Denti da Squalo, il regista Davide Gentile: "Piaccia o meno, è un tentativo di fare qualcosa di diverso"
In questa intervista Davide Gentile, regista di Denti da squalo spiega perché non conosca il cinema italiano recente e cosa questo implichi
Davide Gentile è il regista di Denti da squalo, al cinema dall'8 giugno. Il film rappresenta il suo esordio dopo una carriera nella pubblicità lontano dall'Italia
Gabriele Mainetti e gli sceneggiatori Valerio Cilio e Gianluca Leoncini cercavano qualcuno per Denti da squalo, qualcuno capace di portare un punto di vista personale, e tra i molti vagliati Gentile è stato il regista che ha convinto tutti. Una persona di Milano, molto lontana dal contesto romano del film (“ho passato un anno a visitare i luoghi del litorale in cui avremmo girato per capirli”) che potesse tirare fuori qualcosa di nuovo.
“Nessuna delle tematiche del film mi toccava: non conosco fino in fondo il lutto, non ho mai vissuto in periferia, non ho quel background romano di borgata che viene rappresentato, non conosco la criminalità. Ad agganciarmi alla storia è stata la solitudine e la malinconia di Walter [il protagonista ndr] e un po’ la bolla nella quale viveva anche prima della morte del padre. Non è uno che ha tanti amici, e io alla sua età non ero diverso”.
“Gabriele [Mainetti ndr] mi ha detto subito “il 50% del tuo lavoro è risolvere problemi, perché una volta la location salta, una volta piove, poi l’attore bambino si pianta…” non è come nella pubblicità, lì si fanno gli straordinari per girare quel che devi. Nel cinema se non fai quel che devi si va avanti. Vengo da un mondo proprio diverso, che punta al risultato e hai i soldi anche extra budget per raggiungerlo, in cui ci sono clienti che hanno sempre ragione. Le problematiche legate a Denti da squalo erano tante (dallo squalo che non funziona, al bambino che non recita sempre come vorresti, alla luce non sempre come vorresti…) e abbiamo fatto quel che potevamo. Piaccia o meno, è un tentativo di fare qualcosa di diverso e lo abbraccio come tale”.
Sentivi che ti mancava qualcosa per fare il regista di film?
“Io so fare il mio lavoro, perché lo faccio da anni, ma mancava un aspetto umano, ragione per la quale non sono andato da nessuna parte. Non ho mai girato niente con una vera sensibilità travolgente. Anche i miei corti erano più focalizzati sull’idea che sui personaggi”.
Che tipo di regista vuoi essere?
“In futuro voglio tirare fuori qualcosa non a livello di scrittura ma di idea, qualcosa da far poi sceneggiare ad altri”.
Tipo?
“Sto lavorando ora con Luca Mastrogiovanni [uno degli sceneggiatori della serie Vita da Carlo ndr], ci stiamo confrontando e stiamo chiacchierando. Ci troviamo bene umanamente. Sai io non ho letto tante sceneggiature, non conosco sceneggiatori né so scrivere, è l’aspetto che più sto cercando di colmare, per questo mi affido molto all’umanità. Un altro con cui parlo molto è Federico Fava [sceneggiatore di Il signore delle formiche ndr], non abbiamo scritto nulla ma ci vogliamo conoscere. Credo che se trovo qualcuno con la mia stessa sensibilità allora potrà anche lavorare sulle sinossi che gli fornisco”.
Dici di non conoscere sceneggiatori e immagino sia perché ha vissuto molto all’estero, ma il cinema italiano lo conosci?
“Non moltissimo. Mi sono tenuto lontano dal mercato italiano e lo sto scoprendo in questi mesi che sono a Roma, in cui conosco gente e vedo i loro film. Conosco meglio i film anglosassoni, francesi e argentini”.
Cosa ti è piaciuto tra ciò che hai visto?
“Dogman è stupendo. Ma ad esempio quello non potrebbe mai essere un tipo di cinema che posso fare. Ho deciso solo 3 anni fa di passare al cinema, non avevo questo desiderio e questa visione sul cinema italiano che avrei voluto un giorno approfondire. È come se iniziassi ora a fare questo lavoro”.
Cosa hai capito del cinema italiano in questo periodo in cui ti ci stai avvicinando?
“La sensazione che ho parlando con le persone è la mancanza di coraggio e il fatto che spesso devi avere attori di rango per poter produrre un film (per i finanziamenti, per la filiera e per le piattaforme). Qui se non avessi avuto Edoardo Pesce e Claudio Santamaria non avrei fatto il film”.
Cosa ti è piaciuto di quello che hai visto nella tua immersione nel cinema italiano recente?
“Orecchie di Alessandro Aronadio, un film piccolissimo, fatto con 150mila euro e sviluppato all’interno di Biennale College e per questo ancora più bello. Ci sono uno sforzo e una bravura incredibili, quello è un grande film e mi piace quel taglio di satira sociale in un road movie dentro una città”.
Per fare questo film italiano senza conoscere il cinema italiano recente ma essendoti informato su di esso negli ultimi tempi tutto insieme, ti sei voluto adattare alla maniera in cui si fanno i film in Italia, cioè ti sei sforzato di adottare tecniche e soluzioni che hai notato essere ricorrenti?
“No e lo dico con dispiacere, un po’ per pigrizia e un po’ per la quantità di informazioni che ho immagazzinato. Se avessi avuto l’intelligenza o la furbizia di analizzare meglio altre cose di altri film (anche più paraculi) per far funzionare meglio alcuni passaggi come ad esempio i tempi comici, credo che avrei fatto un film migliore. Per questo non lo dico con vanto ma con pentimento. Essermi informato o appassionato al nostro mondo mi avrebbe aiutato. Fossi stato più scafato magari avrei cercato uno stile più energico e spigliato o malizioso, meno in punta di piedi, e magari avrebbe funzionato di più”.
Trovate tutte le informazioni su Denti da Squalo nella nostra scheda.