua società attuale?
Non è solo "Wondercity" ma è tutta Tatai Lab che ha un’idea d’impatto precisa. Con rammarico noto quanto il mercato dell’intrattenimento si stia sempre di più piegando alle volontà dei like. Stretti nella morsa di due o tre mastodontiche major che producono e impongono la loro unica idea di entertainment. Il “piccolo”, il “singolo”, "l’indipendente” fa sempre più fatica, così come faticano le idee nuove, quelle che si discostano dal filone unico, monopolistico del grande mainstream.
"Wondercity", ora come all’epoca, è un grido (disperato, sì) di rivalsa, di indipendenza creativa e di libertà. Non tutto può essere racchiuso e prodotto in un’unica scatola, esistono ancora tanti professionisti che hanno la loro visione delle cose, che non si allineano necessariamente a un modus operandi standardizzato e che, soprattutto hanno il coraggio e la forza di produrre storie a prescindere dalle regole artistiche che guidano l’accumulo dei like su Facebook.
Se ci pensi, tutta Tatai Lab è così: il crowdfunding, gli autori esordienti, i grandi investimenti sulla stampa, sembra tutto anti-imprenditoriale, eppure è tutto fattibile e fatto.
Com'è avvenuto il processo di ricerca dei nuovi sceneggiatori, disegnatori e coloristi? Chi ha effettuato la selezione e quali caratteristiche cercavate nei nuovi talenti?
Per quanto riguarda gli sceneggiatori, non ho avuto dubbi: Francesco Vacca e Fabrizio Capigatti, due colleghi e amici verso cui ripongo cieca fiducia. Li ho “testati” a loro insaputa sui due numeri inediti per confermarmi la volontà di intraprendere l’intero sviluppo della seconda stagione (se le vendite della prima mi daranno ragione).
Per i disegni e i colori ho prima pubblicato un “annuncio di lavoro” sui social e poi ho personalmente compiuto la selezione, seguendo chiaramente quei riferimenti stilistici che conoscevo già molto bene da parecchi anni, essendo io stesso creatore dei quei codici. È stato facile - pensavo peggio - ma già quindici anni fa ricordavo di open call professionali in cui ricevevo 400 o 500 portfolio a chiamata. Ero speranzoso che, seppur in percentuali minori, la risposta potesse attestarsi su quelle cifre.
È cambiato qualcosa nella realizzazione degli episodi inediti rispetto a quanto avevate progettato più di dieci anni fa? Quali sono gli elementi di maggior continuità con il passato e quali, invece, di rottura/evoluzione legati al tempo trascorso?
Non è cambiato quasi nulla, perché all’epoca tutta la prima stagione era pressoché già decisa e sviluppata in termini di soggetto. Ho “imposto” a Francesco e Fabrizio di chiudermi la prima serie con due numeri inediti, rispetto ai tre previsti quindici anni fa, per arrivare a nove episodi; quindi abbiamo dovuto amalgamare un po’ di più le vicende raccontate negli episodi nuovi, ma non è stato troppo difficile.
Gualdoni è rimasto nel team per verificare il lavoro dei due nuovi sceneggiatori, alcune parti di soggetto erano state già ben scritte all’epoca, e avevamo addirittura anche una sceneggiatura pronta. È “bastato” unire i puntini e tutto è sfociato in modo naturale (“bastato” tra virgolette, perché i “poveri” Francesco e Fabrizio, in realtà hanno dovuto studiare in modo molto approfondito il world-building del progetto, non è stato così facile).
Sappiamo che all’epoca era stata creata una bibbia di "Wondercity" sufficiente a coprire diverse stagioni. Ci puoi anticipare qualcosa su eventuali piani futuri, dopo l’arrivo del cofanetto della prima stagione a Lucca Comics & Games 2019?
Non vi posso anticipare nulla, se non che tutto dipende dalle vendite di questo primo cofanetto: se andranno bene, "Wondercity" tornerà definitivamente a vivere!
Tatai Lab fa miracoli, realizziamo prodotti eccellenti con investimenti mastodontici, ma siamo piccolissimi, e tutto ciò che produciamo è direttamente proporzionale ai risultati. Non abbiamo margine d’errore: se sbagliamo, è finita. Ecco perché non posso anticipare nulla, se non che me la sto facendo sotto!