EXCL - Cars 3: la nostra intervista con il regista Brian Fee e il produttore Kevin Reher

La nostra intervista con i creatori del terzo episodio della saga di Cars, da oggi al cinema

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Questa è la Pixar Week su BadTaste.it: in occasione dell’uscita di Cars 3 nei cinema italiani, vi proporremo le nostre interviste e i resoconti dalla visita agli studi di animazione della Pixar avvenuta ad aprile!

La nostra giornata alla Pixar si chiude con l’intervista al regista Brian Fee (in passato storyboarder di Cars e Cars 2) e al produttore Kevin Reher (produttore anche di A Bug’s Life e del corto La Luna).

Nel terzo capitolo di Cars (al cinema da oggi), Saetta McQueen, colto alla sprovvista da una nuova generazione di bolidi da corsa, è costretto a ritirarsi dalla gare automobilistiche. Per rimettersi in forma e tornare in pista, McQueen sarà affidato a Cruz Ramirez, giovane esperta di auto da corsa e motivatrice per piloti. Per dimostrare che il numero 95 possiede ancora la stoffa di un campione, Saetta dovrà riscoprire gli insegnamenti del suo compianto mentore Hudson Hornet, trovandosi infine a gareggiare nella più grande corsa della Piston Cup.

“Il nostro protagonista in questo film si trova ad affrontare la tipica fase di fine carriera che ogni campione attraversa” ci spiega Fee, al suo debutto come regista. “Quando ci si chiede se è il caso di uscire in grande stile o continuare a combattere fino alla fine. Abbiamo parlato con vari atleti anche di altri sport, come Kobe Bryant, ma la ricerca si è focalizzata soprattutto tra i piloti del Nascar come Jeff Gordon e Ray Evernham. Ne abbiamo discusso anche con degli psicologi che ci hanno fatto capire come per queste persone non esista altro al mondo che le gare da corsa. A darci uno spunto chiave però è stato Gordon che ci ha raccontato come le nuove generazioni di piloti siano concentrate solo sull’essere veloci e piene di energia, mentre la vecchia guardia sa che può vincere anche in altri modi.”

Nuova e vecchia generazione a confronto quindi?
Brian Fee: Esatto. In questo film McQueen si torva a confrontarsi con i più giovani che sono più veloci, percepisce il gap generazionale. Anche nel suo rapporto con l’allenatrice Cruz, che è tutta super tecnologica mentre lui resta vecchia scuola. La storia si basa su questo, anche in considerazione di come si presenta oggigiorno il settore automobilistico con i nuovi piloti, le nuove tecnologie, non abbiamo nemmeno dovuto usare tanto la fantasia per rappresentarlo, se pensiamo ad esempio ai simulatori che vengono utilizzati. In ogni caso mi piace il fatto che il film resti legato alle origini delle gare automobilistiche in America, ai vecchi piloti che erano inizialmente trafficanti di alcol negli anni ’40.

Viene riscoperto anche il ruolo del mentore Doc Hudson.
Brian Fee: Proprio così. In questo caso personalmente non ho utilizzato solo gli spunti che mi sono arrivati da veri allenatori come Ray Evernham, ma ci ho messo del mio anche come padre. Un giorno ho trascorso qualche ora per spiegare a mia figlia come dipingere e l’esperienza è stata molto più gratificante di quello che avrei mai immaginato. Ed è proprio quello che vorrei comunicare attraverso il rapporto tra McQueen e Doc, rapporto che porterà lo spettatore al primo Cars.

Quando avete iniziato a pensare a Cars 3?
Kevin Reher: Ho ricevuto un’email nel 2011. La sfida è stata da subito quella di non ripetersi e di raccontare comunque una storia convincente e allo stesso tempo fresca, diversa. C’era pressione, anche se c’era pressione già nel primo.

Quindi un processo che è durato sei anni?
Brian Fee: Il fatto che ci siano voluti sei anni non è così fuori dal comune, bisogna fare ricerca, il progetto deve crescere lentamente, l’idea in sé cambia con il tempo. C’è sempre qualcosa di nuovo, il progetto evolve costantemente. Tutto però ha preso origine da una scintilla, e mentre la trama e tante altre cose cambiano, le scene vengono tagliate eccetera, cose normali durante lo sviluppo di un film, l’idea di base resta quella, rimane la cosa che si vuole coltivare ed è quello che vuoi comunicare al pubblico. Il primo Cars è stata una grande lezione per me, ero lo story artist e mi sono dovuto abituare a vedere i miei disegni gettati nel cestino, mi ha fatto capire che si tagliano tantissime cose, non ti devi affezionare, ma guardare la cosa nel suo complesso.

Perché fare questo terzo capitolo della saga?
Brian Fee: Abbiamo fatto questo film perché avevamo una storia solida, abbiamo avuto quasi subito il green light dalla Disney, sono loro che devono dire di sì alla fine. Per noi loro sono dei partner creativi, ci tengono che il marchio Pixar mantenga la sua autonomia, non sono stati loro a imporci di fare il terzo capitolo.
Kevin Reher: I sequel sono difficili, perché non vuoi ripetere quello che hai già fatto. Abbiamo preso nota di quanto accaduto con Cars 2 che non è stato all’altezza delle aspettative del pubblico. Ma noi l’abbiamo amato, forse il pubblico si aspettava qualcosa di più emotivo.

A chi è rivolto il film? Come è possibile renderlo interessante per le bambine ad esempio?
Brian Fee: Non c’è alcuna differenza dal mio punto di vista. Le persone vogliono identificarsi, se senti la storia vuol dire che ti identifichi con il personaggio e con quello che gli accade. Quindi non c’è differenza se si tratta di un’auto, un pesce, un mostro, un giocattolo ecc. Quello che vorrei è che il pubblico si dimenticasse che sono delle auto ma li vedesse semplicemente come dei personaggi.
Kevin: A me sembra pazzesco emozionarmi guardando delle automobili! Il nostro team è fatto di adulti e per tutti è lo stesso.

Non ci saranno degli essere umani vero?
Kevin: Mai, e nemmeno motociclette.
Brian: No, abbiamo delle motociclette! Sono appese sul muro del bar (ride).

Avete usato nuove tecniche per questo film?
Brian Fee: La tecnologia cambia costantemente e ogni nuovo film è meglio del primo. Questo franchise è uno dei più realistici di sempre a livello visivo. Non c’è una grande differenza, anche se in certi aspetti abbiamo dovuto addirittura fare un passo indietro. Nei render ad esempio le auto sembravano così reali che gli animator hanno dovuto renderle meno reali, perché una macchina pesante come quelle vere non può saltare e muoversi come delle auto in un cartone animato.
Kevin Reher: Cercare di trasmettere emozioni solo con gli occhi e l’espressione è una grande sfida, e in questo caso lo puoi fare solo con questi elementi, non certo con i pistoni e le ruote. Nel primo film c’erano molte gare, e da questo punto di vista, le gare sono più semplici, ma cercare di emozionare è più difficile. Questa è stata la sfida più grande per gli animators, hanno spinto molto sulla luce ad esempio.

C’è molta animazione a fare concorrenza al giorno d’oggi, come vi sentite a riguardo?
Kevin Reher: C’è addirittura la versione giapponese di Cars ma non ci pensiamo e basta. In generale non ci preoccupiamo per nulla, cerchiamo di concentrarci su di noi.
Brian Fee: Io amo Miyazaki, sono un fan. Poi ho due figlie quindi guardo molti cartoni. Ma alla fine cerchiamo di raccontare le storie a modo nostro.

Le tue figlie ti hanno influenzato in altri modi?
Brian Fee: In una versione molto primordiale del film, quando ancora non sapevamo bene in che direzione andare, Cruz era un maschio. Un giorno mia figlia mi disse che voleva imparare a suonare uno strumento e siccome a me piace la chitarra le ho detto di provare con quella. Lei mi ha risposto: ”La chitarra è per maschi!” Sono rimasto un po’ perplesso e sorpreso nel vedere come già da bambini si abbia questa predisposizione mentale che impone delle regole sul genere. Allora ci ho riflettuto e a un certo punto ho capito che Cruz doveva essere una femmina. La società ci impone certe etichette e io voglio romperle.

Siete fan dei motori?
Brian Fee: Sono un fan delle gare e lo sono diventato dopo tutte le ricerche fatte per mettere insieme il film. Non sono cresciuto con questa passione, anzi non ne sapevo nulla. Sono stato affascinato da questo mondo mentre eravamo in tour e intervistavamo i piloti, siamo anche diventati amici con alcuni di loro. E ora quando ci sono le gare conosco le regole, so quanto è difficile, cosa potrebbe andare storto. Ma soprattutto… So per chi tifare!

Cosa ti ha colpito di più di questo mondo dei motori?
Brian Fee: Sicuramente la passione di queste persone per questo sport. Litigavano, si urlavano dietro durante le gare ma non appena scendevano dall’auto, aprivano una cassa di birra ed erano come migliori amici.

Cosa rende la Pixar unica?
Kevin Reher: Nei piani alti della Pixar ci sono persone che adorano i film, mostriamo le nostre storie e idee alla Disney, siamo circondati e gestiti da creativi molto di più che in altre realtà. Disney ci supporta sempre, non importa se i film sono fatti in tempo o rispettano il budget, ma solo se sono fatti bene.

Possiamo dire che questo film è la fine del franchise?
Kevin Reher: Beh se hai una bella idea per Cars 4 facci sapere!
Brian Fee: Se c’è una storia da raccontare direi che potremmo continuare, anche se adesso la vedo come una cosa ancora troppo lontana.

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