È tornato Space Opera: intervista a Jacopo Paliaga ed Eleonora Bruni
Il secondo volume di Space Opera, di Jacopo Paliaga ed Eleonora Bruni, è finalmente in libreria, ed ecco le domande che abbiamo rivolto loro
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Ciao, Jacopo ed Eleonora! Bentornati su BadTaste.it. Il secondo volume di “Space Opera” si getta nell'azione. Il gruppo è formato, conosciamo gli eroi e il loro scopo. Almeno per ora. Facciamo anche la conoscenza di un antagonista di peso. Ma l'impressione è che siamo lontanissimi dall'orizzonte degli eventi. State puntando a un progetto di lunga durata, con questa storia?
Jacopo - Ciao, quanto tempo… In realtà siamo quasi al giro di boa, ma ho scritto "Space Opera" pensando a una serie di trame e sottotrame da far confluire tutte nel finale, quindi è normale non avere ancora la percezione della fine del tunnel. Molto probabilmente si arriverà a leggere tre quarti del progetto senza capire esattamente dove la storia vorrà andare a parare, per poi avere un quadro più completo e una risoluzione definitiva proprio nel finale della serie.Eleonora - Ciao, grazie! Su questo posso solo dirvi che il caro Jacopo si sta divertendo a scrivere di molti avvenimenti e personaggi, per poter poi collegare tutto insieme e farvi rimanere di stucco!
Lo stile brillante e pulito di Eleonora Bruni è una parte importante dell'identità della storia. Mi ricorda quello di “Ben 10”, di tanti anime degli anni Novanta e Duemila, molti elementi sparsi nella mia coscienza e nel mio immaginario. Si tratta di una scelta precisa o Eleonora è la persona giusta sul progetto giusto? O entrambe le cose?
Eleonora - Wow, grazie! Ammetto che sono stata una fan di "Ben 10", specialmente in "Alien Force". Ai tempi ero innamorata dello stile di Glen Murakami. Per il resto ci hai visto bene! Sono cresciuta in quel periodo, da brava figlia dei 90's, anche se al momento seguo molto autori attuali come Sushio, Kohei Horikoshi, Cliff Chiang. Potrei nominarvene altri cento, il flusso di ispirazione è sempre continuo e cambia spesso.
Jacopo - Per quanto mi riguarda, entrambe le cose: cercavo un immaginario ben preciso quando ho proposto "Space Opera" a Ele, che poi - appunto - si è rivelata essere la persona giusta nel posto giusto. Ogni tanto le cose s’incastrano da sole, per fortuna!
“Space Opera” tiene insieme la narrazione verticale, con la crescita di Charlie, personaggio principale, e dei protagonisti del suo team, con quella orizzontale, che definisce un mondo intorno complesso e strutturato. Mi ricorda “One Piece”: sono completamente fuori strada? Quanto il capolavoro del maestro Oda vi fa da riferimento? Anche nella definizione dell'ambientazione e dei poteri dei personaggi.
Eleonora - Sto guardando Jacopo mentre sudo freddo. Lui venderebbe la sua anima per "One Piece". A differenza sua, mi dispiace ragazzi, "One Piece" l'ho letto solo fino all'ottavo numero. Ma conosco a memoria le opening e le ending. Lo iniziai che era già troppo tardi, non ho mai avuto il coraggio per mettermi a pari.
Jacopo - Assolutamente, ci hai preso in pieno. Il world building dell’universo di "Space Opera" affonda le radici in roba come "One Piece", appunto, ma anche in "Game of Thrones", "X-Men", "World of Warcraft" o "Star Wars". In realtà, la struttura della storia mescola elementi da shonen, come la crescita e l’evoluzione dei protagonisti, anche attraverso dei power-up, con una narrazione un po’ più criptica che si guarda bene dal spiattellare tutto e subito. E per me è importante che questa maturazione avvenga in un universo vivo e coerente che mi possa permettere di raccontare molto altro, oltre alle sole vicende dei personaggi, rendendo di conseguenza ancor più credibile il percorso dei nostri ragazzi.
Per la questione dei super poteri ho battuto una strada facilissima, quella delle persone comuni con capacità straordinarie, ma cucendole addosso a tutta la faccenda del teletrasporto della Terra e del riposizionamento delle molecole che fa molto Gene X.
Uno dei motivi di interesse di “Space Opera” è il suo aperto rivolgersi al pubblico degli adolescenti, troppo spesso ignorati come target del fumetto italiano e internazionale. Avete una strategia precisa in mente per attrarre gli sguardi giusti su di voi? Qual è il vostro atteggiamento al riguardo?
Eleonora - Una cosa che mi piace molto di questo progetto è la costruzione psicologica che c'è dietro ogni personaggio. Penso che il target a cui puntiamo abbia bisogno di leggere fumetti dove poter empatizzare. Nonostante i cazzotti apocalittici e ranger che cavalcano orsi, un lettore, soprattutto se giovane, ha modo di immedesimarsi nei nostri personaggi. Io personalmente mi rivedo in Charlie, per i suoi problemi legati all'ansia sociale, anche se scatenati principalmente “dall'effetto collaterale” dell'Anomalia assorbita.
Comunque, a parte questo il mio personaggio preferito è Sadie. Tutto ciò per dire che i personaggi sono importantissimi, quanto gli eventi che accadono nella storia, ma per me sono loro il punto forte che devono attirare i giovani lettori. (Quando avevo 13 anni dopotutto volevo essere Rei Kon e avere il mio Driger. Infatti poi ne ho avuto due. Ho vinto io.)
Jacopo - A prescindere dal lato artistico e creativo, c’è un problema di fondo a questa domanda, il classico elefante nella stanza, ovvero che - soprattutto in Italia - è dannatamente difficile far leggere fumetti agli adolescenti. O meglio, è difficile fargli leggere cose originali italiane, questo per due motivi fondamentali: il primo, quello più venale, è il costo, 4€ di un manga contro 16€ di "Space Opera", ad esempio (per metà delle pagine, tra l’altro), cosa che magari pesa a un ragazzino con due banconote in tasta alla settimana; il secondo è che da noi manca la voglia di attirare l’attenzione, di proporre novità VERE per i ragazzi, provando a uscire dalla zona di comfort e generando contenuti orizzontali rispetto al prodotto di partenza. Il discorso diventa ancora più complesso se ci metti in mezzo il marketing e il far sapere a questi adolescenti che in edicola, in fumetteria o in libreria c’è un prodotto adatto a loro e che potrebbe piacergli.
Per tornare alla domanda iniziale, in questo caso è Panini che dovrebbe intercettare il pubblico giusto per noi, o contribuire a farlo, e in parte ci è riuscita: il primo volume e il primo spin-off sono andati bene, quindi la serie ci è stata rinnovata completamente fino alla fine. Il team di Panini ha pubblicizzato il volume all’interno di alcune testate selezionate e si è creato un buon passaparola spinto anche dal Capitolo 0 pubblicato online (su spaceopera.it) che nella prima settimana ha superato le 50.000 visite uniche e che, come tipo d’impegno e alternativa alla lettura, potrebbe aver incuriosito qualche giovane lettore.
Non so se la questione sia che gli editori non si fidano, o che considerano ormai perduta la fascia adolescenziale, però il pubblico c’è ed è molto curioso, ci si dovrebbe impegnare un po’ di più per spingerlo a provare qualcosa di diverso dal solito. Dal mio punto di vista, tutto quello che posso fare è creare il fumetto che avrei voluto leggere da adolescente, divertendomi il più possibile.
Nella storia convivono elementi di apparente contrasto: c'è tanta comicità, ma c'è anche una violenza vera, percepibile, per quanto moderata nei suoi aspetti grafici. Un elemento che ho apprezzato molto e di cui sentivo la mancanza in una storia per ragazzi, nel senso migliore del termine. Anche qui non fatico a credere che abbiate preso ispirazione dal passato. Confermate?
Eleonora - Anche in questo, possiamo dire di aver seguito molto un'impronta giapponese. La violenza presente, la si trova tranquillamente in quasi tutti i titoli shonen.
Jacopo - In "Space Opera" la violenza non è mai gratuita, ma quando c’è non ci tiriamo indietro dal mostrarla. E a dirla tutta, credo che si sposi bene con le tavole coloratissime di Eleonora, ne esce fuori un mix ancor più macabro.
Alcuni dei momenti più divertenti hanno a che fare con Charlie e la sua passione per i videogiochi. Quanto la natura narrativa dei prodotti videoludici ha anche influenzato la sceneggiatura di “Space Opera”?
Jacopo - La sceneggiatura, credo, mai. I tempi di racconto di un videogioco, cutscene a parte, sono estremamente differenti rispetto a quelli di un fumetto, sono dettati da un codice e da azioni attive. Se le cutscene dei videogiochi sono ormai spesso e volentieri di stampo cinematografico, o comunque si rifanno ad altri media visivi, nei videogiochi tutto è narrazione, dalle cavalcate nel west di "Red Dead Redemption 2" all’esplorazione di "The Legend of Zelda: Breath of the Wild". Da grande appassionato di videogiochi, però, ho riversato questa passione su Charlie, cosa che spesso lo rende fuori luogo in mezzo a un Killer, una ragazza cadavere, una cyborg e via dicendo.
Eleonora - Mi chiudevo ai videogiochi quando ero più piccola, ma negli ultimi anni non mi sono mai chiusa sopra nessun videogioco. Giusto ultimamente ho ripreso, ma grazie alla convivenza con una persona che mangia videogiochi a colazione.